Mon cas (1986) Regia di Manoel de Oliveira. Soggetto di Josè Règio. Estratti da Samuel Beckett e dal Libro di Giobbe. Adattamento e sceneggiatura di Manoel de Oliveira. Fotografia di Mario Barroso. Musiche di Joao Paes. Scenografia di Maria Josè Branco e Luis Monteiro. Costumi di Jasmim de Matos. Interpreti: Luis Miguel Cintra (l'intruso e Giobbe), Bulle Ogier (la prima attrice e la moglie di Giobbe), Axel Bougousslavsky (l'inserviente del teatro e Elifaz); Fred Personne (l'autore e Bildad), Wladimir Ivanovskij (lo spettatore e Zofar), Gregoire Ostermann (il proiezionista e Eliu), Heloise Mignot (la seconda attrice), Henri Serre (voce off), e molti altri. Durata: 87 minuti.
"Mon cas" è un film
stupefacente, divertente e profondo, che lascia senza parole. Girato
da un vero Maestro del cinema, termina con un finale magnifico, una
delle sequenze più belle e più grandi nella storia del cinema, dove
la scenografia ricostruisce il dipinto della Città Ideale conservato
a Urbino (1480 circa, autore ignoto).
Si inizia in teatro, con un uomo (Luis
Miguel Cintra) che fa irruzione sul palcoscenico vuoto, trafelato,
scomposto, elegante ma con una giacca troppo grande per lui, dentro
una scenografia liberty molto ben fatta, e si rivolge a noi (al
pubblico) con queste parole:
« Signore e signori, il mio ingresso
vi avrà sorpresi e avete ragione perché io non faccio parte della
pièce. Ora vi spiego, in due parole, non c'è tempo da perdere. Ho
saputo che il palcoscenico sarebbe rinasto deserto, sono riuscito a
entrare dando uno spintone al guardiano (...) Come ben sapete,
signore e signori, a teatro tutto è falso (...) tutto è commedia,
tutto è teatro, sguazziamo nell'illusione come pesci nell'acqua
(...) tutto è provvisorio, tutto è paccottiglia. Ed è qui che ha
inizio il mio caso (...) »
Il suo caso , spiega, è
importantissimo e riguarda tutti noi, dice che bastano due parole per
raccontarlo ma poi parla d'altro, divaga, perde tempo, e viene infine
raggiunto dal guardiano del teatro che cerca di portarlo via, perché
la commedia sta per iniziare. Segue un alterco fra i due, interrotto
dall'arrivo della prima attrice (Bulle Ogier), che avevamo già
ascoltato in voce nei minuti iniziali del film, prima che facesse
irruzione lo sconosciuto. La voce fuori campo diceva "m'ama, non
m'ama", e ora prosegue sullo stesso tono perché sta preparando
il suo monologo che fa parte di una commedia leggera, qualcosa tra
Feydeau e Labiche. Intanto, l'inserviente e lo sconosciuto stanno
ancora litigando: l'inserviente ha raccontato il suo caso, la moglie
malata e i figli da mantenere, e ora rischia di essere licenziato per
aver fatto entrare un intruso in teatro, e lo sconosciuto gli ribatte
che è un caso banale, banalissimo, mentre il suo, il suo, invece...
Anche l'attrice entra nella
discussione, che rischia di degenerare; arrivano poi l'autore della
pièce, gli altri attori, infine uno spettatore, tutti parlano, tutti
intenti a dire "io, io, io" nelle mille variazioni
possibili del narcisismo quotidiano; alla fine cala il sipario.
Cos'altro fare?
Cala il sipario, vediamo le due
maschere del teatro greco (la tragedia e la commedia), si ricomincia
da un secondo ciak dopo quello iniziale. Quello che vediamo è
esattamente la stessa scena, ma in bianco e nero e senza sonoro. Si
riparte da capo ma come se fosse un film muto in bianco e nero, gli
stessi vaniloqui ma solo bocche e corpi che si agitano, resi ridicoli
da una leggera accelerazione che evidenzia la mancanza di senso di
ciò che fanno e dicono. Una voce fuori campo (Henri Serre) legge il
testo di Samuel Beckett, tratto da "Pour finir encore et autres
foirades":
Ho rinunciato prima di nascere. Non è
possibile altrimenti. Doveva tuttavia nascere. Fu lui. Io ero dentro.
E' così che io vedo la cosa. Ho rinunciato prima di nascere. Non è
possibile altrimenti. (ripete) (qui musica e voci tipo Ligeti o
Nono) E' così che io vedo la cosa. E' lui che ha gridato. E' lui
che ha visto il giorno. Io non ho gridato. io non ho visto il giorno.
E' impossibile che io abbia una voce. E' impossibile che io abbia dei
pensieri. E parlo e penso. Faccio l'impossibile. Non è possibile
altrimenti. (ripete) E' lui che ha vissuto. Io non ho vissuto. Ha
vissuto male per causa mia. Lo racconterò, racconterò la sua morte.
Mano a mano. Al presente. (ripete) La sua morte da sola non
basterebbe. Non mi basterebbe. Se brontola, è lui che brontolerà,
io non brontolerò. E' lui che morirà, io non morirò. Lo
seppelliranno forse, se lo trovano. Io sarò dentro. (ripete)
Marcirà. Io non marcirò. Resteranno solo le ossa. Io sarò dentro.
Sarà solo polvere. Io sarò dentro. E' impossibile altrimenti. E'
così che vedo la cosa. La fine della sua vita e la sua morte. Come
farà a finire? E' impossibile che io lo sappia. Lo saprò a mano a
mano. E' impossibile che io lo dica. (ripete)
E' impossibile che io lo dica. Lo dirò
al presente. Non si tratterà più di me. Solo di lui, della fine
della sua vita e della sua morte. Dei funerali, se lo trovano. E' là
che finirà. (ripete) Non parlerò di vermi, di acqua e di polvere,
non interessa a nessuno. A meno che io non mi annoi nella sua
polvere. Mi stupirebbe, tanto quanto nella sua pelle. Qui, un lungo
silenzio. Annegherà, forse. Voleva annegare. (ripete) Non voleva che
lo trovassimo. Un'acqua profonda o una pietra al collo. Slancio
spento come gli altri. Non voleva che lo trovassimo. Non può più
volere niente. Ma un tempo voleva annegare. (ripete) Ma perché un
giorno a sinistra? Perché non in un'altra direzione? Qui, un lungo
silenzio. (ripete) Non ci sarà più "io". Non dirà mai
più "io". Non dirà mai più niente. Non parlerà con
nessuno. Nessuno gli parlerà. Non parlerà da solo. Non penserà.
Andrà. Io sarò dentro. Si lascerà cadere per dormire. Ma non
ovunque. (ripete) Dormirà male per causa mia. Si alzerà per andare
più lontano. Starà male per causa mia. Non potrà più stare al suo
posto per causa mia. Non c'è più niente nella sua testa. Ci metterò
il necessario. Si lascerà cadere per dormire. Ma non ovunque.
Dormirà male per causa mia. Si alzerà per andare più lontano.
Starà male per causa mia.
Siamo al minuto 43, la sequenza di
prima è stata leggermente accelerata. Qui cala il sipario, rivediamo
le due maschere, poi c'è il terzo ciak e tutto ricomincia come nella
prima sequenza, tornata a colori e con il sonoro. Stessa scena, da
capo, ma i dialoghi sono su un nastro alla rovescia, incomprensibili
e senza senso. Stavolta però sul palcoscenico, dopo cinque minuti,
arriva un servo di scena che monta uno schermo cinematografico su cui
viene proiettata la vera tragedia, quella reale. Non il nostro io,
non il narcisismo o il solipsismo quotidiano ma la guerra e la morte,
la malattia, l'inquinamento ambientale, lo spreco della Terra, il
disprezzo del mondo che ci è stato affidato. Stavolta, tutti si
fermano e guardano. La proiezione finisce con Guernica di Picasso; la
musica è una pianola vaudeville, la stessa che avevamo ascoltato nel
primo ciak. La proiezione non ha però smosso più di quel tanto i
personaggi, che ricominciano con i loro vaniloqui alla rovescia. Si
finisce ancora con lo spettatore, come le altre due.
Al minuto 50 comincia la sequenza del
Libro di Giobbe; sul sipario non ci sono più le due maschere ma solo
quella tragica, che diventa enorme nel primo piano. Dentro una
scenografia tra De Chirico e Finale di partita (Beckett), sullo
sfondo di una discarica e auto rottamate, vediamo Giobbe e sua moglie
interpretati dallo sconosciuto e dalla prima attrice. Il testo è
quello della Bibbia, il Libro di Giobbe; Giobbe mostra il volto
orribilmente segnato dalla malattia, come è indicato nel Libro.
Altri tre attori della prima parte interpretano i tre amici che
parlano a Giobbe, la voce di Dio nel finale è un altoparlante (un
vecchio trucco di teatro, dai tempi del Deus ex machina, ma funziona:
Manoel de Oliveira gli dedica un primo piano).
A 1h24 vediamo Giobbe risanato, accanto
a sua moglie, dentro una scenografia che ricostruisce la Città
Ideale, tra gente serena e felice, fanciulle che gettano fiori. Non
più tragedie, non più recriminazioni, la perfezione divina. Le
fanciulle portano anche la Gioconda di Leonardo, che chiuderà il
film. Siamo in teatro, ma in platea c'è una troupe che riprende il
tutto, e che viene a sua volta ripresa da un'altra troupe (o da
Dio?). La Gioconda è nel monitor in platea, Oliveira le dedica un
primo piano che chiude il film, sul suo sorriso enigmatico.
Altri miei appunti presi durante la
visione:
1) La prima parte è ispirata da un
testo del portoghese Josè Regio, "O meu caso", che
immagino introvabile in Italia. Seguono Beckett e il Libro di Giobbe.
2) nella prima parte, tutti si rivolgono verso la platea, ma in
platea non c'è nessuno e Oliveira ce lo mostra apertamente. 3)
bisogna fare attenzione a quando la prima attrice dice "en rat!"
all'inserviente: le stesse parole le troveremo nel Libro di Giobbe
4) Probabilmente l'ispirazione per i discorsi "alla rovescia"
nasce sempre da Samuel Beckett: in "Watt", parte III, a
pagina 172 dell'edizione Sugarco 1994, quando Watt parla a rovescio.
5) Sul libro del "Castoro Cinema" dedicato a Manoel de
Oliveira l'autrice Mariolina Diana cita Pirandello, a me è venuto in
mente Slawomir Mrozek. 6) Sempre Mariolina Diana nel libro citato
parla dei tre sguardi differenti: teatro, tv, video. 7) il film è
tutto recitato in francese 8) l'intruso sconosciuto, oltre che
scomposto ed elegante, è anche "incazzato nero" come il
personaggio del comico italiano Gioele Dix di qualche anno fa. A lui
fa da pendant, nel finale lo spettatore "cittadino qualunque"
che vuole esprimere la sua opinione (il suo caso, anche lui!) 9)
tutti gli attori sono molto bravi, spendo una parola per Bulle Ogier
che non immaginavo così brava, dai film che ha recitato non l'avevo
mai capito ma evidentemente il teatro era la sua dimensione, più del
cinema. 10) nella prima parte, gli attori inciampano nel tappeto:
un'altra gag da cinema muto. 11) il pianoforte che suona da solo (qui
una pianola a rullo) rimanda a "La regola del gioco" di
Jean Renoir. Luis Miguel Cintra, l'intruso sconosciuto, rimanda anche
a un altro film di Renoir, "Le docteur Cordelier" (cioè Dr
Jekyll e Mr. Hyde) 12) il dipinto che si vede nella scenografia
liberty della prima parte (una donna sdraiata) è di Felix Vallotton.
13) la musica nel finale sembra di Erik Satie 14) il sorriso della
Gioconda, come il primo piano della bocca della maschera tragica? 15)
Un sorriso lo ha strappato anche a me, perché in scena c'è
l'Autore, poi lo Spettatore in platea, eccetera (ma non è Trivio, e
neanche Mrozek). (Quest'ultimo punto, per chi fosse interessato,
rappresenta il "mio" caso. Ovviamente, non potevo tirarmi
indietro - I beg your pardon...)
PS:
l'abbinamento fra Beckett e il Libro di Giobbe è presente già in
"Shakespeare nostro contemporaneo" di Jan Kott (pagina 111
dell'edizione italiana disponibile negli anni '80). In particolare,
Jan Kott parla di "Atto senza parole". E' un libro famoso,
più che probabile che Manoel de Oliveira lo abbia letto.
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