giovedì 26 settembre 2019

Mon cas (Manoel de Oliveira)

 

Mon cas (1986) Regia di Manoel de Oliveira. Soggetto di Josè Règio. Estratti da Samuel Beckett e dal Libro di Giobbe. Adattamento e sceneggiatura di Manoel de Oliveira. Fotografia di Mario Barroso. Musiche di Joao Paes. Scenografia di Maria Josè Branco e Luis Monteiro. Costumi di Jasmim de Matos. Interpreti: Luis Miguel Cintra (l'intruso e Giobbe), Bulle Ogier (la prima attrice e la moglie di Giobbe), Axel Bougousslavsky (l'inserviente del teatro e Elifaz); Fred Personne (l'autore e Bildad), Wladimir Ivanovskij (lo spettatore e Zofar), Gregoire Ostermann (il proiezionista e Eliu), Heloise Mignot (la seconda attrice), Henri Serre (voce off), e molti altri. Durata: 87 minuti.
 
 
"Mon cas" è un film stupefacente, divertente e profondo, che lascia senza parole. Girato da un vero Maestro del cinema, termina con un finale magnifico, una delle sequenze più belle e più grandi nella storia del cinema, dove la scenografia ricostruisce il dipinto della Città Ideale conservato a Urbino (1480 circa, autore ignoto).
Si inizia in teatro, con un uomo (Luis Miguel Cintra) che fa irruzione sul palcoscenico vuoto, trafelato, scomposto, elegante ma con una giacca troppo grande per lui, dentro una scenografia liberty molto ben fatta, e si rivolge a noi (al pubblico) con queste parole:
« Signore e signori, il mio ingresso vi avrà sorpresi e avete ragione perché io non faccio parte della pièce. Ora vi spiego, in due parole, non c'è tempo da perdere. Ho saputo che il palcoscenico sarebbe rinasto deserto, sono riuscito a entrare dando uno spintone al guardiano (...) Come ben sapete, signore e signori, a teatro tutto è falso (...) tutto è commedia, tutto è teatro, sguazziamo nell'illusione come pesci nell'acqua (...) tutto è provvisorio, tutto è paccottiglia. Ed è qui che ha inizio il mio caso (...) »
 
Il suo caso , spiega, è importantissimo e riguarda tutti noi, dice che bastano due parole per raccontarlo ma poi parla d'altro, divaga, perde tempo, e viene infine raggiunto dal guardiano del teatro che cerca di portarlo via, perché la commedia sta per iniziare. Segue un alterco fra i due, interrotto dall'arrivo della prima attrice (Bulle Ogier), che avevamo già ascoltato in voce nei minuti iniziali del film, prima che facesse irruzione lo sconosciuto. La voce fuori campo diceva "m'ama, non m'ama", e ora prosegue sullo stesso tono perché sta preparando il suo monologo che fa parte di una commedia leggera, qualcosa tra Feydeau e Labiche. Intanto, l'inserviente e lo sconosciuto stanno ancora litigando: l'inserviente ha raccontato il suo caso, la moglie malata e i figli da mantenere, e ora rischia di essere licenziato per aver fatto entrare un intruso in teatro, e lo sconosciuto gli ribatte che è un caso banale, banalissimo, mentre il suo, il suo, invece...

 
Anche l'attrice entra nella discussione, che rischia di degenerare; arrivano poi l'autore della pièce, gli altri attori, infine uno spettatore, tutti parlano, tutti intenti a dire "io, io, io" nelle mille variazioni possibili del narcisismo quotidiano; alla fine cala il sipario. Cos'altro fare?

 
Cala il sipario, vediamo le due maschere del teatro greco (la tragedia e la commedia), si ricomincia da un secondo ciak dopo quello iniziale. Quello che vediamo è esattamente la stessa scena, ma in bianco e nero e senza sonoro. Si riparte da capo ma come se fosse un film muto in bianco e nero, gli stessi vaniloqui ma solo bocche e corpi che si agitano, resi ridicoli da una leggera accelerazione che evidenzia la mancanza di senso di ciò che fanno e dicono. Una voce fuori campo (Henri Serre) legge il testo di Samuel Beckett, tratto da "Pour finir encore et autres foirades":
Ho rinunciato prima di nascere. Non è possibile altrimenti. Doveva tuttavia nascere. Fu lui. Io ero dentro. E' così che io vedo la cosa. Ho rinunciato prima di nascere. Non è possibile altrimenti. (ripete) (qui musica e voci tipo Ligeti o Nono) E' così che io vedo la cosa. E' lui che ha gridato. E' lui che ha visto il giorno. Io non ho gridato. io non ho visto il giorno. E' impossibile che io abbia una voce. E' impossibile che io abbia dei pensieri. E parlo e penso. Faccio l'impossibile. Non è possibile altrimenti. (ripete) E' lui che ha vissuto. Io non ho vissuto. Ha vissuto male per causa mia. Lo racconterò, racconterò la sua morte. Mano a mano. Al presente. (ripete) La sua morte da sola non basterebbe. Non mi basterebbe. Se brontola, è lui che brontolerà, io non brontolerò. E' lui che morirà, io non morirò. Lo seppelliranno forse, se lo trovano. Io sarò dentro. (ripete) Marcirà. Io non marcirò. Resteranno solo le ossa. Io sarò dentro. Sarà solo polvere. Io sarò dentro. E' impossibile altrimenti. E' così che vedo la cosa. La fine della sua vita e la sua morte. Come farà a finire? E' impossibile che io lo sappia. Lo saprò a mano a mano. E' impossibile che io lo dica. (ripete)

 
E' impossibile che io lo dica. Lo dirò al presente. Non si tratterà più di me. Solo di lui, della fine della sua vita e della sua morte. Dei funerali, se lo trovano. E' là che finirà. (ripete) Non parlerò di vermi, di acqua e di polvere, non interessa a nessuno. A meno che io non mi annoi nella sua polvere. Mi stupirebbe, tanto quanto nella sua pelle. Qui, un lungo silenzio. Annegherà, forse. Voleva annegare. (ripete) Non voleva che lo trovassimo. Un'acqua profonda o una pietra al collo. Slancio spento come gli altri. Non voleva che lo trovassimo. Non può più volere niente. Ma un tempo voleva annegare. (ripete) Ma perché un giorno a sinistra? Perché non in un'altra direzione? Qui, un lungo silenzio. (ripete) Non ci sarà più "io". Non dirà mai più "io". Non dirà mai più niente. Non parlerà con nessuno. Nessuno gli parlerà. Non parlerà da solo. Non penserà. Andrà. Io sarò dentro. Si lascerà cadere per dormire. Ma non ovunque. (ripete) Dormirà male per causa mia. Si alzerà per andare più lontano. Starà male per causa mia. Non potrà più stare al suo posto per causa mia. Non c'è più niente nella sua testa. Ci metterò il necessario. Si lascerà cadere per dormire. Ma non ovunque. Dormirà male per causa mia. Si alzerà per andare più lontano. Starà male per causa mia.

 

Siamo al minuto 43, la sequenza di prima è stata leggermente accelerata. Qui cala il sipario, rivediamo le due maschere, poi c'è il terzo ciak e tutto ricomincia come nella prima sequenza, tornata a colori e con il sonoro. Stessa scena, da capo, ma i dialoghi sono su un nastro alla rovescia, incomprensibili e senza senso. Stavolta però sul palcoscenico, dopo cinque minuti, arriva un servo di scena che monta uno schermo cinematografico su cui viene proiettata la vera tragedia, quella reale. Non il nostro io, non il narcisismo o il solipsismo quotidiano ma la guerra e la morte, la malattia, l'inquinamento ambientale, lo spreco della Terra, il disprezzo del mondo che ci è stato affidato. Stavolta, tutti si fermano e guardano. La proiezione finisce con Guernica di Picasso; la musica è una pianola vaudeville, la stessa che avevamo ascoltato nel primo ciak. La proiezione non ha però smosso più di quel tanto i personaggi, che ricominciano con i loro vaniloqui alla rovescia. Si finisce ancora con lo spettatore, come le altre due.


 
Al minuto 50 comincia la sequenza del Libro di Giobbe; sul sipario non ci sono più le due maschere ma solo quella tragica, che diventa enorme nel primo piano. Dentro una scenografia tra De Chirico e Finale di partita (Beckett), sullo sfondo di una discarica e auto rottamate, vediamo Giobbe e sua moglie interpretati dallo sconosciuto e dalla prima attrice. Il testo è quello della Bibbia, il Libro di Giobbe; Giobbe mostra il volto orribilmente segnato dalla malattia, come è indicato nel Libro. Altri tre attori della prima parte interpretano i tre amici che parlano a Giobbe, la voce di Dio nel finale è un altoparlante (un vecchio trucco di teatro, dai tempi del Deus ex machina, ma funziona: Manoel de Oliveira gli dedica un primo piano).


 
A 1h24 vediamo Giobbe risanato, accanto a sua moglie, dentro una scenografia che ricostruisce la Città Ideale, tra gente serena e felice, fanciulle che gettano fiori. Non più tragedie, non più recriminazioni, la perfezione divina. Le fanciulle portano anche la Gioconda di Leonardo, che chiuderà il film. Siamo in teatro, ma in platea c'è una troupe che riprende il tutto, e che viene a sua volta ripresa da un'altra troupe (o da Dio?). La Gioconda è nel monitor in platea, Oliveira le dedica un primo piano che chiude il film, sul suo sorriso enigmatico.
 

Altri miei appunti presi durante la visione:
1) La prima parte è ispirata da un testo del portoghese Josè Regio, "O meu caso", che immagino introvabile in Italia. Seguono Beckett e il Libro di Giobbe. 2) nella prima parte, tutti si rivolgono verso la platea, ma in platea non c'è nessuno e Oliveira ce lo mostra apertamente. 3) bisogna fare attenzione a quando la prima attrice dice "en rat!" all'inserviente: le stesse parole le troveremo nel Libro di Giobbe 4) Probabilmente l'ispirazione per i discorsi "alla rovescia" nasce sempre da Samuel Beckett: in "Watt", parte III, a pagina 172 dell'edizione Sugarco 1994, quando Watt parla a rovescio. 5) Sul libro del "Castoro Cinema" dedicato a Manoel de Oliveira l'autrice Mariolina Diana cita Pirandello, a me è venuto in mente Slawomir Mrozek. 6) Sempre Mariolina Diana nel libro citato parla dei tre sguardi differenti: teatro, tv, video. 7) il film è tutto recitato in francese 8) l'intruso sconosciuto, oltre che scomposto ed elegante, è anche "incazzato nero" come il personaggio del comico italiano Gioele Dix di qualche anno fa. A lui fa da pendant, nel finale lo spettatore "cittadino qualunque" che vuole esprimere la sua opinione (il suo caso, anche lui!) 9) tutti gli attori sono molto bravi, spendo una parola per Bulle Ogier che non immaginavo così brava, dai film che ha recitato non l'avevo mai capito ma evidentemente il teatro era la sua dimensione, più del cinema. 10) nella prima parte, gli attori inciampano nel tappeto: un'altra gag da cinema muto. 11) il pianoforte che suona da solo (qui una pianola a rullo) rimanda a "La regola del gioco" di Jean Renoir. Luis Miguel Cintra, l'intruso sconosciuto, rimanda anche a un altro film di Renoir, "Le docteur Cordelier" (cioè Dr Jekyll e Mr. Hyde) 12) il dipinto che si vede nella scenografia liberty della prima parte (una donna sdraiata) è di Felix Vallotton. 13) la musica nel finale sembra di Erik Satie 14) il sorriso della Gioconda, come il primo piano della bocca della maschera tragica? 15) Un sorriso lo ha strappato anche a me, perché in scena c'è l'Autore, poi lo Spettatore in platea, eccetera (ma non è Trivio, e neanche Mrozek). (Quest'ultimo punto, per chi fosse interessato, rappresenta il "mio" caso. Ovviamente, non potevo tirarmi indietro - I beg your pardon...)

PS: l'abbinamento fra Beckett e il Libro di Giobbe è presente già in "Shakespeare nostro contemporaneo" di Jan Kott (pagina 111 dell'edizione italiana disponibile negli anni '80). In particolare, Jan Kott parla di "Atto senza parole". E' un libro famoso, più che probabile che Manoel de Oliveira lo abbia letto.
 


 

 
 

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