My darling Clementine (Sfida infernale,
1946) Regia di John Ford. Scritto da Sam Hellman, Samuel Engel,
Winston Miller, Stuart Lake. Fotografia di Joseph McDonald. Musiche
di Cyril Mockridge. Interpreti: Henry Fonda (Wyatt Earp), Victor
Mature (Doc Holliday), Linda Darnell (Chihuahua), Cathy Downs
(Clementine Carter), Ward Bond, Tim Holt, Don Garner (fratelli di
Earp), Walter Brennan (Clanton padre), Grant Withers, John Ireland
(figli di Clanton), Alan Mowbray (l'attore), Ben Hall (barbiere),
Frank Conlan (pianista), e molti altri. Durata: 97 minuti
Shakespeare nel Far West può sembrare
strano, a meno che non sia fonte d'ispirazione più o meno mascherata
per il soggetto: non è il caso di "My darling Clementine"
(Sfida infernale, 1946) dove John Ford si prende il lusso (e il
piacere) di fare una pausa, insieme ai suoi personaggi, per ascoltare
un momento dall'Amleto. Non è l'unica pausa nella narrazione: c'è
la scena dal barbiere, la danza davanti alla chiesa in costruzione.
Divagazioni solo in apparenza, perché - ma bisogna saperlo fare, non
è cosa da tutti - finiscono per diventare l'asse portante del film.
E' divertente guardare "Sfida all'OK Corral" di John
Sturges (1956, stesso soggetto, con Kirk Douglas e Burt Lancaster)
per cogliere le differenze con il film di John Ford. Si tratta di due
grandi film, con attori eccellenti in entrambi i casi, ma John Ford
ha qualcosa in più che al film di Sturges manca. Il film di Sturges
è "soltanto" un western, quello di Ford è qualcosa di
più, e a tratti sembra quasi che a Ford non interessi più di quel
tanto la realtà storica (Wyatt Earp e Doc Holliday sono due
personaggi realmente esistiti) e forse nemmeno il famoso
combattimento finale all'OK Corral (che nel film di John Sturges ha
un rilievo molto maggiore). Non è un caso la scelta del monologo di
Amleto: troppo spesso citato a vanvera, anche in tv e nei social,
"essere o non essere" parla della nostra vita e pone le
domande fondamentali. E' un testo disperato e molto lucido; Carlo
Emilio Gadda ne diede una definizione fondamentale (qui per il testo
completo) spiegando che è una stupidaggine definire Amleto come un
indeciso o un dubbioso. Amleto sa che deve agire e sa come farlo, ma
sa anche che le sue azioni porterebbero inevitabilmente a una
tragedia, ed è questo che gli impedisce di agire, la lucidità e la
presa di coscienza, e non il dubbio.
La scena che porto qui oggi comincia al
minuto 25, quando un uomo visibilmente ubriaco entra nel saloon dove
Wyatt Earp e Doc Holliday stanno facendo amicizia poco dopo essersi
conosciuti. L'ubriaco è un attore di teatro, e si chiama Granville
Thorndike; lo interpreta Alan Mowbray.
Thorndike non somiglia a nessuno dei
presenti, ricorda il cappellaio matto di Lewis Carroll, oppure WC
Fields, o Achille Majeroni nei "Vitelloni" di Fellini.
L'attore viene dalla città, ha un accento diverso (Alan Mowbray è
inglese), ha pretese di eleganza nel vestire, niente a che fare con
la città dei cowboys e dei contadini in cui si svolge la storia.
Insomma, un estraneo: che suscita interesse e curiosità perché
comunque viene dal "bel mondo", quello a cui aspira di
appartenere anche una città come Tombstone, ancora infestata da
banditi e sparatorie.
Appena dopo la sua battuta d'ingresso,
Wyatt Earp e Doc Holliday capiscono che difficilmente l'attore
ubriaco se la caverà da solo: "Sarà meglio accompagnarlo al
teatro" dice Henry Fonda (Wyatt Earp) vedendolo brillo. Il
teatro si chiama Golden Cage, "Gabbia d'oro" e l'attore si
fa aiutare volentieri: "The show must go on, - dice Thorndike, -
lead on!". Al minuto 27, dopo solo due minuti, Thorndike esce
dal saloon. "E' da tanto tempo che non ascolto Shakespeare"
dice Doc Holliday all'amico Earp, e insieme decidono di andare a
teatro, ma Thorndike non è lì e il pubblico rumoreggia. In
locandina non c'è Amleto ma "The convict's oath - a blood
chilling drama", un dramma "che fa agghiacciare il sangue".
L'apertura del sipario è preceduta da una tromba, che vorrebbe forse
intonare "Marble Halls" di Balfe, poi esce l'impresario; in
un palco ci sono Doc, Earp e Chihuahua (Linda Darnell). L'impresario
deve spiegare che l'attore non si trova e lo spettacolo deve essere
annullato; il pubblico vorrebbe legare l'impresario a una panca e
portarlo in giro per la città, perché non è la prima volta che
pagano per poi non vedere niente. Lo sceriffo Wyatt Earp dice che non
è un'idea malvagia e che si può fare, però ha un'idea migliore, sa
dov'è l'attore e si impegna a portarlo in venticinque minuti. Con
Wyatt Earp va anche Doc Holliday.
Siamo al minuto 29, Thorndike è in un
altro locale ed è impegnato con i Clanton (i cattivi del film); sta
in piedi su un tavolo e i cowboys gli chiedono che cosa sa fare: "I
have a large repertoire, sir", dice l'attore, e beve
direttamente dalla bottiglia, ma appare più sobrio che nella scena
precedente. Per risposta, i Clanton ridono e poi sparano alla
bottiglia sul tavolo, ma Thorndike non si scompone più di quel tanto
e anzi inizia il monologo di Amleto. Nell'edizione italiana si
ascolta la voce di Carlo Romano, doppiatore di tantissimi film per
più di trent'anni: la voce di Fernandel per don Camillo e di Eli
Wallach nei film di Sergio Leone, per intenderci.
Thorndike chiede al pianista di
suonare per accompagnare la recitazione; nell'originale è "Maestro, prego" e non
"menestrello" come nella versione italiana. Qui arrivano
Doc e Earp: si fermano un attimo sulla porta, poi entrano e si fanno
largo.
Thorndike comincia:
To be, or not to be,
that is the question :
whether 'tis noble in
the mind to suffer
the slings and arrows
of outrageous fortune,
or to take arms against
a sea of troubles,
and by opposing end
them ? To die, to sleep -
no more ; and by a
sleep to say we end
the heartache and the
thousand natural shocks
that flesh is heir to ;
'tis a consummation
devoutly to be wished.
To die, to sleep -
to sleep, perchance to
dream, ay there's the rub,
for in that sleep of
death what dreams may come
when we have shuffled
off this mortal coil,
Qui viene fermato dai Clanton: "non
hai niente di più divertente, non sai ballare o cantare?" ma
Doc Holliday (Victor Mature) li zittisce e dice a Thorndike di
continuare.
Porto qui sotto la traduzione di
Alessandro Serpieri (ed.Feltrinelli 1982):
Essere o non essere, questa è la
domanda: se sia più nobile per la mente soffrire i colpi e le frecce
dell'oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni
e, contrastandoli, finirli? Morire, dormire, nient'altro, e con un
sonno dire fine alla stretta del cuore e ai mille tumulti naturali
che eredita la carne. E' una consumazione da desiderare devotamente.
Morire, dormire. Dormire, forse sognare; e qui è lo scoglio. Perché,
in quel sonno di morte, quali sogni possano venire dopo che ci siamo
cavati di dosso questo groviglio mortale...
Thorndike riprende:
...when we have
shuffled off this mortal coil,
must give us pause ;
there's the respect
that makes calamity of
so long life.
For who would bear the
whips and scorns of time,
the oppressor's wrong,
ht the proud man's contumely,
the pangs of despised
love, the law's delay,
the insolence of
office, and the spurns
that patient merit of
the unworthy takes
when he himself might
his quietus make
with a bare bodkin ?
Who would fardels bear,
to grunt and sweat
under a weary life,
Ma qui Thorndike comincia
ad avere dei problemi di memoria e si ferma, stavolta da solo. Doc
gli suggerisce il verso ma l'attore lo prega di continuare, lui non
si ricorda più.
Questa la versione
italiana di Alessandro Serpieri (ed. Feltrinelli 1982):
Perché, in quel sonno
di morte, quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di
dosso questo groviglio mortale, deve farci esitare. Ecco il motivo
che dà alla sventura così lunga vita. Perché chi sopporterebbe le
frustate e gli scherni del tempo, il torto degli oppressori, l'offesa
degli arroganti, gli spasmi dell'amore disprezzato, i ritardi della
legge, l'insolenza delle cariche ufficiali, e gli insulti che il
merito paziente riceve dagli indegni, quando da solo potrebbe darsi
la sua quietanza con un semplice stilo? (qui Thorndike tira fuori il
pugnale di scena). Chi vorrebbe portare pesi, per imprecare e sudare
sotto una faticosa vita...
Doc Holliday continua il
monologo di Amleto al posto di Thorndike:
... Who would fardels
bear,
to grunt and sweat
under a weary life,
but that the dread of
something after death,
the undiscovered
country from whose bourn
no traveller returns,
puzzles the will,
and makes us rather
bear those ills we have,
than fly to others that
we know not of ?
Thus conscience does
make cowards of us all,
Doc conosce l'Amleto
a memoria, mancano solo pochi versi ma anche lui deve fermarsi: ha
uno sbocco di tosse, è la tisi che lo perseguita. Esce dal saloon,
mentre Wyatt Earp aiuta l'attore a scendere dal tavolo.
Questa è la versione italiana di
Alessandro Serpieri (ed. Feltrinelli 1982):
Chi vorrebbe portare
pesi, per imprecare e sudare sotto una faticosa vita, se non fosse il
terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dal cui
confine nessun viaggiatore ritorna, sconcerta la volontà e ci fa
sopportare i mali che abbiamo piuttosto che volare ad altri che non
conosciamo? Così la coscienza fa dei codardi di noi tutti...
Wyatt Earp convinece Thorndike ad
uscire dal saloon, mettendo a tacere i Clanton anche con le cattive
maniere:
Thorndike: Shakespeare non era
pensato per le taverne... non per gli zotici
Ike Clanton: (trattenendo Thorndike
per un braccio): Yorick rimane qui!
Wyatt Earp colpisce
Clanton con il calcio della pistola sulla testa, e fa uscire
Thorndike. Yorick, si può ricordare, è il buffone di corte che
allietò l'infanzia di Amleto; nell'ultimo atto, Amleto ne ritrova il
teschio mentre al cimitero si prepara la tomba di Ofelia. (Dunque anche gli
zotici Clanton conoscevano l'Amleto a memoria?)
Siamo al minuto 32. La mattina dopo,
l'attore andrà via di corsa sulla diligenza per evitare di pagare il
conto, e non lo vedremo più.
Questa è la parte finale del monologo
di Amleto, sempre nella traduzione di Serpieri:
Così la coscienza fa
dei codardi di noi tutti, e così il colore naturale della
risoluzione è contagiato dalla pallida cera del pensiero, e imprese
di grande altezza e momento per questa causa deviano dal loro corso,
e perdono il nome di azione.
Nei film di lingua inglese di quel
periodo è molto facile trovare citazioni shakespeariane, con
personaggi che sanno a memoria intere scene; ricordo per esempio "Le
quattro piume" di Zoltan Korda (1939) con il grande Ralph
Richardson (purtroppo da noi il film di Korda è quasi scomparso,
circola solo il mediocre remake recente, che non vale molto - ma così
va con i funzionari televisivi del Nuovo Millennio).
"My darling Clementine" è un
film famoso, non mi dilungo sulla trama e non scrivo una recensione
(ce ne sono tante di ottime e di ogni tipo, sia nei libri che su
internet). Mi segno qualche appunto personale preso durante la
visione:
1) Henry Fonda in questo film è una
probabile ispirazione per i fumetti di Lucky Luke, insieme ai cowboys
di James Stewart. 2) l'arrivo di Wyatt Earp a Tombstone, con la
cattura dell'ubriaco pericoloso, potrebbe aver ispirato Akira
Kurosawa per l'inizio "I sette samurai". 3) si comincia
però con le mucche al pascolo: Wyatt Earp ha lasciato la sua carica
di sceriffo per dedicarsi al commercio di bestiame, insieme ai suoi
fratelli. L'assassinio del minore dei quattro Earp spingerà Wyatt
Earp a riprendere la stella di sceriffo. 4) Gli storici del West
ricordano che questo film si prende molte libertà, questa non è la
storia vera di Wyatt Earp e Doc Holiday e ciò che si vede è in gran
parte prodotto di fantasia. 5) il film è girato in un bianco e nero
da leggenda, merito del direttore della fotografia Joseph Mc Donald.
Chi ancora crede che il bianco e nero sia meno bello del colore,
provi a guardare questo film. 6) la chiesa e la danza, poi ripresi e
amplificati da Michael Cimino in "I cancelli del cielo".
7) la voce di Emilio Cigoli, nel doppiaggio italiano, è molto
diversa da quella di Henry Fonda 8) il soggetto è forse più noto
come "Sfida all'OK corral", che è il titolo italiano di un
film di John Sturges, girato dieci anni dopo, con Burt Lancaster come
Wyatt Earp e Kirk Douglas come Doc Holliday.
Infine:
O God, I could be bounded in a nutshell, and count myself a king of infinite space, were it not that I have bad dreams.
O God, I could be bounded in a nutshell, and count myself a king of infinite space, were it not that I have bad dreams.
(Hamlet
: atto 2 scena 2 )
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