giovedì 5 luglio 2012

La classe operaia va in Paradiso ( V )

La classe operaia va in paradiso (1971) Regia di Elio Petri. Scritto da Elio Petri ed Ugo Pirro. Fotografia di Luigi Kuveiller. Musiche di Ennio Morricone. Interpreti: Gian Maria Volontè, Salvo Randone, Mariangela Melato, Mietta Albertini, Renata Zamengo, Flavio Bucci, Gino Pernice, Luigi Diberti, Donato Castellaneta, Ezio Marano Durata: 1h50’

Tra gli attori, oltre ai protagonisti principali, spiccano due nomi importanti: Flavio Bucci e Luigi Diberti. Bucci è stato un attore molto popolare, in tv ha interpretato molti sceneggiati, famosissimo il suo Ligabue nella biografia del pittore emiliano; negli anni successivi si è però dedicato quasi soltanto al teatro. Il personaggio di Flavio Bucci in “La classe operaia” non ha un nome: è uno degli operai accanto a Volonté, uno dei giovani (non uno dei neo assunti, è già presente dall’inizio). Dal teatro viene anche Luigi Diberti, l’operaio-sindacalista che vive con la moglie separata di Lulù. Diberti è stato uno dei protagonisti delle grandi stagioni del Piccolo Teatro di Milano, uno degli attori di fiducia di Strehler; ha però lavorato molto per cinema e tv, anche in anni recenti e in film di successo (come “L’ultimo bacio” di Muccino).
Lo studente barbuto col megafono è Donato Castellaneta, un attore che ha percorso gran parte del cinema italiano. Castellaneta è già presente in “La dolce vita” di Fellini, ovviamente in un piccolo ruolo; io me lo ricordo volentieri (sempre con una gran barba) in un film italiano di Raul Ruiz, “Il viaggio clandestino”.
Altri due attori molto presenti nei film italiani sono Ezio Marano (uno dei tempisti) e Gino Pernice (il sindacalista); purtroppo l’elenco degli attori e dei personaggi ruolo per ruolo non è facile da ricostruire, non l’ho trovato su imdb e nemmeno su wikipedia.
Molto bella la fotografia di Luigi Kuveiller, con colori che rimandano ai film di Jacques Tati (Trafic e Playtime) e forse non è un caso. La musica di Ennio Morricone è perfetta; con Petri, oltre che con Sergio Leone, Morricone ha scritto alcune delle sue musiche più belle e più ricordate.
Altri miei appunti sparsi: 1) il film inizia con la sveglia e finisce col carrellista, dopo il sogno del Paradiso, del muro buttato giù. 2) L’operaio che ha problemi col pisciare, con la prostata: argomento tornato d’attualità con Marchionne, oggi non si verrebbe nemmeno più assunti, anzi per tagliare corto non si assume nessuno con più di trent’anni, le agenzie private dopo i 30 anni non ti chiamano più, figuriamoci se scoprono che hai un qualche disturbo fisico o malattia. 3) Il tempista, il controllo dei tempi, “se lo fa lui lo possono fare tutti” (era il mestiere di Cofferati, prima di fare il sindacalista, alla Pirelli) 4) il cognome Militina rimanda a soldatino, militare, disciplina
 5) nei primi anni settanta, Massa era un calciatore: napoletano di nascita, giocava nell’Inter e nella Lazio. Forse ha avuto un suo ruolo nella scelta del nome del protagonista. 5) Quando gli dicono che è stato riassunto, che hanno vinto anche sul cottimo, Volonté dice “son contento” e il pensiero corre a Gassman e al suo pugile suonato.Volonté esprime benissimo le paure, l’insicurezza, gli basta uno sguardo 6) “ero dietro a sognare” è una tipica espressione milanese, si traduce semplicemente “stavo sognando”. 7) dietro il muro caduto c’è la nebbia, poi Lulù vede il Militina, poi se stesso (un pirla con un dito di meno), poi tutti i compagni di lavoro; dietro il muro c’è il paradiso 8) il ritratto di Stalin nell’armadio, tra le cose vecchie: non lo ha buttato via ma ormai a cosa serve? in effetti, nella mia vita non ho mai incontrato nessuno che parlasse bene di Stalin. Era davvero roba vecchia, l’essere comunisti significava stare dalla parte dei lavoratori; di quegli anni, del 1970 è lo Statuto dei Lavoratori, una legge che avrebbe davvero portato benefici agli operai, soldi e tutele sanitarie. 9) nel film si vedono pupazzi e oggetti che ho conosciuto bene anch’io, soprattutto due: la mucca Carolina, nell’armadio con Stalin, e Susanna tutta panna, all’inizio del film. Erano due regali dei formaggini, si facevano arrivare con i punti che c’erano sulle scatole. Non ho mai invece avuto un Paperone gonfiabile, e nemmeno un casco da astronauta, che però che non mi interessava.
10) molti di questi operai li avrei trovati anni dopo, le stesse persone ma più vecchie, anni dopo, negli anni ’80 11) le vignette di Altan, somiglianza del tornio di Cipputi con questo del film 12) si parla di calcio, gagliardetto del Milan per Volonté che legge Tuttosport : milanista, ma Berlusconi sarebbe arrivato solo quindici anni dopo. 13) il manicomio, come nel Conformista di Bertolucci (stesso anno). 14) l’immagine del cartellone col dito indice era veramente in quella fabbrica, in origine era una semplice indicazione, un cartello come tanti. Petri e i suoi collaboratori lo trovarono in un angolo e lo usarono per il film. 15) tra i racconti sulla lavorazione del film, una lite clamorosa fra Volontè e lo sceneggiatore Ugo Pirro, poi ricomposta, ma con tanto di rincorsa per tutta la fabbrica, eccetera.
La follia della grande fabbrica, con le guardie in portineria e con “l’imparziale” che indica i dipendenti da perquisire, che non si portino fuori qualcosa: non si lavora oro, qui al massimo si portano via un cacciavite, cosa vuoi che succeda. Eppure, “l’imparziale” esisteva davvero, e in moltissime fabbriche. Io un posto così io l’ho solo sfiorato, per mia fortuna ho quasi sempre lavorato in posti medio piccoli, quasi a conduzione familiare, non era un ambiente militarizzato. Insomma, per un bel po’ me la sono schivata, ma poi il mondo è cambiato anche nei posti piccoli sono arrivati i militari... “Io sono diventato matto in fabbrica”, dice Militina, ed è una frase da ricordare. Anche Lulù teme di fare la stessa fine, ha paura di tornare in fabbrica perché ha paura di impazzire. Insomma, “se prendi coscienza sei fottuto”: è un’altra battuta che ascoltiamo nel film, ed è un’amarissima verità.
Di queste cose si parlava molto negli anni ’60, l’incomunicabilità, l’alienazione; oggi che ce ne sarebbe un gran bisogno non se ne parla più. Si vive in due mondi separati, anche da noi c’è un sistema di caste come in India: me lo dicevano e pensavo che fosse una battuta, ho dovuto purtroppo constatare che è vero; per esempio, l’aumento delle tasse scolastiche va in questa direzione, ripristinare le caste, basta con i figli dei poveri mescolati a quelli dei ricchi. Idem con Trenitalia, i Frecciarossa, treni per poveri e treni per ricchi, ben separati. Io non me ne ero mai accorto perché ho cominciato a lavorare dopo, alla fine degli anni ’70, sono vissuto in una pausa temporale che ho scambiato per qualcosa di stabile, ma che stabile non era. In quegli anni, il PCI al 35-40% incuteva rispetto e timore, la condizione degli operai ne ha veramente tratto vantaggio; ma tutto questo ormai non esiste più, esistono la disoccupazione, il precariato, gli esodati, la paura per il futuro.
Viene quindi spontaneo, alla fine del film, il paragone tra il 1971 e oggi, e la realtà di oggi è ancora più terribile. Il mondo è andato ancora peggio, con la caduta del Muro di Berlino e con la globalizzazione i padroni hanno trovato milioni di lavoratori più poveri e più disgraziati di Massa e dei suoi compagni. Qui da noi il lavoro non c’è più, e non c’è più neanche gente come Elio Petri che sappia far pensare, irritare, far ragionare
Quando si parla di queste cose c’è sempre chi tira in ballo il termine “operaismo”, che a me personalmente dà molto fastidio. Operaismo a chi? io sono operaio, non operaista. Io sono figlio di operai, nel mondo operaio ci ho vissuto dentro; operaista è chi sta fuori, chi guarda da lontano senza mai sporcarsi le mani con la realtà. Oltretutto, dicendo “operaismo” si dà quasi per scontato che si consideri positiva la condizione dell’operaio, o magari del contadino: no, sono lavori duri che ognuno di noi vorrebbe evitare, o evitare ai propri figli; ma qualcuno deve farlo, questo lavoro, ed è giusto che lavori nelle migliori condizioni possibili, sia per i soldi che per la salute.
Infine, un ricordo personale: il personaggio di Volontè dice di soffrire di ulcera, come mio padre. Ulcera allo stomaco, già operata prima che io nascessi e che – lo avrei saputo molti anni dopo – sarebbe degenerata in cancro. Oggi forse sarebbe arrivata la diagnosi prima che fosse troppo tardi; ma negli anni ’50 e ’60 queste diagnosi non erano ancora possibili. Quanto ci fosse di malattia professionale, in questa ulcera di mio padre, non lo saprò mai; ho però conosciuto altre persone che si sono ammalate in fabbrica, sempre come indicato dal personaggio di Volonté nel film di Petri, intossicazioni da vernici, da solventi, da ossido di etilene, da metabisolfito...Molti sono morti intorno ai cinquanta o sessant’anni, poco prima o poco dopo la pensione; nessuno ha fatto denuncia, ogni famiglia si è tenuto il suo morto, queste persone non rientrano in nessuna statistica ma io le ho conosciute e potrei fare un elenco dei loro nomi: lo faccio mentalmente, per conto mio, sono già arrivato a quindici. Un reparto intero, compresi i capi e il proprietario della ditta.
Mio padre era una persona fine, snello ed elegante, parlava con molta proprietà un italiano correttissimo, quando si vestiva bene era difficile pensare che fosse un operaio. Sul lavoro, io che ho studiato non ero proprio a mio agio con gli altri della fabbrica. Anch’io studente, anch’io estraneo, dunque; il cambiamento generazionale che aveva colpito Pasolini.
La scuola d'obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell'autogestione, del decentramento ecc.: tutto un imbroglio). Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po' di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero (cioè appartenente a un'altra cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è ben chiaro che chi ha fatto la scuola d'obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio di sapere, e si scandalizza di fronte ad ogni novità). Una buona quinta elementare basta oggi in Italia a un operaio e a suo figlio. Illuderlo di un avanzamento che è una degradazione è delittuoso: perché lo rende: primo, presuntuoso (a causa di quelle due miserabili cose che ha imparato); secondo (e spesso contemporaneamente), angosciamente frustrato, perché quelle due cose che ha imparato altro non gli procurano che la coscienza della propria ignoranza. Certo arrivare fino all'ottava classe anziché alla quinta, o meglio, arrivare alla quindicesima classe, sarebbe, per me, come per tutti, l'optimum, suppongo. Ma poiché oggi in Italia la scuola d'obbligo è esattamente come io l'ho descritta (e mi angoscia letteralmente l'idea che vi venga aggiunta una "educazione sessuale", magari così come la intende lo stesso "Paese Sera"), è meglio abolirla in attesa di tempi migliori: cioè di un altro sviluppo. (E' questo il nodo della questione).
( Pier Paolo Pasolini , dal Corriere della Sera, 18 ottobre 1975 Aboliamo la tv e la scuola dell'obbligo )
Marco Paolini, invece, parlando di rugby tirò in ballo il concetto di “mancanza d’ignoranza”: un po’ di sana ignoranza aiuta molto, nel rugby e nello sport agonistico in genere. Uno che ha studiato difficilmente farà un placcaggio o un tackle di quelli duri, da spaccare; un ignorante invece non ci starà troppo a pensare.
A pensarci bene, non stiamo parlando soltanto di rugby. Funziona così anche nella vita, anch’io spesso mi sono trovato a pensare che con un po’ di ignoranza in più si vive meglio. Insomma, ancora una volta, la coscienza è dolorosa: come in Pirandello, come in Sciascia, come nei film di Petri, “se prendi coscienza sei fottuto”.
- Tutti i personaggi interpretati da Volonté fanno la storia di un altro italiano rispetto a quello interpretato da Sordi.
- Sì, è stato un vero antagonista dei protagonisti della commedia all’italiana. Rappresenta sempre una persona schiva, scavata, con una forte interiorità, seria. Gian Maria me lo ricordo serio, forse anche troppo. (...)
- Dei film di Elio Petri che giudizio davate?
- Tenete conto che la schizzinosità delle persone della sinistra extraparlamentare di allora, non solo mia, da questo punto di vista aveva ancora effetti disastrosi; era un problema soprattutto di ignoranza e di sicumera. (...) Un mio rovello di anni più recenti è stato proprio pensare a certe occasioni mancate; io ad esempio avevo una buona e amichevole conoscenza con Primo Levi, eppure non lo frequentavo abbastanza. Abitavo a Torino e potevo incontrarlo con una certa facilità, parlare con lui e ascoltarlo, confrontarmi; eppure non ci pensavo, non mi interessava. Una cosa inconcepibile. Adesso darei chissà che cosa per poterlo rivedere...
Repubblica 26 agosto 2005, da un’intervista ad A.Sofri
(Primo Levi, La chiave a stella, ancora il mondo del lavoro...)

2 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Aggiungo solo un piccolo ricordo personale di quando ho visto questo film: Volonté che si rivolge a Bucci e gli dice: "io sono di Milano, Lombardia, quasi Svizzera". Lo trovai divertente, ecco.

Giuliano ha detto...

qui lo abbiamo detto tutti, prima o poi lo diciamo tutti
:-)
mio fratello abita a 4 Km dal confine, in linea d'aria anche meno