sabato 21 luglio 2012

A ciascuno il suo ( III )

A ciascuno il suo (1967) Regia di Elio Petri. Tratto dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia. Sceneggiatura di Elio Petri e Ugo Pirro, Jean Curtelin. Fotografia: Luigi Kuveiller. Musica: Luis Enrique Bacalov. Con Gian Maria Volontè, Irene Papas, Gabriele Ferzetti, Salvo Randone, Luigi Pistilli (il farmacista), Laura Nucci (madre di Laurana) Mario Scaccia (il prete), Leopoldo Trieste (il deputato PCI) Gianni Pallavicino (Raganà) Luciana Scalise (Rosina) Franco Tranchina (Roscio) Anna Rivero (moglie del farmacista) Orio Cannarozzo (ispettore polizia) Carmelo Olivero (arciprete) Durata: 99 minuti.

Il colloquio con il padre di Roscio (Salvo Randone), un oculista importante diventato cieco, è nel capitolo VIII. Nel libro si dice l’uomo ha 92 anni; Randone è perfetto nell’interpretazione ma è molto più giovane, poco oltre i sessanta.
- Certe cose, certi fatti, è meglio lasciarli nell’oscurità in cui stanno...Proverbio, regola: il morto è morto, diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c'è un morto e c'è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano vede invece il morto ammazzato e l'assassino: e il vivo da aiutare è appunto l'assassino. Che cosa è poi un morto, per un siciliano, forse l'ha capito quel Lawrence che ha contribuito a cacciare l'eros nel cul di sacco: un morto è una ridicola anima del purgatorio, un piccolo verme dai tratti umani che saltella su mattoni roventi... Ma si capisce che quando il morto è del nostro sangue, bisogna far di tutto perché il vivo, cioè l'assassino, vada presto a raggiungerlo tra le fiamme del purgatorio... Io non sono siciliano fino a questo punto: non ho mai avuto inclinazione ad aiutare i vivi, cioè gli assassini, e ho sempre pensato che le carceri siano un piú concreto purgatorio... Ma c'è qualcosa, nella fine di mio figlio, che mi fa pensare ai vivi, che mi dà una certa preoccupazione per i vivi...
- I vivi che sono gli assassini?
- No, non a quei vivi che direttamente, materialmente l'hanno ucciso. Ai vivi che l'hanno disamorato, che l'hanno portato a vedere certe cose della vita, a farne certe altre... Ad un'età come la mia, uno che ha la ventura di arrivarci è disposto a credere che la morte è un atto di volontà; un piccolo atto di volontà, nel mio caso: a un certo punto sarò stufo di sentire la voce di costui - indicò il giradischi - e il rumore della città, la cameriera che da sei mesi canta di una lacrima sul viso e mia nuora che da dieci anni, ogni mattina, si informa della mia salute con la speranza appena velata di apprendere che sono finalmente all'amen: e deciderò di morire, cosí come uno chiude il telefono quando dall'altra parte c'è un seccatore o un cretino... Ma voglio dire questo: che ci può essere in un uomo una esperienza, una pena, un pensiero, uno stato d'animo per cui la morte, infine, è soltanto un formalità. E allora, se responsabili ci sono, bisogna cercarli tra i piú vicini: e nel caso di mio figlio si potrebbe cominciare da me, ché un padre è sempre colpevole, sempre -. Gli occhi spenti sembravano perdersi nella lontananza del passato, dei ricordi. - Come vede, sono anch'io uno dei vivi che bisogna aiutare.
Laurana sospettò ci fosse nel discorso una specie di doppio fondo; o soltanto un'oscura, dolorosa intuizione. Domandò - Lei sta pensando a qualcosa di preciso?
- Oh no, niente di preciso. Penso ai vivi, gliel'ho detto. E lei?
- Non so - disse Laurana.
Cadde tra loro il silenzio. Laurana si alzò per congedarsi. Il vecchio gli porse la mano, disse - È un problema - e forse si riferiva al delitto, forse alla vita.
(Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo, capitolo VIII)
Un’immagine barocca e preziosa, da grande osservatore, è nel capitolo XII:
Per quel che ne sapeva, l'uomo che fumava sigari Branca poteva essere un sicario come poteva essere un professore unìversitario di Dallas venuto a nutrirsi al petto, copioso di dottrina, dell'onorevole Abello. Soltanto l'istinto, in lui come in ogni siciliano affinato da un lungo ordine di esperienze, di paure, lo avvertiva del pericolo: così come il cane sente nella traccia del porcospino, prima ancora di avvistarlo, lo strazio degli aculei; e lamentosamente guaisce.
(Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo, capitolo XII)
Il successivo colloquio di Laurana con Rosello (Ferzetti) è nel capitolo XII:
- Voglio dire: poiché l'onorevole sta piú a sinistra dei cinesi...
- Ecco come siete, voi comunisti: di una frase fate una corda, e ci impiccate un uomo... Io ho detto cosí per dire, che sta a sinistra dei cinesi... Se ti fa piacere, posso anche dirti che sta a destra di Franco... E un uomo straordinario, che ha idee talmente grandi che queste miserie di destra e di sinistra, te l'ho detto già, per lui non hanno senso... Ma scusami, ne parleremo un'altra volta: ho da fare, debbo tornare a casa -. Se ne andò un po' intorbidato in faccia, senza salutare.
(Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo, capitolo XII)
Nel finale, Petri rende perfettamente il momento dell’attesa, quello in cui, al bar, Laurana attende il momento dell’appuntamento con la donna che lo porterà alla sua fine. E’ nel libro di Sciascia anche la battuta greve all’inizio della scena, quella sull’animale "che tiene il becco sottoterra".
Passeggiò con furore tra la porta e il banco.
- Ha qualche preoccupazione? - domandò il barone interrompendo la lettura.
- No: è che sono qui da due ore.
- Noi siamo qui da anni - disse il barone chiudendo il libro e restituendoglielo.
(Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo, capitolo XVI)
(continua)

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