giovedì 5 luglio 2012

La classe operaia va in Paradiso ( II )

La classe operaia va in paradiso (1971) Regia di Elio Petri. Scritto da Elio Petri ed Ugo Pirro. Fotografia di Luigi Kuveiller. Musiche di Ennio Morricone. Interpreti: Gian Maria Volontè, Salvo Randone, Mariangela Melato, Mietta Albertini, Renata Zamengo, Flavio Bucci, Gino Pernice, Luigi Diberti, Donato Castellaneta, Ezio Marano Durata: 1h50’

Nei film di Elio Petri appare spesso Salvo Randone, uno dei più grandi attori italiani di tutti i tempi.
Di Randone, siciliano di Siracusa, classe 1906, attore principalmente di teatro, sono rimaste leggendarie le interpretazioni di Ibsen, di Pirandello, e di tutti i più grandi autori; ha realizzato anche alcuni autentici exploit, come la lunga tournèe a inizio anni ’60 con Vittorio Gassman, nella quale i due si scambiavano i ruoli di Otello e di Iago. Una sera Gassman era Otello e Randone era Iago, la sera dopo Randone era Otello e Gassman era Iago: in teatro, senza microfoni, senza rete (di queste recite esiste anche una registrazione Rai, in studio).
Nei film di Elio Petri, Randone è sempre il centro del film, il suo cuore. E’ quasi qualcosa di soprannaturale: Randone non è il protagonista, non è bello né gradevole, eppure tutto ruota intorno a lui, lui sembra sempre sapere qualcosa che agli altri sfugge; alle volte è un folle ricoverato in manicomio (La classe operaia) o magari un vecchio cieco (A ciascuno il suo). Joseph Conrad chiamò questo modo di essere “Cuore di tenebra”: Randone nei film di Petri è quasi sempre come il colonnello Kurtz, quello che in seguito sarà interpretato da Marlon Brando in “Apocalypse now”.
Randone è un altro spreco del cinema italiano, che pure ha regalato soldi e fama ad attori molto meno dotati, come Sordi e Verdone. Non so quanto si possa capire della sua grandezza da un solo film, è un attore sottile e tutt’altro che spettacolare, sempre sotto tono; per capire veramente chi è stato Salvo Randone, senza averlo mai visto a teatro, bisogna forse rivolgersi a un film più leggero, “Anni ruggenti” di Luigi Zampa: un adattamento di “L’ispettore generale” di Gogol. E’ da grandissimo interprete il sorriso di Salvo Randone, la sua risata nel finale di “Anni ruggenti” di Zampa, quando è il primo a scoprire che Nino Manfredi non è l’Ispettore Generale tanto atteso e temuto; un sorriso che vediamo anche in “La classe operaia”, ma virato verso l’amarezza e verso la follia. Randone ha sempre qualcosa a che vedere con la magia, è magico in questo senso, sembra sempre che sia in contatto con l’aldilà o con forze a noi ignote, con qualcosa che noi non conosciamo ma che lui percepisce.
Il personaggio di Militina, qui interpretato da Randone, è la prosecuzione di “I giorni contati”, il primo film da regista di Elio Petri. Potrebbe perfino essere lo stesso identico personaggio, se non fosse per alcune differenze: Roma invece di Milano, il lavoro in proprio come idraulico invece del lavoro sotto padrone in fabbrica. Il protagonista di “I giorni contati” è proprio Salvo Randone, in un film forse non perfettamente riuscito ma che va visto se si vuole capire bene cosa succede in “La classe operaia va in Paradiso”.
L’altro protagonista del film è Gian Maria Volonté: che è diverso da lui ma che in Militina si rispecchia, e teme di fare la sua stessa fine. Siamo ancora ai manicomi degli anni ’60, prima della riforma Basaglia: un manicomio senza speranza, che fa paura. Quando si entra in manicomio, non se ne esce più.
Volonté ha al suo attivo molte interpretazioni, di vario tipo: si va dalla recitazione sottotono, sussurrata, di “Ogro” di Pontecorvo o di “Il sospetto” di Maselli al comico leggero e divertito di “L’armata Brancaleone”, fino ai ruoli in cui è irritante, eccessivo, caricaturale, sempre sopra le righe, come questo di “La classe operaia”, a tratti difficile da sopportare. Caricaturale? certo, come l’ispettore di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, irritante e caricaturale, eccessivo, fastidioso, un eccesso di toni acuti e gridati. Petri e Volonté vogliono davvero urtarci, dar fastidio, evitarci di stare comodi; ma Volonté sa esprimere perfettamente le paure e le insicurezze del suo personaggio. Nel finale, quando i compagni della fabbrica gli danno la notizia della sua riassunzione, e della vittoria dei lavoratori anche su tutte le altre richieste, l’espressione di paura del volto di Volonté è qualcosa che non si dimentica: una paura apparentemente insensata (perché spaventarsi e preoccuparsi, se hai vinto?) che riempie di un significato nuovo tutto quello che abbiamo visto, e che rende il film attualissimo ancora dopo quarant’anni.
Rivedendo il film, forse anche per banali questioni d’età (la mia), mi ha interessato molto la scena con lo psicologo aziendale, quando Massa rientra in fabbrica dopo l’infortunio e mostra di essere cambiato, di non essere più lo stesso di prima. La direzione si preoccupa e vuole approfondire, vedere cosa succede in quello che era stato il dipendente modello. Lo psicologo, quasi senza sembrare, con molta abilità, porta subito il discorso sull’impotenza. Massa dice di avere 31 anni (Volonté era un più vecchio: nato nel 1933, si avvicinava ai quarant’anni), lo avevamo visto in difficoltà con la sua attuale compagna (la moglie sta con un altro operaio suo amico), scopriremo poi che fa ancora conquiste e che tutto gli funziona bene; ma questo passaggio del film non è da sottovalutare, non siamo in un film di Pierino e la questione è seria, anche perché Massa ha detto di avere subito un’intossicazione da vernici, nella fabbrica dove lavorava prima. Ma, per un uomo, la questione del “ti tira” (chiedo scusa per la volgarità) è la prima che viene in mente quando ci sono dei problemi, un luogo comune dei più abusati, come le mestruazioni per le donne. In realtà, il problema è il lavoro, l’ambiente di lavoro e il lavoro in sè: ma fa molto comodo spostare il discorso, parlare d’altro. Dicendo “gli tira, non gli tira”, l’attenzione finisce sul sesso, si fanno battute, magari si ride, ma invece è la fabbrica, è il lavoro, a spezzare il fisico, a far sembrare più vecchi di quello che si è, a far passare la voglia di vivere. Da questo punto di vista, a quarant’anni di distanza dal film di Petri, le cose non sono cambiate di molto: nel dibattito recente sulla Fiat di Melfi e di Pomigliano, oppure nei processi per le malattie dovute all’amianto, o all’uranio impoverito, o al cloruro di vinile a Marghera, di queste cose si è cominciato a parlare, ma il discorso è stato subito sviato: non interessa, si preferisce dire “fanno sciopero e assemblea quando c’è la partita”, e altre amenità. Ai giornali, ai mezzi di comunicazione, perfino agli operai stessi, parlare di cose serie interessa poco o niente; c’è molto servilismo in tutto questo, e anche molta paura. In fondo, è come parlare della morte, e della malattia: sia fisica che mentale. Comprensibile quindi che si cerchi di rimuovere, di non parlarne, di deviare il discorso sul “ci riesce ancora, non ci riesce più”.
In questo senso, mi sento di dire che va intesa tutta la scena di Massa con lo psicologo: è il lavoro che crea il problema, il cottimo esasperato, ci vorrebbero ritmi diversi, ma così non succede. Il fisico? Il mio fisico sta bene, grazie; ogni volta che lo chiamo, il fisico risponde ed è una cosa che mi fa molto piacere: ma, scusate la sincerità, a voi cosa ve ne frega? Pensate piuttosto al lavoro, a come si lavora, alle paghe, alle tutele sanitarie...
Non è un caso che la scena venga subito dopo il rientro al lavoro di Massa, con un dito tagliato: voi pensate subito al dito come se fosse il pene, io penso invece che è un dito tagliato. E aggiungo: da dove credete che vengano, oggi, le liti, le violenze in famiglia, perfino gli omicidi? Mi ricordo dibattiti in tv dove il sindacalista della Fiom del 2012 (Landini) portava dati e statistiche sui problemi fisici per gli operai di Melfi, alla Fiat, sulle catene di montaggio e costretti a movimenti innaturali e ripetitivi per otto ore al giorno, con limitazioni anche sulle pause per andare a fare pipì (altra scena presente nel film di Petri, si badi bene); l’argomento non interessava minimamente, il moderatore l’ha giudicato poco interessante e poco spettacolare (non si fa audience parlando di malattie professionali degli operai lucani e calabresi), l’interlocutore della Confindustria ha cambiato subito discorso, si è passati subito al bisogno di “incrementare la produzione” , come fa anche Massa nel film di Petri: la battuta è nella scena dell’assemblea, quella che precede il licenziamento di Massa.
- Sentimi bene, Massa, ma tu che adesso parli tanto dov’è che eri quando noi altri abbiamo lottato, quando abbiamo fondato il sindacato qui in fabbrica....?
- Dov’è che ero...facevo il cottimista, seguivo la politica dei sindacati, lavoravo per la produttività. Incrementavo, incrementavo, io. E adesso, adesso cosa sono diventato? Guarda, sono diventato una bestia, una bestia...
- Te sei una bestia, mica noi altri (...)
(da “La classe operaia va in Paradiso”, scena dell’assemblea in fabbrica, un’ora circa dall’inizio)
(continua)

2 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Un grande film, con due grandissimi attori, Randone e Volonté. Quest'ultimo è il mio preferito tra tutti gli attori cinematografici italiani, mentre Randone è uno degli idoli di mio padre. Mi ha sempre detto che è stato tanto bravo quanto sottovalutato e che, purtroppo, è anche morto in miseria. Io ho avuto modo di vederlo anche in "Salvatore Giuliano" di Rosi e nel "Satyricon" di Fellini.
Tornando al film oggetto dei tuoi post, caro Giuliano, devo ammettere che mi hai fatto tornare la voglia di rivederlo. E' infatti uno di quei film che ho visto di notte molti anni fa, a basso volume per non svegliare il resto della famiglia che dorme, con gli immancabili Media shopping e Navigare informati a contribuire alla perdita di lucidità dovuta all'ora già tarda. Ma, nonostante questi limiti, ricordo che il film m'era piaciuto (così come "Sbatti il mostro in prima pagina", sempre con Volonté) e penso che meriti ampiamente di essere rivisto con le dovute attenzioni, anche alla luce di queste tue preziose considerazioni.

ps: già che ci siamo... scusa se non mi sono fatto più vivo sul tuo blog, amico mio. E' che tra i preparativi del matrimonio il tempo stringe! :)

Giuliano ha detto...

a dirti il vero, mi manca un po'Immagine Pubblica - però sono contento che ti sposi
:-)
La mia classifica personale, a parte i grandissimi fuori scala come Randone o Romolo Valli, è questa:
numero uno, Ugo Tognazzi
numero due, Volonté
seguono Gassman, Manfredi, Giannini, un gradino sotto Sordi