martedì 20 marzo 2012

Strategia del ragno ( I )

Strategia del ragno (1970). Regia di Bernardo Bertolucci. Tratto da un racconto di Jorge Luis Borges. Sceneggiatura di Bernardo Bertolucci, Marilù Parolini, Edoardo De Gregorio. Fotografia di Vittorio Storaro e Franco Di Giacomo. Scene e costumi di Maria Paola Maino. Musiche di Giuseppe Verdi (Attila, Un ballo in maschera, Trovatore, Rigoletto), canzoni, musiche da ballo. Interpreti: Giulio Brogi, Alida Valli, Pippo Campanini, Tino Scotti, Franco Giovannelli, e brevi apparizioni di Allen Midgette e Giuseppe Bertolucci. Durata: 90 minuti

“Strategia del ragno” è tratto da un racconto di Borges, questo:
Jorge Luis Borges (da “Finzioni”)
TEMA DEL TRADITORE E DELL'EROE
So the Platonic Year
whirls out new right and wrong.
Whirls in the old instead;
all men are dancers and their tread
goes to the barbarous clangour of a gong.
(W. B. Yeats, the tower).
Sotto la nota influenza di Chesterton (inventore ed esornatore di eleganti misteri) e del consigliere aulico Leibniz (che inventò l'armonia prestabilita), ho immaginato questo tema, che forse scriverò e che già in qualche modo mi giustifica, nei pomeriggi inutili. Mancano dettagli, rettifiche, messe a punto; vi sono zone di questa storia che non mi sono state ancora rivelate; oggi, 3 gennaio 1944, l'intravedo cosí. L'azione si svolge in un paese oppresso e tenace: Polonia, Irlanda, la repubblica di Venezia, un qualche stato sudamericano o balcanico... O meglio: l'azione si svolse; poiché, sebbene il narratore sia contemporaneo, il tempo della sua storia è la metà o il principio del secolo XIX.
Diciamo (per comodità narrativa) l'Irlanda. Diciamo il 1824. Il narratore si chiama Ryan. È bisnipote del giovane, dell'eroico, del bello, dell'assassinato Fergus Kilpatrick, la cui tomba fu misteriosamente violata, il cui nome illustra i versi di Browning e di Hugo, la cui statua domina una collina grigia tra rosse paludi. Kilpatrick fu un cospiratore; un segreto e glorioso capitano di cospiratori; come Mosè, che dalla terra di Moab avvistò la terra promessa, e non poté calcarla, Kilpatrick perí alla vigilia della rivolta vittoriosa che aveva premeditata e sognata.
S'avvicina la data del primo centenario della sua morte; le circostanze del delitto sono enigmatiche; Ryan, che sta lavorando a una biografia dell'eroe, scopre che l'enigma non è puramente poliziesco. Kilpatrick fu assassinato in un teatro; la polizia britannica non trovò mai l'uccisore; gli storici affermano che questo insuccesso non intacca la buona reputazione della polizia, poiché fu questa stessa, probabilmente, a farlo uccidere.
Altri aspetti dell'enigma inquietano Ryan. Sono di carattere ciclico: sembrano ripetere o combinare fatti di regioni remote, di remote età. Si sa, per esempio, che gli sbirri che esaminarono il cadavere dell'eroe, trovarono una lettera chiusa che avvertiva Kilpatrick del pericolo che avrebbe corso andando a teatro quella sera; anche Giulio Cesare, mentre stava avviandosi al luogo dove l'attendevano i pugnali dei suoi amici, ricevette un biglietto, che non poté leggere, in cui gli si scopriva il tradimento, con i nomi dei traditori. La moglie di Cesare, Calpurnia, vide rovinare in sogno una torre che il Senato aveva decretato al marito; voci false e anonime, la vigilia della morte di Kilpatrick, annunciarono a tutto il paese l'incendio della torre circolare di Kilgarvan, ciò che poté sembrare un presagio, poiché colui era nato a Kilgarvan.
Questi parallelismi (e altri) della storia di Cesare con quella di un cospiratore irlandese, inducono Ryan a supporre una segreta forma del tempo, un disegno le cui linee si ripetono. Pensa alla storia decimale che ideò Condorcet; alle morfologie che proposero Hegel, Spengler e Vico; agli uomini di Esiodo, che degenerano dall'oro al ferro. Pensa alla trasmigrazione delle anime, dottrina che fa l'orrore della letteratura celtica e che lo stesso Cesare attribuí ai druidi britannici; pensa che prima d'essere Fergus Kilpatrick, Fergus Kilpatrick fu Giulio Cesare. Da questi labirinti circolari lo salva una curiosa scoperta, una scoperta che poi l'inabissa in altri labirinti ancor piú inestricabili ed eterogenei: certe parole che un mendicante scambiò con Fergus Kilpatrick il giorno della morte di quest'ultimo, furono prefigurate da Shakespeare nella tragedia di Macbeth.
Che la storia avesse copiato la storia era già abbastanza stupefacente; che la storia copi la letteratura, è inconcepibile... Ryan accerta che nel 1814 James Alexander Nolan, il piú antico dei compagni dell'eroe, aveva tradotto in gaelico i principali drammi di Shakespeare, tra cui il Giulio Cesare. Scopre anche negli archivi un articolo manoscritto di Nolan sui Festspiele svizzeri: vaste ed erranti rappresentazioni teatrali che richiedono migliaia di attori e che reiterano episodi storici nelle stesse città e montagne in cui occorsero. Un altro documento inedito gli rivela che, pochi giorni prima della fine, Kilpatrick, presiedendo l'ultimo consiglio, aveva firmato la sentenza di morte d'un traditore il cui nome è stato cancellato.
Una simile condanna non è nelle abitudini compassionevoli di Kilpatrick. Ryan ne indaga le ragioni (questa indagine è una delle lacune della storia) e riesce a decifrare l'enigma. Kilpatrick fu ucciso in un teatro, ma di teatro gli serví anche l'intera città, e gli attori furono legione, e il dramma coronato dalla sua morte occupò molti giorni e molte notti. Ecco che cosa avvenne:
Il 2 agosto 1824 i cospiratori si riunirono. Il paese era maturo per la rivolta; qualcosa, tuttavia, mancava sempre; c'era un traditore nel consiglio. Fergus Kilpatrick aveva incaricato James Nolan di scoprire questo traditore. Nolan eseguí il compito: annunciò in pieno consiglio che il traditore era lo stesso Kilpatrick. Dimostrò con prove irrefutabili la verità dell'accusa; i congiurati condannarono a morte il loro presidente. Questi firmò la sua propria condanna, ma implorò che il suo castigo non pregiudicasse la patria.
Allora Nolan concepí uno strano progetto. L'Irlanda idolatrava Kilpatrick; il piú tenue sospetto della sua viltà avrebbe compromesso la rivolta; Nolan propose un piano che fece dell'esecuzione del traditore uno strumento per l’emancipazione della patria. Suggerí che il condannato morisse per mano di un assassino sconosciuto, in circostanze particolarmente drammatiche, che si scolpissero nell'immaginazíone popolare e affrettassero la rivolta. Kilpatrick giurò di collaborare a questo progetto, che gli offriva l'occasione di redimersi e che avrebbe sigillato la sua vita.
Nolan, pressato dal tempo, non seppe inventare interamente le circostanze di quell'esecuzione dai molti aspetti; dovette plagiare un altro drammaturgo, il nemico inglese William Shakespeare. Ripeté scene del Macbeth, del Giulio Cesare. La pubblica e segreta rappresentazione occupò vari giorni. Il condannato entrò a Dublino, discusse, operò, pregò, riprovò, pronunciò parole patetiche, e ciascuno di questi atti, che ne avrebbe aumentato la gloria, era stato prefissato da Nolan.
Centinaia di attori collaborarono con il protagonista; la parte di alcuni fu complessa; quella di altri, momentanea. Le cose che dissero e che fecero durano nei libri di storia, nella memoria appassionata dell'Irlanda. Kilpatrick, animato da questo minuzioso destino che lo redimeva e che lo perdeva, piú d'una volta arricchì con atti e parole improvvisate il testo del suo giudice.
Cosí venne dispiegandosi nel tempo il popoloso dramma, finché il 6 agosto 1824, in un palco dalle funeree cortine che prefigurava quello di Lincoln, una pallottola desiderata entrò nel petto del traditore e dell'eroe, che appena poté articolare, tra due sbocchi di sangue improvviso, alcune parole previste.
Nell'opera di Nolan, i passi imitati da Shakespeare sono i meno drammatici; Ryan sospetta che l'autore li intercalasse affinché qualcuno, piú tardi, potesse scoprire la verità. Sospetta di far parte egli stesso della trama di Nolan... Dopo tenace cavillare, risolve di tener segreta la scoperta. Pubblica un libro dedicato alla memoria dell'eroe; e anche questo, forse, era previsto.
(Jorge Luis Borges, Tema del traditore e dell’eroe, da “Finzioni”, scritto nel 1944, ed. Einaudi 1978, trad. Franco Lucentini)
Come si è visto, non è propriamente un racconto, ma piuttosto (nello stile caratteristico di Borges) una riflessione sul rapporto fra verità e finzione, fra la realtà e l’arte. Bertolucci gli rimane in ogni caso molto fedele, le differenze principali sono due: l’ambientazione emiliana e lo spostamento dell’azione al tempo del fascismo.
(continua)

2 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Ecco, un altro di quei film di cui non sapevo un bel nulla. Mi ha incuriosito per via dei suoi titoli di testa, con quel celebre quadro di Antonio Ligabue.

Giuliano ha detto...

i dipinti di Ligabue nei titoli di testa sono tanti, forse una decina: stavo pensando di farne un post a parte, poi me ne sono dimenticato.
Insomma, come direbbe Massimo Troisi, "mo' me lo segno"
:-)