Anche gli uccelli uccidono (1970 Bud Cort, S.Kellerman, S.Duvall) ***
M.A.S.H. (1970 D.Sutherland, E.Gould, R.Duvall) **
I compari (McCabe & Mrs. Miller, 1971 - W.Beatty, J.Christie) ***
Images (1972 Susannah York, M.Bozzuffi) ****
Il lungo addio (1973 E.Gould, Nina van Pallandt, St.Hayden) ***
Gang (Thieves like us, 1973, K.Carradine, S.Duvall) ***
California poker (1974 E.Gould, G.Segal) **
Nashville (1975) ****
Buffalo Bill e gli indiani (1976 P.Newman, B.Lancaster) ****
Tre donne (1977 S.Spacek, S.Duvall, J.Rule) ****
Un matrimonio (1978 L.Gish, V. Gassman, G.Chaplin) ***
Una coppia perfetta (1979 P.Dooley, M.Heflin) ***
Quintet (1979 P.Newman, Bibi Andersson, V.Gassman) *****
Popeye (1981 Robin Williams, S.Duvall) **
Jimmy Dean Jimmy Dean (1982 Karen Black, S.Dennis) **
Streamers (1983 M.Modine, M.Wright) ***
Follia d’amore (1985 K.Basinger, HD Stanton, S.Shepard) ****
La stanza (1987 D.Pleasance, Linda Hunt) **
Il calapranzi (1989 Tom Conti, John Travolta; da Harold Pinter) **
The player (1992, Tim Robbins, C.Stevenson, G.Scacchi) ***
America oggi (1983 Tim Robbins, J.Lemmon, A.McDowell) ****
Gosford Park (2001) Alan Bates, Helen Mirren ****
Altri li ho visti a spezzoni, come Pret à porter (poco interessante) e Il dottor T e le donne (idem), eccetera. Rivedrei volentieri “Popeye”, magari in lingua originale; “Jimmy Dean” è forse il più improbabile (è dura far credere che Karen Black sia un maschio...), di molti altri film non ricordo quasi niente, ed è ben strano perché alcuni mi erano piaciuti parecchio, a quel che leggo.
Di “America oggi” non ricordo niente di niente, non ero nemmeno sicuro di averlo visto e tendo a confonderlo con altri film di Altman: così mi sono molto stupito quando ho ritrovato questo mio appunto del 1995, che riporto così come è. “America oggi”, cioè “Short cuts”, da Raymond Carver, è un capolavoro. Pochi sanno cogliere così nel segno situazioni e personaggi, come fa Altman. C’è posto per tutte le emozioni, dal comico al tragico, dal cinico allo “stabat mater”, dallo squallore alla fraternità; e se alla fine prevale il ricordo del dolore, e dello squallore, e del cinismo, il motivo c’è: purtroppo, basta guardarsi in giro, leggere il giornale, guardarsi dentro. L’episodio che più mi rimarrà nella memoria è quello con Andie McDowell, Bruce Davison e Jack Lemmon, e Lyle Lovett pasticciere. Quello più buffo, il venditore di battitappeti che imperterrito pulisce la moquette nella casa dove il marito si è appena “vendicato” dei tradimenti della ex moglie; ma anche Tom Waits non è male. La più bella, con la McDowell, è la moglie di Tim Robbins, modella per un quadro; il quale Tim Robbins è un ottimo gaglioffone, un personaggio che se il film fosse stato di De Sica sarebbe toccato a Sordi. Notevoli Annie Ross e Lori Singer, violoncellista e basket player. Pesante come un macigno l’episodio del truccatore e del manutentore della piscina. Un capolavoro di regia, costruzione e montaggio, ma anche di recitazione e di sensibilità. Altman è qui ritornato ai suoi grandi momenti. (novembre 1995)
Un matrimonio
“Un matrimonio” ha molto in comune con “Buffalo Bill e gli indiani”; la migliore è Lillian Gish, e direi, però, che tutto è un po’ troppo eccessivo. Anche per l’ironia e per le caricature c’è un limite naturale oltre il quale non è giusto andare, perché poi il film mostra crepe (mica per altro). E’ il difetto anche di “MASH”, film sopravvalutato, con attori neanche tanto simpatici, direi datato, che oggi appare come una commedia hollywoodiana piuttosto atipica e poco graffiante; cioè, poco Altman? Nel giudizio su MASH conta anche, purtroppo, la serie di telefilm che ha allungato fin troppo un soggetto già discutibile in partenza. (settembre 1989)
Streamers
E' un bellissimo esempio di teatro in cinema, e se qualcosa non va è soltanto a causa della sgradevolezza dell'argomento e delle situazioni: ma ciò è naturale e previsto. Ne esce quindi un film toccante e urtante, d’ambiente militare, che non lascia indifferenti. Anche Streamers, come Quintet, è un film poco attraente; ma, a differenza di Quintet, è più comprensibile e lineare (ma, dire, il fatto che non sia un film fantastico ma realistico lo rende ancora più amaro, e più sgradevole). Altman è davvero un artista, e anche se non ci invita ad una festa è il benvenuto. (13.10.1989)
The player
“The player” di Altman è molto bello, purtroppo però è un film da tv, anche se c’è qualcosa di notevole dal punto di vista tecnico. Insomma, non è che si veda tanto che è un film di Altman, e poi quel giardino con gli attori famosi è stucchevole e un po’ scemo (“Oh, ma lei è Scorsese!” , “Ma guarda, Malcom McDowell! Che ci fai qui?” “Sono qui con Andie McDowell” “Oh che piacere!”, “Anjelica Huston, ciao! Sei bellissima!” “Oh grazie”) (chissà che non sia colpa del doppiaggio, I hope so). Il tempo di vedere Cinthia Stevenson, e me ne sono innamorato; poi c’è Greta Scacchi che essendo fine e intelligente oltre che bella affronta un film intero senza trucco e senza abiti firmati (Altman lo aveva già fatto con Kim Basinger, sempre con ottimi risultati). Tim Robbins è molto bravo, così come il suo “detective” addetto alla sicurezza. La Goldberg è molto divertente, ed è un bel personaggio; lei, il “detective acchiappamosche”, e la ragazza che collabora con lei sono un bel tris di personaggi. Dei tampax al cinema non sentivo il bisogno, ma forse è uno sponsor del film. In “The player” il soggetto del film è praticamente uguale a uno dei quattro di “Intolerance” di Griffth, anno 1916. (dicembre 1992)
Gang (Thieves like us)
Thieves like us di Altman è un altro grande esercizio di stile su un soggetto frusto. Veramente non se ne poteva più, di gangster; e non è che questi siano personaggi memorabili. Però Altman è un genio della regia, e ha due eccellenti protagonisti negli allora giovanissimi Keith Carradine e Shelley Duvall. Il titolo italiano è “The Gang”. (1992)
Il lungo addio
“Il lungo addio”: come per Gang e per molti altri film di Altman vale più il modo di raccontare rispetto al racconto in sè. E’, insomma, “il consueto procedimento altmaniano della pratica allegorica: mostrare una cosa facendone vedere un’altra” (Segno Cinema, n.59, pag.37, che si rifà al Castoro Cinema n.39). Il finale è un po’ stupido e sbrigativo: Marlowe spara all’amico che lo aveva fregato uccidendo la moglie, simulando la sua morte e nascondendosi in Messico riuscendo a farla franca. Ma tutto il film non brilla per intelligenza, e soprattutto io non ho mai amato questo genere di polizieschi. E’ comunque un punto fermo nella filmografia di Altman, ed è memorabile in assoluto proprio per quanto ho scritto qui sopra. (1992)
California poker
“California split” di Altman in Italia diventa “California poker” (lo split è un tipo di gioco d’azzardo), ed è un Altman del tipo che a me non interessa, ho fatto fatica ad arrivare fino alla fine; il finale, del resto, è molto sbrigativo e mi autorizza a pensare che si tratti di un film del genere “alimentare”. Per giudicarlo a dovere bisognerebbe però ascoltare il sonoro originale: il doppiaggio è molto ben fatto ma qui c’è molta improvvisazione soprattutto da parte di Gould e sarebbe bello ascoltare queste battute così come sono venute. Un po’ legnoso Segal, Elliott Gould in gran forma, così come le due ragazze (che interpretano prostitute di livello medio-alto), alle quali però spetta un ruolo piuttosto banale, scritto in maniera sbrigativa, così come la saga del gioco d’azzardo, tutto molto usurato e stantio, ma chissà come apparivano queste cose nel 1974 (a quel tempo evitavo questi film con la massima cura). Davvero pessima la cantante che esegue “Georgia on my mind”, che sia stata amica o parente di qualcuno? L’Altman vero è ben altra cosa, ma questo lo sapevo in partenza. (ottobre 2010)
«Credo che molti stilisti siano degli imbroglioni, ma che per la maggior parte si tratti di veri artisti. E' molto evidente. E' quello che avviene per i fìlm maker. Sono artisti, ma le persone con cui sono associati, che realizzano il prodotto correlato, sono degli imbroglioni. A dire il vero, non mi occupo tanto degli stilisti e di quello che fanno. Il film tratta più dei mass media, del prodotto collegato e della montatura pubblicitaria».
- Nel film mostri sfilate vere, vera moda.
«Quando fummo pronti per girare, pensai: la sola cosa che posso tirare fuori è una farsa, Per far sì che la farsa avesse senso, per far sì che quella farsa diventasse arte, doveva essere una farsa piena di contraddizioni. Quando abbiamo fatto il primo montaggio, non avevamo nessuna delle sfilate vere. Le abbiamo aggiunte e io pensavo: "Gesù, abbiamo davvero un problema serio. Non posso semplicemente infilare queste sfilate di moda, non significatio niente". Ma alla fine l'abbiamo fatto, perché dovevamo farlo e improvvisamente ho capito. Questo è più importante di tutta la roba che ho inventato!»
- Perché?
«Perché è roba vera! E la sua realtà conferma la farsa. Kim Basinger si presentò sul set il giorno stesso che dovevamo iniziare le riprese. Lei non aveva tempo: cominciammo a lavorare con la lista delle battute e non si ricordava niente. Tutti eravamo spaventati, me compreso. Allora pensai: "Oh, al diavolo, perché non farlo così?" E funzionava bene. Invece di comporre l’inquadratura per svelare quello che lei faceva, ho lasciato che tutto accadesse senza intervenire. Kim viene fuori forte come nessun altro nel film; più forte perché sicuramente diventa più credibile di chiunque altro, perché quello che sta facendo è onesto: ci sta mostrando le smagliature delle sue calze, ci sta mostrando... Lascia che tutto emerga naturalmente. E alla fine questo è diventato una grande forza nel film».
(Robert Altman per il suo film Pret à porter, intervistato da B.D.Leitch, da L’espresso 24 febbraio 1995)
Robert Altman, intervista per i suoi ottant’anni, da L’espresso 13 luglio 2006
«Meryl Streep è quasi irritante. Non solo è incredibilmente brava, ma è anche estremamente piacevole. Con Meryl sul set ti senti un po’ inutile.»
«Sarò banale, ma il mondo del cinema è cambiato moltissimo. I registi che mi hanno formato, i Fellini, i Kurosawa, i Bergman, sono ormai buoni per i libri di storia ma solo perché non rientrano in questo modello di cinema concepito per i quattordicenni. Bisognerebbe tagliare i soldi ai teenagers, proibire loro di andare al cinema. (...) Le cose stanno cambiando e, siccome non mi metto a cercare di indovinare dove andremo, continuo a lavorare su ciò che mi interessa. (...) Il cinema va a cicli, e adesso, spero, siamo alla fine di un ciclo. Ci sono molti giovani bravi, per me il migliore è Paul Thomas Anderson.»
Robert Altman, da L’espresso 13 luglio 2006 (intervista a L. Soria)
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