lunedì 17 gennaio 2011

Mezzogiorno di fuoco

High Noon (Mezzogiorno di fuoco, 1952) Regia di Fred Zinnemann. Prodotto da Stanley Kramer. Sceneggiatura di Carl Foreman, dal racconto “The tin star” di John W. Cunningham. Fotografia di Floyd Crosby. Musica di Dimitri Tiomkin. Con Gary Cooper, Grace Kelly, Katy Jurado, Thomas Mitchell (il sindaco), Lloyd Bridges (il vice sceriffo), Otto Kruger (il giudice), Ian Mac Donald (Frank Miller), Lon Chaney jr., Sam Fuller, Lee van Cleef.  Durata 85 minuti

Non tutti, a Hadleyville, sono contenti che Frank Miller sia finito in galera. La maggioranza dei cittadini sta con lo sceriffo che lo ha arrestato, e con il giudice che gli ha dato una lunga condanna; ma a molti Frank Miller piaceva. Quando c’era Miller, i bar e i locali pubblici di Hadleyville erano un’altra cosa, ci si divertiva, c’era tanta gente, si spendeva e spandeva... Molti ne traevano vantaggio, da Frank Miller; e se lo sceriffo non si fosse messo di mezzo ci si divertirebbe ancora come ai bei tempi.
Ecco un particolare di “High noon” che mi ero dimenticato. Rivedendo il film – uno dei più grandi nella storia del cinema – è il particolare che mi ha colpito di più, forse anche per via del periodo storico che stiamo vivendo. I cittadini di Hadleyville che rimpiangono Frank Miller, il bandito Frank Miller, definito più volte nel film come “un pazzo”, non sono stupidi o potenziali delinquenti: sono anche loro brave persone come gli altri, quelli che stanno con lo sceriffo: ma vuoi mettere come si stava bene quando c’era lui? Bastava non dargli fastidio, lasciarlo fare, farsi gli affari nostri e non interferire.
“Mezzogiorno di fuoco” non è un film molto parlato, e la parte visiva è quella che più colpisce; ma tutto quello che viene detto ha un peso. Per esempio, le parole dello sceriffo Kane (Gary Cooper): “Questo è il mio paese, ho degli amici qui”   “Dieci-dodici uomini mi bastano.”   “E’ mio dovere”   “Non sono mai scappato davanti a nessuno”   “Io devo rimanere”   “Sembra che qui in città tutti abbiano un gran desiderio di vedermi partire...”
Il film si svolge in tempo reale, dalle dieci e mezza circa del mattino fino a poco dopo mezzogiorno: non capita spesso, spot tv permettendo è come se anche noi fossimo lì e stessimo vivendo la vicenda momento per momento. Alle dieci e mezza, quando comincia il film, c’è il matrimonio dello sceriffo, non più giovanissimo, con una donna giovane e incantevole (Grace Kelly). Sono una coppia felice, molto innamorati. Sappiamo che lei è quacchera, il che vuol dire che appartiene a una religione che ripudia la violenza ed è contraria all’uso delle armi; è anche per questo che lo sceriffo Kane ha deciso di dare le dimissioni e cambiare vita. Adesso aprirà un negozio, con la moglie accanto, in un’altra città; e il sindaco suo amico (Thomas Mitchell) si complimenta vivamente ed è un po’ incredulo, solo una ragazza così bella e così innamorata poteva convincere Will Kane a cambiare vita e a dimenticare la pistola e il cinturone.
Ma poi arriva la notizia: Frank Miller ha avuto uno sconto di pena, è già uscito dal carcere e sta arrivando, sarà in città con il treno che arriva a mezzogiorno. Sta arrivando per vendicarsi, è ovvio. Talmente ovvio che sono già in stazione, ad attenderlo, tre dei suoi amici più fidati; e anche questo lo sanno già tutti, in città.
Da qui in avanti, finito l’idillio iniziale, nascono i grandi temi che hanno reso famoso “Mezzogiorno di fuoco”. Lo sceriffo Kane non va più via, resta per affrontare la minaccia (minaccia anche per il suo futuro) e per portare fino in fondo il suo mandato: lo sceriffo nuovo sarà in paese solo tra qualche giorno.
Comincia il giro di Kane in cerca di uomini disposti ad aiutarlo. Il primo a tirarsi indietro è il suo vice, Harvey (Lloyd Bridges). Via via, seguiranno gli altri.
E’ una sequenza di volti, primi piani, panoramiche sulla città vuota: tutti corrono a nascondersi, per le strade c’è solo lo sceriffo. Vedremo le strade piene solo alla fine, immediatamente dopo la morte di Miller.
E’ un bianco e nero da favola, col sole a picco, molto contrastato: quasi un Bergman prima di Bergman (a tratti si pensa alla sequenza del sogno in “Il posto delle fragole”, che arriverà dieci anni dopo).
Il giudice (Otto Kruger) parte subito senza pensarci due volte. E’ lui che ha pronunciato la sentenza che ha mandato in galera Miller: carica tutto su un calesse, e via. «Vorrei continuare a fare il giudice ancora per un po’», dice al perplesso sceriffo Kane, che ha avuto al suo fianco quando c’era da combattere il bandito. Poi cita l’antica Atene, e ricorda Indian Falls dove si salvò per un pelo “grazie ad una donna di dubbia reputazione” e all’anello di sua madre, a cui era molto legato.
In città vive anche Ellen Ramirez (Katy Jurado), la donna che stava col bandito e che poi ebbe una relazione con lo sceriffo. E’ una donna solida e intraprendente, ha un negozio ben avviato e non è affatto una sprovveduta: anche lei si appresta ad andarsene, Frank Miller fa davvero paura. All’inizio, vediamo Ellen con Harvey, il vicesceriffo. « Ti sei arrabbiato perché Ellen Ramirez è venuta con me? », chiede il giovane aiutante allo sceriffo. Lo sceriffo è più che stupito: a quella storia non ci pensava proprio più, cade letteralmente dalle nuvole. Il vice (Lloyd Bridges) vorrebbe essere raccomandato da lui, avere il posto di sceriffo invece di quello che viene da fuori. Più avanti Ellen liquiderà Harvey con disprezzo, venderà il negozio e preparerà le valigie: partirà col treno stesso che porta Miller in città.
Lo sceriffo entra in chiesa due volte: sa che molti cittadini onesti sono lì dentro, alla funzione solenne. E’ una chiesa protestante “normale”, ben diversa da quella della moglie quacchera dello sceriffo. La prima volta, i fedeli in chiesa cantano tutti in coro “Glory glory hallelujah”: Kane entra ma non vuole disturbare, tornerà dopo. La seconda volta, chiede la parola e il pastore gli risponde duramente: «Voi non venite spesso in questa chiesa, sceriffo, e quando oggi vi siete sposato siete andato altrove». Ma poi il pastore ascolta le sue ragioni, e gli concede di parlare: la gente è qui, adesso, e Kane ha bisogno di aiuto per il bene della comunità.
In chiesa lo ascoltano, molti sono pronti a schierarsi con lui, ma altri gli dicono che lui non è più sceriffo, visto che ha dato le dimissioni, e che in fin dei conti è una sua questione personale con Miller, un rancore tra loro due; se Kane se ne va via non succederà niente, né a lui né al paese.
Il sindaco (Thomas Mitchell) prova a mediare; ne nasce un dibattito dove si dice ancora: 1) sono i politici che hanno liberato Miller, adesso se ne occupino loro. 2) abbiamo pagato le tasse, e tante, per avere lo sceriffo: e adesso lo sceriffo chiede a noi di fare il suo lavoro 3) servono più agenti nelle strade 4) perché Kane non ha arrestato quei tre tizi amici di Miller, che girano in tutta libertà per le vie cittadine?
All’ultima domanda, Kane risponde subito: quei tre per ora non hanno commesso reati. Non si può arrestare qualcuno solo perché cammina per strada.
Il pastore “non sa che dire”. Parla quasi controvoglia, più che altro sembra ripetere concetti già pronti per l’evenienza, ripetuti tante volte in simili circostanze: “Cristo dice di non uccidere, ma... insomma, non si possono mandare i fedeli a morire così.” A questo punto il sindaco dichiara chiuso il dibattito, dice la sua e poi tira le conclusioni. Kane è convinto che stia dalla sua parte, invece il sindaco si chiede: “Cosa dirà la gente?” e intende gli industriali del Nord, che stanno per venire a fare investimenti perché credono il paese pacificato, e invece adesso ne nascerà una sparatoria che finirà su tutti i giornali e darà pessimo nome al paese. E’ meglio per tutti che Kane se ne vada, conclude guardando lo sceriffo con fare paterno: meglio per te e per noi.
Kane va anche dal vecchio sceriffo, in pensione. Dapprima gli si nega, poi lo riceve senza alzarsi, stando in poltrona. E’ amareggiato: come i carabinieri di oggi, si chiede se ne è valsa la pena, rischiare la vita per così poco. “La gente si muove se viene toccata in prima persona, altrimenti non fa nulla.“   “Non ne vale la pena, Will, non ne vale la pena...”
C’è anche l’incontro fra le due donne: la sposa – che ignorava fino a quel momento l’esistenza dell’altra donna – vuole conoscere la sua rivale. E’ convinta che suo marito voglia rimanere in città per l’altra donna, ma Ellen Ramirez le spiega: «Will non è rimasto per me». E la giovane moglie comincia a capire.
A noi, e a Ellen (sono due donne forti e intelligenti, si capiscono al volo e non c’è bisogno di litigare) la giovane donna spiega: « Mio padre e mio fratello morirono così. Erano dalla parte della ragione, ma non servì a nulla. E’ per questo che mi sono fatta quacchera, ci deve essere un modo migliore per sistemare le cose. » Il resto è storia. Il film è notissimo, e chi non lo conosce ancora non merita il dispetto di vedersi rivelare come va a finire.
A mio parere, “Mezzogiorno di fuoco” rasenta la perfezione assoluta. Pochi film, nella storia del cinema, sono così perfetti dall’inizio alla fine. Non c’è una cosa fuori posto, ed ogni volta è un’emozione rivederlo, anche se si sa tutto a memoria viene sempre voglia di star lì a guardarlo, e dispiace se si è costretti a interrompere la visione. Ritmo e tempi sono perfetti, sembra quasi un Quartetto o una Sonata con più voci diverse, qualcosa tra Haydn o il contrappunto di Johann Sebastian Bach; e sono sicuro che c’è dietro uno schema musicale ben preciso. Tutti i personaggi sono delineati e interpretati con grande precisione e hanno grande risalto, anche le parti più piccole rimangono bene impresse nella memoria. Per esempio Harvey, il vice sceriffo, è un perfetto codardo shakespeariano: starebbe bene nell’Othello, un carattere a metà strada fra Jago e Roderigo.
“High noon” è anche una grande storia d’amore, e non solo un western. Ed è anche un film politico come pochi altri, e filosofico: perché, oltre all’evidente spettacolarità (che lo fa piacere a tutti), va a toccare problemi enormi e ancora tutti da risolvere. Personalmente, trovo che sia una sconfitta il fatto che il personaggio di Grace Kelly debba ricorrere alle armi. Vedo una grande amarezza in quel gesto, così come in tutta l’interpretazione di Gary Cooper: “ci deve essere un modo migliore per sistemare le cose”, e sappiamo anche quale. Tutti vorremmo che il mondo fosse migliore di quello che abbiamo trovato nascendo, viene da dire: ma non è così, a molti piace di più il mondo di Frank Miller, viene più spontaneo e naturale. E’ un mondo che ogni tanto le persone di buona volontà provano a cancellare, ma che risorge sempre, e più forte di prima.
Penso che a tutti sia rimasta impressa nella memoria, più che ogni altra cosa, la nettezza del gesto con cui Gary Cooper getta a terra la stella, nel finale: anche qui, grande precisione e una grande interpretazione. Ma in tutto il film non c’è un gesto, una parola, un’immagine, che non sia pensata e ridotta al minimo indispensabile, la perfezione in ogni dettaglio. Per distribuire bene i meriti, oltre al regista Fred Zinnemann bisognerà ricordare Stanley Kramer, che ne è il produttore.
Con “Mezzogiorno di fuoco” io ho un solo problema: non mi ricordo mai cosa vuol dire “forsake” di preciso. In tutti questi anni, l’ho letto molte volte ma non mi è mai rimasto in memoria; e anche adesso sono costretto a cercare sul dizionario: “do not forsake me”, non abbandonarmi, non rinunciare. Musica di Dimitri Tiomkin, parole di Ned Washington; scritta appositamente per il film, e cantata da Tex Ritter.
Do not forsake me o my darlin' / on this our wedding day. / Do not forsake me o my darlin': / Wait, wait along. / The noonday train will bring Frank Miller. / If I'm a man I must be brave, / And I must face that deadly killer, / Or lie a coward, a craven coward, / Or lie a coward in my grave. / Oh, to be torn 'twixt love and duty! Supposin' I lose my fair-haired beauty! / Look at that big hand move along, / Nearin' high noon. / He made a vow while in State's Prison, / Vowed it would be my life or his'n, / I'm not afraid of death, but oh, / What will I do if you leave me? / Do not forsake me o my darlin': / You made that promise when we wed. / Do not forsake me o my darlin'. / Although you're grievin', I can't be leavin', / Until I shoot Frank Miller dead. / Wait along, wait along /Wait along / Wait along ...
Alternative lyrics for the first verse follow: Do not forsake me, oh, my darlin': / You made that promise as a bride. / Do not forsake me, oh, my darlin'. / Although you're grievin', don't think of leavin', / Now that I need you by my side.

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