venerdì 31 dicembre 2010

Orizzonte perduto ( II )

LOST HORIZON (ORIZZONTE PERDUTO, 1937) Regia di Frank Capra. Tratto dal romanzo di James Hilton. Sceneggiatura di Robert Riskin. Fotografia: Joseph Walker (riprese aeree: Elmer Dyer); Scenografia: Stephen Goosson; montaggio: Gene Havlick, Gene Milford; costumi: Ernst Dryden; Musiche originali di Dimitri Tiomkin; i bambini cantano "Wiegenlied (Brahms), Op. 49, No. 4" e una canzone tradizionale cinese; Edward Everett Horton canta "Here we go gathering nuts in may" (canzone tradizionale per bambini)
Interpreti: Ronald Colman (Robert Conway), John Howard (George Conway), Jane Wyatt (Sondra), Edward Everett Horton (Alexander P.Lovett), Thomas Mitchell (Henry Barnard), H.B. Warner (Chang), Sam Jaffe (il grande Lama), Margo (Maria), Isabel Jewell (Gloria Stone). Durata: 132'.

“Orizzonte perduto” di Frank Capra comincia come un film d’azione, con sequenze mozzafiato: siamo in Oriente, negli anni 30, nelle colonie inglesi tra Baskul e Peshawar, in tempo di guerre e d’insurrezioni. In un aeroporto, un ufficiale inglese sta organizzando l’evacuazione dei “bianchi”: e con molta efficienza, nonostante il terrore che regna. Quegli aerei sono per i presenti l’unica occasione di salvezza, ma non c’è posto per tutti. L’ufficiale sale sull’ultimo aereo disponibile; con lui suo fratello (anche lui ufficiale) e poche altre persone raccattate nell’aeroporto all’ultimo momento. Quando tutto sembra tranquillo, l’aereo è già in volo da un po’ e si comincia pensare al ritorno verso casa, uno dei passeggeri si accorge che il pilota sta andando nella direzione sbagliata: non verso il mare, ma verso le grandi montagne dell’Himalaya. L’aereo è stato dirottato: un pilota misterioso, dai tratti mongolici, lo sta portando verso una destinazione ignota. Il dirottatore ha un aspetto minaccioso, non gli si può parlare, mostra una pistola; ma non sembra avere davvero cattive intenzioni. L’aereo fa uno scalo per il rifornimento di benzina, durante il quale ai rapiti è proibito scendere dall’aereo: e tutto funziona con grande efficienza, anche se in una landa desolata e a forza di braccia e di taniche di benzina, e poi si riparte subito, ancora più in alto.
Infine l’aereo atterra, in condizioni terrificanti: siamo proprio in mezzo alle vette più alte, tra le nevi perenni, in uno spazio angusto. Nell’atterraggio il pilota muore, e nessuno dei rapiti può più sapere che cosa è successo. Ora sono soli, sperduti tra le nevi dell’Himalaya: cosa fare?
Quasi non sembra un film di Frank Capra. I primi venti minuti sono tutti azione, che ancora oggi fanno la loro bella impressione: è il film che racconta il mito di Shangri-La, tratto dal bestseller dello scrittore inglese James Hilton. Non racconto come va avanti, perché sarebbe un delitto privarvi del piacere della visione di questo film: che ormai è fuori dal giro da parecchi anni, anche se ne sono stati tentati dei remake molto deludenti (che spero vi siano sfuggiti). L’originale è questo, e rimane inimitabile perché la mano del grande Frank Capra si fa sentire, anche in un tema per lui inusuale. Ma, forse, non così inusuale: in fondo, anche in “La vita è meravigliosa” l’elemento del soprannaturale e del tempo sospeso è ben presente – e forse i due film non sono così diversi l’uno dall’altro.
Nel romanzo di James Hilton l’inizio è molto diverso: un prologo che si svolge all’ambasciata inglese, dove viene introdotto il personaggio di Robert Conway, il protagonista sia del libro che del film. Conway è un abile funzionario dell’impero britannico, molto stimato, che ha frequentato le migliori scuole ed è ben introdotto nei migliori ambienti; nonostante questo non ha fatto la carriera che da lui ci si sarebbe aspettati. Ma è comunque una persona famosa e rispettata nell’ambiente diplomatico, che ha dato ampie prove di grande valore. Nel prologo Conway non c’è, ma si parla molto di lui: dato per scomparso durante l’evacuazione di Baskul, era stato ritrovato dopo molto tempo, nella regione himalayana, in condizioni fisiche estreme e quasi senza memoria.
All’ambasciata si ricostruisce la sua storia misteriosa: uno dei presenti ha parlato con Conway, dice che gli sembrava perfettamente guarito e pronto a ritornare in servizio, ma poi è scomparso misteriosamente un’altra volta. Dove è andato Conway? Quale è la sua storia?
Il funzionario, Lord Rutherford, ha raccolto le confidenze di Conway e quando rimane da solo con il narratore (una persona di cui si fida) comincia a raccontare: è una storia che non può lasciare indifferenti.
Negli extra allegati al dvd ufficiale si spiega che Capra girò questo inizio, molto fedele al libro, del quale ci sono rimaste anche le immagini; ma poi optò per quello che vediamo oggi, molto più spettacolare. Direi che Capra aveva ragione, il risultato è molto buono. In generale, si può dire che Capra pensa in modo prettamente cinematografico, mentre Hilton ragiona da scrittore: entrambi i metodi sono ottimi. Il romanzo di Hilton è molto più ragionato e pensato, Capra va direttamente a rivolgersi alle nostre emozioni: da un bel libro è nato un bel film, e non era una cosa scontata.

Nel film, Conway è interpretato da Ronald Colman, che negli anni ‘30 era una vera star e oggi è invece quasi completamente dimenticato. L’interpretazione è buona, oggi risultano però decisamente fuori moda i vestiti e anche i baffetti appena accennati, che fanno sembrare Colman molto più vecchio della sua età: ma allora i baffi appena accennati erano di gran moda (li porterà anche Clark Gable), ed è sempre utile far notare quanto le mode diventino ridicole appena smettono di essere di moda. Comunque sia, l’interprete è ottimo e dei baffetti di Colman ci si dimentica subito; quello che invece colpisce, visto da oggi, in epoca di Bertolaso e di supereroi in tuta mimetica fosforescente e riflettente, è che un tempo l’emergenza veniva gestita veramente da persone che badavano più che altro a lavorare sodo senza curarsi troppo di farsi vedere. Insomma, il Conway di Ronald Colman non è un personaggio inventato, e la sua efficienza, anche in giacca e cravatta, è degna di lode ancora oggi.
Nel romanzo, Robert Conway è descritto così:
...Ho notato spesso che chi aveva conosciuto Conway anche solo fugacemente, ne serbava poi un ricordo vivissimo. Da ragazzo era stato senz'altro un tipo notevole e in me, che lo avevo conosciuto all'età in cui si adorano gli eroi, il suo ricordo è rimasto sempre romanticamente impresso. Era un bel ragazzo, alto e bravo non solo negli sport, ma si portava via anche tutti gli altri premi scolastici. Un professore un po' sentimentale una volta definì «gloriose» le sue imprese e di lì nacque il suo soprannome, Glory. Era forse l'unico che potesse sopravvivere a un nomignolo così impegnativo. Ricordo che alla cerimonia di chiusura dell'anno scolastico, aveva fatto il suo discorso in greco; nelle recite poi era sempre il più bravo. Aveva in sé qualcosa di elisabettiano: la facile versatilità, l'aspetto gradevole, o la brillante combinazione di entrambe queste qualità, fisiche e intellettuali. Al giorno d'oggi, la nostra civiltà produce raramente uomini del genere.
Esternai a Rutherford questa impressione e lui mi rispose : « Sì, è vero, e noi oggi usiamo un termine spregiativo per indicare queste persone : dilettanti. Immagino che molti lo giudicassero così, Conway. La gente come Wyland, per esempio. A me Wyland non piace molto. Non posso sopportare i tipi come lui, con tutta la loro perfezione e la loro presunzione. E quella tipica mentalità burocratica, hai notato? E quel suo modo di esprimersi, “farsi un punto d'onore”, “divulgare i segreti di scuola“, come se l'Impero fosse la terza liceo! ...»
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.10 ed. Garzanti 1973)


Conway non era poi tanto sicuro di essere davvero una persona molto coraggiosa. Aveva chiuso gli occhi perché era stanchissimo, ma non dormiva. Sentiva tutti i movimenti dell'aereo e aveva ascoltato, per quanto combattuto da sentimenti diversi, l'elogio che Mallinson faceva di lui. Fu proprio allora che nacquero i suoi dubbi : riconobbe la morsa allo stomaco che era la sua reazione normale a riflessioni inquietanti. Sapeva, per esperienza personale, di non essere uno di quelli che amano il pericolo per il pericolo. Ne apprezzava a volte l'aspetto esaltante come antidoto all'ignavia, ma non gli andava affatto l'idea di rischiare la pelle. Dodici anni prima, durante la guerra, era arrivato a odiare i pericoli della trincea e aveva più volte evitato la morte rifiutandosi di compiere eroismi inutili. Anche la sua medaglia se l'era guadagnata non tanto per il coraggio fisico, quanto per una sorta di capacità di resistenza faticosamente conquistata. Dalla guerra in poi, ogni volta che s'era trovato davanti al pericolo, lo aveva affrontato con crescente avversione, a meno che non promettesse particolari brividi ed emozioni. Teneva ancora gli occhi chiusi. Le parole di Mallinson lo avevano commosso, ma anche un po' spaventato. Era destino che nella vita scambiassero sempre la sua serenità per coraggio, mentre si trattava in realtà di qualcosa di molto più spassionato e molto meno virile. Erano tutti quanti in una situazione maledettamente preoccupante e lungi dal sentirsi pieno di coraggio, Conway provava soprattutto una profonda ripugnanza per qualunque pericolo la sorte serbasse loro.
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.29 ed. Garzanti 1973)


Si sentiva ancora stanchissimo. Inoltre per natura era incline a quella che la gente potrebbe definire pigrizia, anche se non si trattava esattamente di questo. Nessuno sapeva, all'occorrenza, lavorare più duramente di lui e pochi, meglio di lui, sapevano addossarsi delle responsabilità. Ma non era certo un fanatico dell'attivismo e la responsabilità gratuita non gli piaceva. Attivismo e responsabilità facevano parte del suo lavoro e lui se la cavava benissimo, ma era sempre pronto a cedere il passo a chiunque facesse altrettanto o meglio. Era questa, senza dubbio, la ragione per cui la sua carriera non risultò brillante come prometteva di esserlo. Non era così ambizioso da scavalcare gli altri o da ostentare un'attività frenetica quando in realtà non c'era niente da fare. I suoi dispacci erano laconici, al limite della cortesia e la sua calma, nei momenti d'emergenza, benché fosse motivo d'ammirazione, era tuttavia sospetta d'essere troppo genuina. All'autorità piace avere la sensazione che l'uomo si impone uno sforzo e che la sua apparente nonchalance è solo una maschera che nasconde un corredo di ben controllate emozioni. Di Conway si era a volte sospettato che la sua flemma fosse troppo autentica e che qualunque cosa accadesse, lui se ne infischiasse altamente. Ma anche qui, come per la pigrizia, si trattava di un'interpretazione arbitraria. In realtà la gente non capiva una cosa di una semplicità sconcertante : e cioè che Conway amava la quiete, la contemplazione e la solitudine.
(James Hilton, Orizzonte perduto, pag.33 ed. Garzanti 1973)
Di quest’inizio cinematografico, rimane da dire che Baskul oggi è in Iran, e non in Cina: lontana dal confine, più vicina all’Afghanistan o al Turkmenistan. Può darsi che si tratti di un errore voluto, o di un’altra Baskul (la Baskul del film appare abitata da cinesi autentici), o che sia un luogo di fantasia, così come faceva Salgari che dava nomi veri a posti inventati; del resto la cosa non ha una grande importanza, perché Baskul la dimentichiamo subito, è solo un punto di partenza, un aeroporto di fortuna da dove parte l’aereo con i nostri cinque protagonisti. Su internet ci sono anche dei tentativi di ricostruzione di questo volo: ne porto qui una mappa per chi volesse divertirsi. (dal sito http://www.boloji.com/  dove il dr.Amitabh Mitra ha scritto una dettagliata spiegazione, in inglese)
(continua)

2 commenti:

Marisa ha detto...

Un inizio così drammatico è sicuramente più funzionale a tutta la vicenda perché è proprio quando maggiormente si realizza la condizione di estremo pericolo e di tensione in cui gli uomini precipitano periodicamente, che il bisogno di salvezza e di pace si fa sentire con più nostalgia.
E' la dinamica degli opposti che si attiva e prepara la svolta, così come Dante comincia il faticoso percorso che lo porterà fino al Paradiso solo dopo la rovinosa caduta e lo smarrimento totale.
Certo bisogna essere comunque già disponibili e pronti all'inversione di tendenza ed infatti di Robert Conway ci viene detto che "amava la quiete, la contemplazione e la solitudine", anche se lo vediamo attivamente coinvolto nelle operazioni di evacuazione della città assediata. Pare però che agisse senza frenesia e soprattutto senza egoismo. La parte impulsivamente egoista, spregiudicata ed irriflessiva viene svolta dal fratello amatissimo, e questo avrà le sue conseguenze.

Giuliano ha detto...

Frank Capra è stato sempre descritto come "quello delle commedie ottimiste", e certamente lo è; ma più guardo i suoi film e più trovo un impegno politico notevole. Un impegno civile, verrebbe da dire: vista la fine che gli affaristi e i corruttori hanno fatto fare alla parola "politica" forse con "civiltà" ci si capisce meglio.
Di Hilton cercherò di portare altro, perché non si direbbe scrittore finissimo ma è sicuramente uno che aveva molte cose da dire. Queste descrizioni di Conway parlano chiaro: una persona che lavora sodo e che è apprezzata, ha perfino le conoscenze giuste, ma poi non fa carriera...(e a lui va perfino bene così, cosa inaudita oggi molto più di quando fu scritto il libro)