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Ecco un film che ebbe un enorme successo quando uscì. L’avevano visto tutti, anche le persone che non avresti mai detto; ed era piaciuto a tutti. A me a scuola, che ero grande e grosso, vennero a dire che sembravo l’indiano amico di Jack Nicholson: ed era gente che non andava certo a vedere i film difficili e impegnati. Ma il “Cuculo” è un film sui manicomi, i suoi protagonisti sono dei malati mentali, più o meno gravi. La condizione dei malati mentali nei manicomi è esattamente il soggetto di questo film, né più né meno. Il tema è trattato con mano da maestro, gli attori sono ottimi e tutto fila via alla perfezione, con molte sequenze divertenti, spettacolari, commoventi: ma non è un film d’amore o un film di guerra, non ci sono mostri e alieni, non ci sono né bambini né animali né cartoni animati: resta sempre un film di matti, sulla malattia mentale, sulla lobotomia e l’elettroshock. “One flew over the cuckoo’s nest”, il titolo originale (in italiano è stato tradotto alla lettera) riprende i versi di una filastrocca popolare, e pare che “cuckoo”, forse per via del verso del cucù, o dell’orologio omonimo, sia una parola gergale per indicare chi dà fuori di matto.
Ecco, il fatto che questo film abbia avuto successo di pubblico, e che successo, è un pensiero che può rendere bene l’idea di cos’è stato il ’68, nei suoi momenti migliori. Perché il “Cuculo” è un film difficile e duro su un argomento penoso – la malattia mentale – trattato senza pietà e senza nessuna voglia di addolcire le durezze. Ed era anche una riflessione sulla normalità: che cosa significa essere normali? Chi è più pericoloso per la società, un matto come il giovane Billy Dibbit o la severa dottoressa che vuole curarlo?
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Il “cuculo” di Forman è una favola, una favola triste. Un apologo duro con momenti leggeri e felici, la pesca in alto mare, la festa di Natale, il basket; e due morti alla fine che fanno star male, Billy Dibbit e il povero McMurphy. Penso che ci sia ben poco di verosimile, a parte i ricordi personali di Kesey, che ha scritto il libro basandosi sui suoi ricordi personali; l’elaborazione poetica c’è e si vede molto.
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(...) l'istituzione psichiatrica al centro del racconto è legata a esperienze personali sia dello scrittore che del regista. Nel forte romanzo omonimo che gli diede la notorietà, Ken Kesey, americano dell'Oregon, campione della 'controcultura' degli anni Sessanta, aveva trasfuso i propri ricordi di infermiere in un manicomio formalmente aperto quanto repressivo nella sostanza. Così, nel clamoroso en plein conseguito all'Oscar '76, l'esule cecoslovacco Milos Forman, brillante alfiere della 'nuova ondata' di Praga, si vide riconosciuta, oltre all'indubbia maestria spettacolare, anche l'evidente dissociazione dai metodi terapeutici operanti nei paesi del blocco sovietico, nelle cui 'cliniche per dissidenti' si praticava a scopo ideologico il lavaggio del cervello. (...) La caratteristica del film mediano è di oscillare da un genere all'altro, in una contaminazione che mira a conciliare due spinte contrastanti: l'adesione alla denuncia e la necessità di smussarne le asprezze per renderlo appetibile al largo pubblico. Così, se nella produzione del 1975, si voleva vedere un vero film 'antipsichiatrico', bisognava rivolgersi all'italiano “Matti da slegare” (Bellocchio, Agosti, Rulli, Petraglia) e non certo alla sua versione all'americana. Scampato alla colonia penale fingendosi pazzo, McMurphy approda in un manicomio dove gli autentici matti diventano sempre più matti grazie a psicofarmaci che ne spengono la personalità e a terapie di gruppo che ne aumentano i complessi. Tanto che, pur avendo licenza di uscire, rimangono volontariamente dentro.
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(Ugo Casiraghi, dalla vhs edita da "L'Unità")
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"Non ho mai avuto conflitti politici con il governo Ceco, ma nessuno ha mai risposto alla mia richiesta di conservare il passaporto cecoslovacco. Era intollerabile non avere il passaporto. Soprattutto quando si viaggia, a causa delle ore che si passano nei consolati, dove ti sospettano di tutto, soprattutto oggi che ci sono tanti movimenti di emigrazione. Ho anche trascorso due ore in un consolato britannico e conosciuto l'esperienza umiliante di dover provare che avevo abbastanza soldi per vivere a Londra e di mostrare le banconote, che esaminavano una per una, per essere certi che non fossero false. E' soprattutto per questo che ho voluto avere il passaporto americano". (Milos Forman, int. a "Positif", luglio-agosto 1979)
"L'oppressione ti viene sempre presentata come destinata a farti del bene. Per qualche tempo l'accetti, ti sforzi di disciplinarti. E obiettivamente si può dire che in certi casi l'oppressione è per il tuo bene, non foss'altro che perché ti insegna come sopravvivere in una società in cui non sei solo. Ma quando l'oppressione oltrepassa certi limiti, diventa micidiale e ti costringe a compiere certe azioni, entra in conflitto non soltanto con il tuo istinto vitale, ma anche con la tua filosofia, perché tutto ciò che hai imparato a scuola rappresenta gli ideali più belli che l'uomo possa concepire, dai greci a Faulkner, passando per Shakespeare". (Milos Forman, int. a"Positif", cit.)
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Sono molto belle le musiche di Jack Nitzsche, e nel film troviamo molti attori che poi sarebbero diventati famosi, come Danny De Vito (ancora coi capelli in testa), Christopher Lloyd (lo zio Fester e “Ritorno al futuro”), Brad Dourif (che è il giovane Billy), e il nero Scatman Crothers in duo con Nicholson, come sarà poi in “Shining”(qui è lo sciagurato guardiano del turno di notte, nel finale del film). Ma la mia favorita è la bionda Louise Fletcher, che continuo a trovare bellissima e bravissima, qui alle prese con una parte davvero ingrata, che risolve alla grande; ed è molto piacevole da vedere anche la morettina che le fa da assistente, quasi sempre in silenzio, e della quale non conosco il nome. Il film è del 1975, ed ha un contemporaneo importante in “Stroszek” di Werner Herzog: anche qui c’è una barca che gira in tondo su se stessa (Herzog usa un camion, come aveva già fatto nei suoi “Nani” del 1971), ma qui è una metafora allegra. Un’allegria che purtroppo durerà poco.
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2 commenti:
i veri matti sono gli psichiatri, sia nel film in questione che nella realtà
leggi questo articolo, per gli psichiatri adesso mangiare cibo sano è segno di follia
Hai molte ragioni, però è un discorso molto ampio e qui mi sono limitato a parlare del film. A proposito della lobotomia, che è centrale nel film, mi aveva colpito molto la storia della sorella di John F. Kennedy (presidente degli USA, una delle famiglie più ricche ed influenti d'America), che fu fatta lobotomizzare più come capita a Nicholson nel film. Il motivo, se non ricordo male, era che la ragazza era piuttosto entusiasta nei confronti del sesso: il che è spaventoso, ma la lobotomia fu premiata con il Nobel per la medicina...
Rimanendo nel privato, molte volte mi è capitato di pensare, incontrando persone strambe ma ben inserite nel mondo del lavoro (e produttive): ecco, questo/questa prima della Legge Basaglia sarebbe stato rinchiuso.
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