martedì 4 maggio 2010

Che cosa sono le nuvole?

Che cosa sono le nuvole? (1968) Scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini. Liberamente tratto da “Othello” di William Shakespeare. Fotografia: Tonino Delli Colli. Musica: Domenico Modugno. Costumi di Jürgen Henze. Interpreti: Totò (Iago), Ninetto Davoli (Otello), Laura Betti (Desdemona), Franco Franchi (Cassio), Ciccio Ingrassia (Roderigo), Domenico Modugno (lo spazzino), Adriana Asti (Bianca), Carlo Pisacane (Brabanzio), Francesco Leonetti (il burattinaio), Luigi Barbieri , Mario Cipriani, Piero Morgia (tre marionette) - segmento nel film Capriccio all'italiana (1968) - Durata: 20 minuti

Per uno che nasce come spettatore di teatro, questo piccolo film è una grande gioia. E’ qualcosa di unico e di inaspettato, solo un “dilettante matto” come Pasolini poteva inventarselo. E’ la storia di Otello, è l’Othello di Shakespeare: però raccontato con le marionette. E che marionette: Jago è Totò, tutto vestito di nero, con un cappellaccio nero e con la faccia dipinta di verde; Otello è Ninetto Davoli, giovane e ingenuo. Un Otello così l’aveva già descritto Dostoevskij, in una pagina spesso dimenticata dai “Fratelli Karamazov” (parte terza, libro ottavo, capitolo terzo): « “Otello non è un uomo geloso, è un uomo fiducioso”, osservò Pushkin (...) Nel caso di Otello si tratta semplicemente di questo, che la sua anima si è spezzata e la sua visione del mondo è crollata, perchè il suo ideale si è offuscato (...) “. Otello non è geloso, ma si fida di Jago. Si fida anche di Desdemona, ma adesso a chi dare ragione, visto che Jago e Desdemona sono ai due poli opposti?
Ma qui siamo nel teatro delle marionette, non finirà come in Shakespeare: finirà con il pubblico che sale sul palcoscenico, come nella sceneggiata napoletana, contro « ‘o malamente», lo Jago dalla faccia verde, e contro quello sciagurato di Otello, così stupido da non capire niente. Come a Napoli, ma anche come Don Chisciotte nel teatrino di mastro Pietro, il pubblico non sopporta di vedere il male trionfare, e interviene. Al mattino, le due marionette rotte (Otello e Jago, Totò e Ninetto) verranno raccolte dallo spazzino e gettate in discarica: lì finalmente vedranno il cielo, e le nuvole. Le nuvole, che non avevano mai visto e che faticano a riconoscere, ma sono così belle...
Il film è fedelissimo al testo di Shakespeare, e seguendolo scena per scena, avendo davanti il libro, l’ammirazione per il lavoro fatto da Pasolini è grandissima. Non mancano, come è giusto che sia, le battute di spirito un po’ grossolano: il teatro era uno spettacolo popolare, ed è una cosa che non andrebbe mai dimenticata. Perciò ben vengano le battute e i doppi sensi sul nome Cassio, se a farli è un grande artista come Totò, e non uno scalzacani qualsiasi; e ben venga anche la reazione violenta del pubblico, se questo serve a ridare vita al teatro. Perché la rappresentazione dell’Otello non finisce, viene interrotta dall’intervento del pubblico; e qui, oltre a fatti veri successi quando il teatro era teatro e non una polverosa occasione di incontro per borghesi annoiati, viene in mente l’invettiva che un altro grande attore del passato, Tino Buazzelli, lanciò un giorno contro gli abbonati, che venivano a vedere a tutto anche se non erano interessati: “se non vi interessa, statevene a casa!” disse a chiare lettere Buazzelli, che se lo poteva permettere.
Molto belle, e si meriteranno un post a parte, le parti scritte appositamente per il film. La marionetta di Otello, cioè Ninetto Davoli con la faccia pitturata di nero, che all’inizio è felice perché è stata appena fabbricata, nuova: essendo appena nato, tutto gli sembra bello e piacevole. Andando avanti nella rappresentazione, cioè nella vita, si troverà davanti a cose che non si aspettava; egli stesso si troverà a compiere azioni e ad avere pensieri che non si aspettava di avere. Tra le quinte, si confiderà con Iago (Totò, vestito di nero e con la faccia dipinta di verde) e chiederà spiegazioni al burattinaio (lo scrittore Francesco Leonetti): come mai succede tutto questo, perché deve andare così, chi vuole che vada così?

La panoramica finale sulle marionette superstiti, l’angoscia e la tristezza sul loro volto dopo la scomparsa di due di loro, è una riflessione che ci tocca profondamente. Forse, anche noi siamo solo marionette; forse, anche noi crediamo di essere liberi nei nostri movimenti e invece solide corde ci tengono obbligati a recitare un dramma già scritto che però non conosciamo e che spesso non condividiamo neppure. Ma così è la vita.

Il finale però è sorridente, Pasolini era tutt’altro che una persona angosciata: non di suo certamente, l’angoscia caso mai veniva dal di fuori, ed è una fortuna per lui non essere qui oggi a vedere quel che è successo al nostro mondo.
La prima domanda della marionetta appena nata, del giovane e ingenuo Otello, è una curiosità per quell’uomo che canta felice e che pure fa un lavoro ingrato, porta via le cose morte e l’immondizia (lo interpreta Domenico Modugno): chi è quell’uomo? “E’ lo spazzino”, gli risponde Totò con naturalezza, come se ci fosse poco altro da aggiungere; ed è parte una riflessione non diversa da quella di Ingmar Bergman nel “Settimo sigillo”, dove il giocatore di scacchi non dà risposte e non si pone domande, ma si limita ad eseguire un compito, un lavoro.
Terminato il suo carico, lo spazzino sale sul suo camion; e come tutti i camionisti che si rispettino (quelli di una volta, almeno) ha dietro di sè una la fotografia di una donna nuda. Ma, se la si guarda bene, non è soltanto una donna nuda: è la Venere di Velazquez, intenta a guardarsi allo specchio. E con Velazquez era iniziato il film, del grande pittore del Seicento sono i manifesti che propagandano i film che vediamo all’inizio.
Per ogni ruolo, la scelta fatta da Pasolini è sempre perfetta per lo scopo che si era prefisso: Desdemona è Laura Betti, bella e bionda ma anche poco affidabile; Cassio è Franco Franchi, che non fa nessuna fatica a muoversi da marionetta o da pupo siciliano (era una delle sue gags migliori) e che è anche molto serio ed espressivo quando serve; Roderigo è Ciccio Ingrassia. Bianca è Adriana Asti, grande attrice di teatro; Carlo Pisacane (altro volto famosissimo di quegli anni, dopo il grande successo dei “Soliti ignoti” ne 1958) si merita qualche inquadratura e un nome altisonante in locandina: Brabanzio, padre di Desdemona. Mi mancano i nomi dei due suonatori di mandolino, che si direbbero marito e moglie; il marionettista è Francesco Leonetti, scrittore e critico letterario. E lo spazzino è Domenico Modugno, uno spazzino felice che lavora senza pensieri e che canta allegro un motivo da cantastorie che fa così: “Il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro”, e sono proprio parole di Shakespeare: «The robbed that smiles steals something from the thief », come dice il Doge a Brabanzio invitandolo a prendere atto di ciò che è successo. (William Shakespeare’s Othello: atto primo, scena terza.).

Fiodor Dostoevskij, “I Fratelli Karamazov” (parte terza, libro VII, cap.3)
(...) La gelosia! « Otello non é un uomo geloso, è un uomo fiducioso », osservò Puskin, e questa osservazione testimonia da sola la straordinaria profondità di mente del nostro grande poeta.
Nel caso di Otello si tratta semplicemente di questo, che la sua anima si è spezzata e la sua visione del mondo si è offuscata perché il suo ideale é crollato. Ma Otello non si nasconde, non sta di guardia, non sta a spiare: egli ha fiducia. Anzi, fu necessario guidarlo, spingerlo, aizzarlo con sforzi enormi, solo perché arrivasse a dubitare del tradimento.
Il vero geloso non è così. Non ci si può neppure immaginare a quali vergogne e a quali bassezze morali è capace di adattarsi, senza nessun rimorso, l'uomo geloso. E non è che siano tutte anime basse e sporche. Al contrario, con un cuore elevato, con un amore puro e pieno di abnegazione, un uomo può lo stesso nascondersi sotto i tavoli, comprare la gente più abietta, spiare, origliare e adattarsi a tutto il sudiciume di una posizione simile.
Otello non si sarebbe mai potuto rassegnare a un tradimento, parlo di rassegnarsi non di perdonare, benché la sua anima fosse buona e innocente come quella di un bambino. Non così il vero geloso: è difficile immaginare a che cosa possano adattarsi e rassegnarsi certi uomini gelosi, che cosa possano perdonare!
Gli uomini gelosi perdonano prima degli altri, e questo lo sanno tutte le donne. Un uomo geloso è capace, per esempio, di perdonare straordinariamente presto (dopo una scenata, s'intende) un tradimento ormai quasi provato, di perdonare baci e abbracci visti con i propri occhi, se, per esempio, può convincersi in qualche modo nello stesso tempo che è stata « l'ultima volta» e che il suo rivale da quel momento sparirà, che se ne andrà in capo al mondo, oppure che lui stesso porterà via la sua donna, in qualche posto dove quel terribile rivale non arriverà mai. Si capisce che la riconciliazione dura solo un'ora, perché, anche se quel rivale sparisse per davvero, il giorno dopo lui se ne inventerebbe un altro, uno nuovo, e sarebbe geloso di quest'altro. Vien voglia di domandarsi che cosa rappresenti un amore al quale bisogna fare la guardia continuamente, e quanto valga questo amore se sono necessari tanti sforzi per trattenerlo. Ma è proprio questo che gli uomini gelosi non capiranno mai; eppure fra loro ci sono anche persone di cuore elevato, è la verità.
Un'altra cosa interessante è che questi stessi uomini, quando stanno in qualche bugigattolo a spiare e a origliare, per quanto con il loro « cuore elevato » comprendano bene tutta la vergogna nella quale sono scivolati volontariamente, pure, almeno in quel momento, finché stanno in quel bugigattolo, non provano nessun rimorso.
Mitja alla vista di Grùshenka dimenticava la sua gelosia, per un momento diventava un uomo nobile e fiducioso, si disprezzava anzi per i suoi brutti pensieri. Ma ciò significava soltanto che il suo amore per quella donna era molto più elevato di quanto egli stesso supponesse (...)
Fiodor Dostoevskij, “I Fratelli Karamazov” (parte terza, libro VII, cap.3)
(ed. Sansoni 1969, traduzione a cura di Ettore Lo Gatto)

2 commenti:

Amfortas ha detto...

Scusa il commneto sintetico, ma lo Jago di Totò mi ha fatto ricordare che Verdi voleva chiamare così la sua opera tratta dal dramma teatrale di Shakespeare.
Ciao Giuliano!

Giuliano ha detto...

E' vero, mi ricordo anch'io le discussioni su chi avrebbe voluto Jago tenore e Otello baritono... Ma Shakespeare è così grande che ammette tutte le versioni.
Confesso di aver sempre dissentito dagli attori anziani (come l'ultimo Gassman) che vedono Otello vecchio e magari impotente: mi sembra che nel testo non ci sia niente che giustifichi l'interpretazione, anche se poi un grande attore riesce sempre a dare credibilità.
Per me, le due versioni più giuste di Otello sono questa (Otello giovane e impulsivo) e quella di Verdi (un Otello forte e vigoroso, intorno ai 30 anni).
Ma su questo Otello di Pasolini conto di ritornare...