lunedì 22 febbraio 2010

Chambre 666

Chambre 666 - Intervista sul futuro del cinema (1982) Regia di Wim Wenders. Girato a Cannes nel maggio 1982. Prodotto da Chris Sievernich. Camera di Agnes Godard. Musiche di Jürgen Knieper. Interviste (in ordine di apparizione) a Jean Luc Godard, Paul Morrissey, Mike De Leon, Monte Hellman, Romain Goupil, Susan Seidelman, Noel Simsolo, Rainer W. Fassbinder, Werner Herzog, Robert Kramer, Ana Carolina, Mahroun Bagdadi, Steven Spielberg, Michelangelo Antonioni, Wim Wenders, Yilmaz Güney. Durata: 45 minuti (film reperibile in allegato al dvd di “I fratelli Skladanowski”)

Si tratta di una serie di interviste realizzate in un hotel di Cannes, nel 1982, durante il Festival di quell’anno; l’argomento è il futuro del cinema, preso fra lo strapotere della tv (e quindi della pubblicità) e le nuove tecnologie. Il set è fisso, una stanza d’albergo (la stanza n.666) con poltrona, tavolino, finestra sullo sfondo, e un televisore acceso. Il punto di partenza è questo: “Sembra sempre più che i film siano fatti per la tv, per quanto riguarda illuminazione, inquadrature e montaggi; per gran parte degli spettatori di tutto il mondo l’estetica televisiva ha sostituito quella cinematografica...”
Il primo intervistato è Godard, che imposta un discorso storico e politico, molto chiaro e molto interessante: bisogna capire in quale contesto la tv è stata inventata. La tv nasce agli inizi del sonoro, “in un’epoca in cui il subconscio induceva i governanti a voler dominare l’immensa forza espressa dal cinema muto”. Si è passati dalle immagini grandi che vanno viste da lontano alle immagini piccole che vanno viste da vicino; e l’importanza della pubblicità, in tv, è enorme. Si può anzi dire che la tv nasce per la pubblicità, a differenza del cinema. Parla del rapporto tra film e pubblicità, e del fatto che si facciano sempre più film che parlano di altri film invece di andare a cercare la realtà. Quello di Godard è un intervento molto serio, per niente invecchiato, sul quale si può riflettere ancora oggi; non si può riassumere più di quel tanto a meno di non trascriverlo parola per parola, cosa che mi riprometto di fare.
L’altro intervento importante, verso la fine del film, è quello di Antonioni: che parla delle nuove tecnologie, sulle quali ha molto lavorato. Di Antonioni è stato il primo film per il cinema girato in elettronica, con colori modificati al computer, “Il mistero di Oberwald” del 1981; ma i suoi primi tentativi furono con “Deserto rosso” del 1964 . Si parla del passaggio dalla pellicola al nastro magnetico e al laser (oggi del tutto completato), della possibilità di vedere i film a casa (erano i primissimi anni delle videocassette), e del problema della conservazione dei film, soprattutto per il colore che tende a deteriorarsi con il passare del tempo: un allarme lanciato proprio in quegli anni. Il grande regista ferrarese fa anche una profezia sul futuro che sarà “feroce” e sull’ambiente in cui viviamo, aria e acqua e cibo sempre più contaminati dall’inquinamento.
La tv dietro Antonioni è accesa, ma non trasmette nulla.
La prima immagine del film è però un albero, un altissimo cedro del Libano: è sulla strada che da Parigi porta a Cannes, e Wenders lo sceglie come simbolo, perché ha circa 150 anni e quindi è nato e cresciuto prima del cinema e ne comprende tutta la storia.
Le interviste sono molto invecchiate, come è facile immaginare; ma il breve film ha ugualmente un suo fascino, soprattutto quando ci mostra persone che non ci sono più, come Fassbinder e soprattutto come Michelangelo Antonioni, che qui è in ottima salute fisica, ma sappiamo che gli ultimi anni della sua vita furono funestati da gravi problemi di salute che però non gli impedirono di lavorare. Alcuni sono nomi e volti famosi, di altri si è persa la memoria dopo una stagione di successi, di alcuni non so nulla ma può ben darsi che sia colpa mia. E’ probabile che Wenders abbia fatto dei tagli; gli unici che parlano per dieci minuti (il tempo previsto in origine) sono Godard e Antonioni; e penso che si tratti di un omaggio esplicito ai due maestri.
Scorrendo la lista degli intervistati è facile indovinare quali sono i discorsi che vale la pena riascoltare con cura, ma il film è molto breve e non vale la pena spiegare più di quel tanto; sul tv acceso scorrono immagini ogni volta diverse, dai film di Tarzan ai cartoni animati giapponesi, forse un Mazinga o un Godzilla, dibattiti parlamentari, partite di tennis, concerti, gare di canottaggio; alcuni fumano, alcuni stanno seduti, altri in piedi, ma sempre rigorosamente da soli davanti alla cinepresa.
Il primo intervistato è Jean Luc Godard, mentre sul tv acceso scorrono le immagini di una partita di tennis. Godard legge il foglio con le domande di Wenders e bofonchia un po’ come se parlasse da solo, o come se non ne avesse voglia, ma la sua è l’intervista più interessante.
Segue Paul Morrissey, che faceva parte del giro di Andy Warhol, e che si dilunga senza dir molto d’interessante. Poi Mike De Leon, che è filippino e fa un breve (molto breve, la sua è una delle interviste più corte) accenno alla situazione del cinema nel suo Paese; e anche Monte Hellman (che all’epoca aveva girato dei western crepuscolari piuttosto belli) non si dilunga troppo. Romain Goupil, giovane cineasta francese del quale non so nulla, risponde a una telefonata che non è per lui.
Susan Seidelman, minuta e graziosa, era qui agli inizi; il suo film più famoso, “Cercando Susan disperatamente”, arriverà solo nel 1985; sulla tv accesa dietro di lei c’è il monoscopio. Anche la Seidelman si sbriga in fretta e non dice niente di memorabile, almeno visto dall’oggi. Noel Simsolo, altro nome per me sconosciuto, parla francese ed è il più veloce di tutti. Robert Kramer è uno scrittore e sceneggiatore, regista soprattutto di tv, e sarà presente sia come autore che come attore nel film successivo di Wenders, "Lo stato delle cose". Ana Carolina (Ana Carolina Teixeira Soares ) è una regista brasiliana coetanea di Wenders; parla del cinema d’autore e della sua importanza, è una presenza molto gradevole e dice cose intelligenti e ben dentro la realtà; la tv dietro di lei è spenta. Maroun Bagdadi, franco-libanese, parla del rapporto fra il cinema e la vita privata. Bagdadi ebbe in quegli anni un buon successo sia di critica che di pubblico, stava diventando un nome famoso ma morì molto giovane nel 1993.
Steven Spielberg, reduce dal successo di ET, parla molto a lungo e fa un discorso principalmente economico, sul rapporto fra costi e realizzazione di un film. Da bravo americano, fa anche una lunga metafora sul baseball e il successo.
Werner Herzog è molto disponibile e affronta seriamente il tema, ma inscena alcune piccole gags togliendosi scarpe e calze, e infine mettendo un cuscino sulla cinepresa. Herzog in questo 1982 si dice ottimista, il cinema ha un fascino che la tv non potrà mai avere: è anche l’unico a spegnere la tv prima di cominciare a parlare.
Antonioni comincia a parlare in inglese, ma si ferma subito e dice che preferisce esprimersi in italiano. E’ gentile e molto disponibile, forse è l’unico a prendere sul serio l’invito di Wenders. Si muove molto, cammina, va avanti e indietro per la piccola stanza, guarda fuori dalla finestra, ed è un contrasto notevole con tutti gli altri, quasi sempre fermi e seduti.
Quando arriva il momento di Fassbinder, Wenders fa una dissolvenza sul grande cedro. Fassbinder siede in silenzio, fuma, parla poco. Wenders fa durare più che può questa sequenza, in apparenza insignificante: ma Fassbinder morirà poco dopo queste riprese, il 10 giugno 1982, ed è più che probabile che la notizia sia arrivata a Wenders proprio mentre stava curando il montaggio di “Chambre”.
Per ultimo, Wim Wenders presenta un nastro audio del regista turco Yilmaz Güney, che non può intervenire di persona perché rischia di essere arrestato come dissidente dal suo governo: erano brutti tempi. Dal nastro registrato su un walkman, Güney fa un discorso su cinema e arte, e sul rapporto con le masse. E’ importante restare in contatto con le masse, dice Güney, all’epoca sui 40-50 anni; ed è importante fare del cinema che non sia reazionario, come purtroppo capita alle nuove generazioni che così devono fare se vogliono lavorare. Se si vuole lavorare nel cinema bisogna essere banali: si parla della Turchia di trent’anni fa, sembra l’Italia di oggi.
PS: per la redazione del TG5, che so molto interessata a queste cose di somma importanza, segnalo che sia Steven Spielberg che Werner Herzog portano calzini di color turchese; e che alcuni di questi intellettuali sono vestiti in modo trasandato (le donne senza tacchi a spillo!), fumano, e magari (orrore) si presentano davanti alla cinepresa con la barba lunga, perfino di una settimana.

4 commenti:

Christian ha detto...

Un film che forse è più interessante da vedere oggi rispetto a quando era stato girato. Incredibile quanto Antonioni sia stato profetico sulle nuove tecnologie e sull'home video. E curiose alcune opinioni completamente diverse sulla televisione (per Morissey la tv è meglio del cinema perché mostra la "vita vera", mentre per Herzog è l'esatto contrario: è il cinema a essere "reale", mentre la tv è "finta").

Giuliano ha detto...

Sì, molti interventi sono ancora interessanti, e vedere il film oggi fa un effetto del tutto particolare. Probabilmente quando fu realizzato sembrava poca cosa, oggi riascoltare Antonioni e Godard dà molto da pensare.
Le opinioni di Herzog sul cinema sono state espresse meglio altrove, anche nei libri (molto bello quello che dice in "Tokyo-ga"), ma anche qui trova il tempo di dire cose interessanti.

A proposito, tu conosci "Reverse Angle"? E' un altro corto di questo periodo; io non l'ho mai visto oppure non lo ricordo. Imdb dice che ci sono solo Coppola e Wenders e dura una ventina di minuti.

Christian ha detto...

No, "Reverse angle" non l'ho mai visto, e non mi pare che sia stato inserito in nessuno dei dvd della RHV, nemmeno come extra.

Qui c'è qualche informazione:
http://www.italway.it/spettacolo/wenders/15%29.html

Giuliano ha detto...

Peccato! Stavo mettendo tutto Wenders in ordine cronologico, ma la perfezione non è di questo mondo... (tanto meno è mia!)
:-)
(lo sto facendo anche con Tarkovskij; con Herzog invece vado come capita capita, idem per Renoir, Clair...)