sabato 6 febbraio 2010

L'ultima onda ( I )

L’ultima onda (The last wave, 1977) Regia di Peter Weir. Scritto da Peter Weir, Tony Morphett, Petru Popescu. Direttore della fotografia: Russell Boyd. Musica: Charles Wain. Interpreti: Richard Chamberlain, David Gulpilil, Nandjiwarra Amagula, Olivia Hamnett, Frederic Parslow, e altri. Durata: 106 minuti

- Che cosa ho visto?
- Un sogno.
- Cosa sono i sogni?
- E' come vedere, sentire, parlare. Il modo di sapere le cose.
- Per esempio?
- Se la mia famiglia è in pericolo, può mandarmi i suoi messaggi.
- Nei sogni?
- E nel mio corpo. Parte del mio corpo si muove, se mio fratello mi chiama. (si pizzica il braccio, come esempio) Vuoi vedere un sogno? Un sogno è l'ombra di una cosa vera!
(dialogo tra Chris e l'avvocato, davanti a Charlie)


“L’ultima onda”, con “Picnic ad Hanging Rock”, è il film che rivela l’enorme talento di Peter Weir. A metà anni ’70, questi due film del regista australiano (allora esordiente) non passano inosservati, per l’originalità e per la costruzione perfetta sono due diamanti che ancora oggi risplendono inalterati.
“L’ultima onda” è la storia di un avvocato australiano, bianco anglosassone e protestante, ricco e di ottima famiglia, che si trova a condividere il mondo tribale degli aborigeni. Lo condivide non nella vita reale ma attraverso i sogni: ne è sconvolto, ma ancora più sconvolti sono gli aborigeni, quando i loro destini si incontrano. Che ci fa un bianco nel loro mondo?
Il film è profondo e impressionante, negli anni ’70 vedere gli aborigeni australiani come protagonisti in un film era ancora rarissimo (pochi anni prima c’era però stato il magnifico “Walkabout” di Nicholas Roeg), Bruce Chatwin non ha ancora scritto “Le vie dei canti”, e al di fuori degli specialisti (antropologi e studiosi di mitologia) di questo mondo non si sapeva ancora niente. Negli anni ’90, Werner Herzog girerà un altro film famoso, “Dove sognano le formiche verdi”, che parla delle prime cause in tribunale per dare la terra agli aborigeni, cioè a chi vi ha sempre vissuto; ma tutto questo nel 1977 era ancora lontano.
Detto questo, va subito spiegato che il film è molto spettacolare e avvincente, e che la parte del protagonista, l’avvocato anglosassone, è affidata a un vero divo di quegli anni, Richard Chamberlain. Anche per questo il film ebbe grande successo e grande distribuzione: oggi è un po’ dimenticato, ma per più di vent’anni Chamberlain fu uno degli attori più famosi e più amati del mondo.
- Questo l'ho già visto prima: è uno spirito del tempo dei sogni. Gli aborigeni immaginano due forme di tempo: due flussi paralleli di attività. Una è l'attività oggettiva giornaliera alla quale noi siamo confinati; l'altra è un ciclo spirituale, infinito, chiamato "tempo dei sogni", più vero della realtà stessa. Quello che avviene nel tempo dei sogni stabilisce i valori, i simboli, le leggi della loro società primitiva. Certe persone con poteri spirituali insoliti hanno contatti con il mondo dei sogni.
- Come?
- Con i loro sogni. Con cerimonie in cui figurano oggetti sacri: come questa pietra.
(colloquio dell’avvocato con l'antropologa sua consulente)
“L'ultima onda” di Weir è per molti versi un film reticente. Tocca temi profondi e importanti, ma lo fa sottotraccia; è un altro film sull'apocalisse, vi si vedono pioggie misteriose, grandinate improvvise senza che vi sia una nuvola, rane che piovono dal cielo. E non è un caso che l'aborigeno che contatta l'avvocato "wasp" sia stato chiamato Chris: abbreviazione di Christian, o di Christopher (Cristiano, portatore di Cristo...). L'altro aborigeno, più anziano, un uomo di religione che ha per simbolo un gufo, viene invece presentato con un nome qualsiasi (Charlie), perché il suo nome non ha importanza. I due attori aborigeni si chiamano David Gulpilil (il giovane) e Nandjiwarra Amagula; con loro recitano molti altri attori nativi australiani.

Il protagonista del film, l’avvocato interpretato da Richard Chamberlain, è figlio di un pastore protestante; ed è al padre che si rivolge quando c’è da interrogarsi su cosa succede.
- Perché non dirmi che c'erano dei misteri?
- David, la mia vita è stata dedicata ad un Mistero...
- No! Tu te ne stavi sul pulpito a dissipare i loro dubbi! (pausa) Papà, mi stanno portando in qualcosa che è come un'altra entità... e non so cosa fare. Perdiamo i nostri sogni, e quando li ritroviamo non li decifriamo...
(l'avvocato e suo padre, pastore protestante)

Il film è girato molto in notturno. E’ un notturno fantastico, onirico, avvincente. Un modo di raccontare che è stato attentamente copiato e osservato da autori di film horror e di vampiri (ma “L’ultima onda” non è un horror), che copiando e osservando Weir si sono fatti un nome e adesso passano per maestri. Le atmosfere meravigliose di “L’ultima onda” nascono probabilmente da uno studio attento del cinema espressionista tedesco, e dalle magie dei film muti: come spiegava benissimo Stanley Kubrick, l’invenzione del sonoro ha tolto qualcosa alla grande magia del cinema. Si è persa l’abitudine al raccontare per immagini, preferendo la scorciatoia dei dialoghi: quanto si possa dire con le immagini è evidente, oltre che dai film di Kubrick (e di Fellini, e di Bergman...) anche dai due primi grandi film di Peter Weir, “L’ultima onda” e “Picnic ad Hanging Rock”.
Può lasciare perplessi il finale, ma Weir ha spiegato che si tratta di un finale volutamente aperto. Del resto, da queste esperienze – così come da molte altre esperienze della nostra vita, quasi tutte - si esce quasi sempre senza averne capito molto. In questo senso, il finale è perfetto: ed anche molto realistico. Un’altra cosa che è certa, infatti, è che è quasi sempre impossibile far capire ad altri le nostre esperienze e le nostre sensazioni.
Rivedendo bene il film su dvd, con i fermo immagine, posso però aggiungere qualche osservazione: per esempio che nel finale, dentro la caverna che funge da tempio, Chamberlain incontra dei morti, e tra i morti un altro se stesso, una maschera con le sue fattezze. Con la pietra di Murcru (una pietra sacerdotale) uccide, e la sporca di sangue; poi cerca di portar via degli oggetti (che appartengono all’altro se stesso), ma li perde nel ritorno. Esce dal tunnel (il tunnel, uno dei simboli più potenti della nostra vita terrena) ed è vivo, non è morto lì dentro come il suo predecessore. E’ morte e rinascita, fuori dall’utero e dal tunnel. E anche il fatto che il tunnel in questione non sia uno dei posti più nobili in cui si possa cascare, sia in entrata che in uscita, non è un segnale da sottovalutare. Del resto, il protagonista aveva cercato di uscire dalla caverna per una via migliore, ma la porta era ben serrata: come insegna il libro tibetano dei morti, quando si fanno certi percorsi perdere la strada è molto facile.
Sulla spiaggia, avrà la visione della grande onda: l’ultima onda, più che catastrofe, appare ancora come morte e rinascita, l’eterno ciclo della vita; forse un’onda di luce, come quella che vediamo al nostro apparire su questa terra.

Se dovessi trovare un parallelo tra Weir e un grande scrittore, farei probabilmente il nome di Nathaniel Hawthorne, l’autore di “La lettera scarlatta” e di “Wakefield”.
La caratteristica fondamentale di Peter Weir, quella che lo apparenta a Hawthorne, è che dietro il soggetto principale del film c'è sempre qualcosa d'altro, qualcosa che ci disturba e fa venire le vertigini, come se si fosse toccato il mondo che sta al di là della nostra coscienza e della nostra esperienza quotidiana. Il tema è espresso con forza e chiarezza sia in “Picnic ad Hanging Rock”, del 1975, che in "L'ultima onda", del 1977: ricordo che siamo in Australia, e un ricco avvocato anglosassone (Richard Chamberlain) si trova d'improvviso a condividere gli stessi sogni e le stesse visioni degli aborigeni, senza sapere che cosa sta succedendo. Lo stesso sconcerto è negli aborigeni, una volta venuti a conoscenza della cosa; e fa venire i brividi la scena in cui Chamberlain si trova a tu per tu con il capotribù. Chamberlain gli chiede: "ma tu chi sei?" e il vecchio aborigeno gli riflette contro, come uno specchio, in un'eco infinita, la sua stessa domanda: "Tu chi sei ?"
Ecco cosa scriveva Hawthorne, a conclusione di uno dei suoi romanzi più famosi e misteriosi, davanti alla richiesta dei lettori di maggiori chiarimenti e di un finale meno aperto:
«Confidiamo che il gentile lettore non ci sarebbe grato per una di quelle particolareggiate spiegazioni che sono così noiose e, alla fin fine, tanto insufficienti a spiegare i misteri romantici di una narrazione. Egli é troppo saggio per insistere a osservare da vicino il rovescio di una tappezzeria dopo che gli è stata spiegata in modo sufficiente la parte diritta, intessuta con la più alta maestria dall'artista e abilmente disposta perché ne risalti l'armonia dei colori. Se è stato raggiunto un effetto brillante, o bello o almeno discreto, questo campione di lettore benevolo l'accetterà per quel che vale, senza strapparne la trama col vano proposito di scoprire come sono stati intessuti i fili; poiché la sagacia che lo distingue gli avrà insegnato da tempo che ogni racconto di fatti e vicende umane - si chiamino storie o romanzi - è un manufatto d'indubbia fragilità, più facile a lacerarsi che a rammendare. L'esperienza reale, anche quella della vita più comune, è piena di eventi che non si spiegano mai, sia per quel che riguarda l'origine sia per quel che concerne la tendenza. (...) » (Nathaniel Hawthorne, Il fauno di marmo, inizio del capitolo 50)
Come Hawthorne, anche Peter Weir racconta una storia ma parla d’altro. Come Hawthorne, che abbonda di meticolose descrizioni, anche Weir è un grande stilista, e nei suoi film è tutto molto vero e tutto molto accurato. Negli “arazzi” di Weir i personaggi hanno forse più risalto, e nei loro occhi, e nei loro comportamenti, c’è qualcosa che non ci viene spiegato, e che sta a noi capire: un volo d’uccelli, un paesaggio, uno sguardo o un chiudere le palpebre, una pioggia improvvisa. “The Truman Show” non è un film sulla tv, “Hanging Rock” non è il racconto di una gita scolastica finita male, “L’attimo fuggente” non è un film sulla scuola: solo “L’ultima onda” è proprio esplicito, e la sua spiegazione coincide esattamente con quello che abbiamo visto.

7 commenti:

Zonekiller ha detto...

lo vidi da bambino e serbo ancora il ricordo dello stato d'animo di meraviglia che mi regalò...pensavo di rivederlo e parlarne...

Christian ha detto...

La scena dell'aborigeno che chiede in maniera quasi ipnotica "Tu chi sei?... Tu chi sei?" è davvero indimenticabile, e lega indissolubilmente questo film al tema dell'identità.

Ma uno dei meriti del film è anche quello di aver portato sullo schermo (forse per la prima volta) i volti e i miti degli aborigeni, fino ad allora quasi ignorati non solo dal cinema ma anche da gran parte della cultura bianca stessa ("Sono australiana da tre generazioni e non ho mai conosciuto un aborigeno", dice la moglie del protagonista)

Giuliano ha detto...

Prima c'era stato "Walkabout" (è già nelle bozze, lo metto in settimana), sempre con Gulpilil protagonista: ma io l'ho scoperto parecchi anni dopo.
Allora era bello scoprire cose nuove, altre culture, però oggi non si sa più cosa dire: sembra che interessarsi alle altre culture (o agli altri, tout court) sia diventato un peccato grave.
E' stato bello anche leggere Chatwin, "Le vie dei canti": per gli appassionati di musica è un libro da non perdere.
Sono contento di non essere l'unico a ricordarsi di questo film! Grazie dei commenti!
Peter Weir in Australia ha girato dei film che colpiscono ancora oggi, e metto nel conto anche "Gli anni spezzati".

emanuela bussolati ha detto...

In cerca della Dama dormiente, scopro questo bellissimo blog, che ora seguirò. Lavoro in editoria per bambini e l'immagine ha una grande forza di richiamo per me. Mi interessa come sono visti i bambini nei film e i dialoghi che li riguardano. In editoria sono spesso rappresentati attraverso il filtro che la visione degli adulti ha sull'infanzia. Nei film invece mi sembra ci sia più autenticità, come in Alice di Wenders o in Essere e avere di Nicolas Philibert. Grazie di mettere a disposizione una qualità notevole!

Giuliano ha detto...

Weir, così come Wenders, ha molta attenzione per i bambini, in questo film ce ne sono tanti e ho già pronto un altro post proprio su questo tema (in realtà questo blog ha già tre anni di vita, tante cose sono già state messe on line altrove e le sto rivedendo e controllando).
Grazie a te per il commento! Fa sempre molto piacere condividere qualcosa di bello con altri.

Unknown ha detto...

un film meraviglioso. basta vederlo
felice di trovarlo qui :)

Giuliano ha detto...

Ho in mente di mettere tutti i film di Weir, ma alcuni sono diventati difficili da trovare.
Questo è uno dei più grandi, per fortuna lo si può ancora trovare facilmente (o quasi)