IL SETTIMO SIGILLO (Det sjunde inseglet, 1956). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren - Scenografia: P.A. Lundgren – Con: Max von Sidow (il cavaliere Antonius Block), Gunnar Björnstrand (lo scudiero Jöns), Nils Poppe (il giullare Jof), Bibi Andersson (Mia, moglie di Jof), Bengt Ekerot (La morte), Ake Fridell (il fabbro Plog), Inga Gill (Lisa), Erik Strandmark (Skat, il capocomico), Bertil Anderberg (Raval), Gunnel Lindblom (la donna muta), Inga Landgré (la moglie di Block), Anders Ek (il monaco), Maud Hansson (la giovane al rogo), Gunnar Olsson (il pittore di chiese), Lars Lind (il giovane monaco), Benkt-Ake Benktsson (l'oste), Gudrun Brost (la donna all'osteria), Ulf Johanson (il capo dei soldati). Durata: 96 minuti
- Io vorrei sapere senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza. Voglio che Dio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto; voglio che mi parli.
- Il suo silenzio non ti parla?
(minuto 19, il cavaliere e la morte, al confessionale)
- ...il mio cuore è vuoto, e quel vuoto è come uno specchio voltato verso il mio volto. I vedo me stesso in quel vuoto, e mi riempio di paura e di disgusto. (...) Vi leggo indifferenza, e paura verso il mio prossimo, verso tutti i miei simili che non riconosco. Vi scorgo immagini di incubo, nate dai miei sogni e dalle mie fantasie... (...) Attraverso la mia indifferenza verso il mio prossimo, mi sono isolato dalla loro compagnia. Ora, vivo in un mondo di fantasmi: sono imprigionato nei miei sogni e nelle mie fantasie.
(minuto 18, il cavaliere al confessionale, con la morte che tace e ascolta)
- Nella nostra paura, noi costruiamo un’immagine, e quell’immagine la chiamiamo Dio.
(il cavaliere, davanti alla giovane portata al rogo)
La morte: Ora sto per lasciarvi. Quando ci incontreremo di nuovo, il tuo tempo e quello dei tuoi compagni sarà terminato.
Il cavaliere: E allora ci dirai i tuoi segreti.
La morte: Io non ho segreti.
Il cavaliere: Dunque tu non sai niente.
La morte: Non mi serve sapere. Io non ho niente da dire.
Cavaliere: (prega, le mani a nascondere il volto): Dall’oscurità che ci avvolge, mi rivolgo a te, mio Dio...
Jons: Probabilmente è vero, siamo avvolti nell’oscurità e lì nessuno ascolta i vostri lamenti e allevia le vostre sofferenze. Asciugatevi le lacrime, e specchiatevi nella vostra indifferenza. (...)
La moglie del cavaliere: Silenzio, silenzio...
Jons: Farò silenzio, ma mi ribello.
- L’ora è venuta, -
dice la ragazza che era sempre rimasta muta. (sono le sue uniche parole nel film)
Questo è un mio appunto che risale a un bel po’ di anni fa e che quindi è stato “preso al volo” durante una visione tv, perché non c’erano ancora nemmeno le videocassette: « (...) Era il film che cercavo da molto tempo, quello della partita a scacchi. (...) Protagonista è il cavaliere Antonius, che torna dalle crociate; poi la Morte, che lo incontra sulla spiaggia. Iniziano la partita su proposta di Antonius. Lo scudiero di Antonius, scettico e che preferisce vivere alla giornata, pur senza rinunciare a porsi domande sulla vita. Antonius è ossessionato dall’aldilà: cosa c’è, dopo? Lo chiede all’indemoniata sul rogo, e poi alla Morte che gli risponde di non saperlo, perché a lei non serve. Poi gli Attori: il capocomico, che fuggirà con la moglie del fabbro e morirà sull’albero abbattuto dalla Morte stessa. Il saltimbanco, che vede gli spettri, diavoli e santi: vedrà Antonius e la Morte giocare a scacchi, e fuggirà con la famiglia, riuscendo così a salvarsi, lui solo con la moglie e con il figlio di un anno. C’è l’uomo che convinse Antonius a partire per la Crociata, ora divenuto ladro: deruba i cadaveri degli appestati, e in questa situazione lo trova appunto lo scudiero, e poi istiga il fabbro contro il buffone all’osteria. Lo scudiero lo marchierà per questo. Presso la casa della derubata c’è la Ragazza, che partirà poi con lo scudiero. Prima c’è il pittore, l’imbrattamuri con il quale lo scudiero discute a lungo nella chiesa. E la moglie del fabbro, che fugge con il capocomico ma poi si ricongiungerà al marito nel bosco; e il fabbro, che si scatena contro il buffone ma poi si unirà al gruppo. Infine la moglie di Antonius, rimasta ad attenderlo al castello. Al castello di Antonius arriva anche la Morte, che porterà via tutti con sè, mentre il buffone osserva da lontano e descrive tutto alla moglie. Il titolo è tratto dall’Apocalisse, e vengono citate ancora le fragole.» (febbraio 1979)
In un’intervista a Venezia (corriere della sera, 8.6.1993) Peter Greenaway confessava di aver fatto cinema perché “...come Paolo sulla via di Damasco, ho avuto una folgorazione quando ho visto Il settimo sigillo di Ingmar Bergman”. Penso che sia capitato a molti... Io però non ho mai pensato di fare cinema, avevo ambizioni molto più modeste. Mal me ne incolse, bisognava invece mirare alto – ma forse, tutto sommato, meglio così. Nella migliore delle ipotesi, sarei stato soltanto uno dei tanti mediocri, e comunque non era nel mio carattere.
(continua)
2 commenti:
Bergman è uno dei rari registi che ti accompagnano anche nella visione del film, non ti lasciano soli, anche se poi il lavoro di elaborazione delle emozioni riguarda per fortuna solo lo spettatore e ognuno, rispetto alla morte, deve maturare la propria visione e attuare i propri esorcismi. Fai bene quindi a riportare i suoi appunti, ma rimane ancora lo spazio per le nostre impressioni.
Questa della partita a scacchi è il filo conduttore del rapporto dell'uomo razionale con tutta la vita, e quindi, anche con la morte. E' tipico di chi si affida tanto alla sua intelligenza affrontare tutto come se si trattasse di una competizione in cui la preparazione, l'abilità e l'astuzia intellettiva possano risolvere i problemi. Ma già pensare alla vita e alla morte come un problema induce a escogitare il modo di ingaggiare una sfida. E' l'atteggiamento di Edipo di fronte alla Sfinge e rappresenta un preciso stadio psicologico: quello adolescenziale in cui la parte eroica crede di poter vincere sempre risolvendo gli enigmi.
Nel Mahabharata la partita a dadi è fondamentale per avviare tutta la vicenda eroica.
Qui l'atteggiamento eccessivamente razionale dell'uomo che vorrebbe solo certezze ed è pronto ad accettare la partita a scacchi con la Morte è affidato al cavaliere reduce dalle crociate: perfetto esempio quindi dell'uomo che affida alla conquista e alle imprese coraggiose il senso del proprio valore, ma che rimane sempre inappagato e deluso.
Come la Morte non ha alcun segreto, così la gioiosa fiducia nella vita, rappresentata dal giullare e dalla moglie, non ha bisogno di acuna certezza e di nessuna teologia. Essa è infatti una qualità dell'anima che c'è o non c'è, che in genere i bambini possiedono ancora e a cui, secondo le parole del Vangelo, bisognerebbe ritornare se si vuole essere partecipi del Regno.
Bergman era del 1918, quindi era vicino ai quarant'anni. Si nota qui un cambiamento rispetto ai film precedenti, che sono i film di una persona giovane, magari piena di preoccupazioni (Bergman si era sposato presto, aveva già dei figli, un divorzio alle spalle, eccetera) ma comunque positiva.
Da qui in avanti, arrivano i film più duri e più problematici: La fontana della vergine (probabilmente il più duro e difficile da sopportare, ma grandissimo), Il posto delle fragole, e poi i veri e propri incubi: L'ora del lupo, Come in uno specchio, Il silenzio, La vergogna, Passione...
Come spiega bene Bergman, qui la Morte viene esorcizzata dalla maschera da clown bianco; in seguito la domanda sull'aldilà diventerà davvero angosciosa.
La cosa che più mi ha stupito, però, è stato vedere Bergman di persona nelle interviste e nei filmati: un uomo piacevole, disteso, sorridente, ben disposto allo scherzo, con la battuta pronta. Evidentemente, avere come valvola di sfogo il cinema è stata per lui un'ottima terapia.
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