DOPO LA PROVA (Efter repetitionen, 1983). Scritto e diretto da Ingmar Bergman - Fotografia: Sven Nykvist (colori) - Scenografia: Anna Asp - Con: Erland Josephson (Henrik Vogler), Lena Olin (Anna), Ingrid Thulin (Rakel) Bertil Guve (Henrik a dodici anni), Nadja Palmstjerna-Weiss (Anna a dodici anni). Durata: 70 minuti.
- Se solo per un istante mi togliessi la maschera e rivelassi ciò che penso e sento in realtà, credo che mi fareste in tanti pezzi... (“Dopo la prova”, minuto 42, Erland Josephson)
“Dopo la prova”è, da una parte, un film facilmente raccontabile e comprensibile: terminata una prova in teatro, il regista si ferma a parlare con la giovane attrice che sarà protagonista del “Sogno” di Strindberg; l’incontro evoca ricordi del passato, con la madre dell’attrice che è stata sua amante molto tempo fa. Qualcosa quindi di autobiografico, per Bergman, e con rimandi ben precisi al tempo che passa, all’invecchiare.
Ma è anche, al di là di questo primo livello, un film molto difficile: perché contiene almeno due rimandi importanti. Si tratta di “Il sogno” di Strindberg (la ragazza che deve recitare la figlia di Indra, terribile dio indiano) e “Le baccanti” di Euripide (evocato da Ingrid Thulin, citato a memoria e d’improvviso per dimostrare di essere ancora un’attrice, di essere ancora capace e affidabile).
Perché “Le Baccanti”? Perché “Il sogno”? Le immagini evocate da questi due drammi, accostate alle immagini del film, sorgono impetuose; ed è difficile governarle. Le baccanti che sbranano Orfeo? L’universo induista evocato da Strindberg? Simboli esotici e lontani, mischiati alla vita quotidiana, come accade nei sogni...
Mentre guardo “Dopo la prova” mi trovo a chiedermi: da quanto tempo non leggo Euripide? Saranno almeno vent’anni che mi limito a far giù la polvere. E Strindberg, Ibsen: li ho frequentati pochissimo...L’universo induista, il Peer Gynt, qui c’è una foresta di simboli da decifrare. Per capire fino in fondo “Dopo la prova” ci vorrebbe Herr Doktor Jung, forse solo lui sarebbe in grado di capire cosa è emerso veramente dall’inconscio di Ingmar Bergman.
Questo non è un film, è un sogno dove si fondono presente e passato e futuro. I sogni hanno un’altra logica da quella con cui siamo abituati a confrontarci, e sconcertano anche se sembrano cose normali. Nei sogni, personaggi normali e consueti dicono spesso cose inaspettate: ed è quello che vediamo in “Dopo la prova”, soprattutto con Ingrid Thulin ma anche con la giovanissima Lena Olin (potrebbe mai un vecchio fare avances con una donna così giovane? Forse sì, nei sogni certamente sì, e viene da pensare immediatamente a “Il posto delle fragole”, con Bergman nei panni che furono del suo maestro Sjöström e la Olin al posto di Bibi Andersson...)
Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed.Garzanti)
Neanche “Dopo la prova” è un film per il cinema. Come “Dalla vita delle marionette”, è stato fatto per la televisione. In un primo tempo avevo pensato a una corrispondenza epistolare tra un attempato regista e una giovane attrice. Cominciai a scrivere, ma mi accorsi subito che stava venendo una cosa noiosa. Sarebbe stata più divertente, se fosse stato possibile vederli.
Mentre scrivevo, trapanavo, evidentemente, un nervo doloroso o, meglio, una vena sorgiva. Dal subcosciente sorsero liane rampicanti e strane erbacce. Tutto cresceva come un intruglio di strega. All'improvviso sopraggiunse l'amante del regista, che era la madre della giovane attrice. E’ morta da molti anni, tuttavia entra in gioco. In una scena teatrale vuota e spenta, nel silenzio dell'ora tra le quattro e le cinque pomeridiane, molte cose ritornano dal passato. Il risultato fu un pezzo di televisione cinematografata che tratta di teatro.
Ci sono giovani attori e attrici che, un po' distrattamente, tratto come figli. Avviene così che essi mi adottino, pensando che sia bello avermi come padre. Dopo un po' forse si arrabbiano con me, perché per loro non deve esserci più alcuna figura di padre. Ma la parte mi è piaciuta e non mi sono mai sentito così a mio agio. In certe circostanze, per un giovane attore, avere una figura paterna che lo tratta severamente può creare un effetto rassicurante.
“Dopo la prova” fu scritto per il puro piacere di materializzarlo insieme con Sven Nykvist, Erland Josephson e Lena Olin. Lena l'ho sempre seguita con affetto e interesse professionale. Erland è mio amico da cinquant'anni. Sven è Sven. Se qualche rara volta sento ancora la voglia di lavorare nel cinema è solo perché vorrei avere ancora uno come Sven al mio fianco.
“Dopo la prova” era destinato a essere un piacevole episodio della mia vita in cammino verso la morte. Dovevamo formare un piccolo team. Le prove si sarebbero concluse in tre settimane, e Sven avrebbe filmato. Dovevamo lavorare alla Filmhuset e la scenografia doveva essere semplice.
Le riprese furono fatte in modo svogliato. Quando rivedo “Dopo la prova”, lo trovo migliore di come lo ricordi. Se si è faticato con delle cattive riprese, rimane un senso di sgradevolezza che fa sì che poi il film venga ricordato con un'avversione maggiore del necessario.
Ingrid Thulin è una fra le attrici cinematografiche veramente grandi del nostro tempo. Come si espresse una volta un collega geloso: è sposata con la cinepresa. Ma in questo caso non mantiene alcuna distanza nei riguardi della parte. Alla battuta: «Credì che il mio strumento sia rovinato per sempre?», si metteva a piangere. Le dissi di non fare la sentimentale. Trovavo naturale che la battuta venisse pronunciata con freddezza e rigore. Invece ogni volta scoppiava in lacrime. Alla fine dovetti desistere. Mi arrabbiai con Ingrid, forse perché ero arrabbiato con me stesso: «Il mio strumento è rovinato per sempre? ». La domanda valeva più per me che per lei.
A ciò si aggiunse il fatto che Erland Josephson si era troppo strapazzato. Per la prima volta durante la nostra lunga collaborazione, fui colpito da quella che i tedeschi chiamano «l'angoscia del testo». L'ultimo giorno, il più importante, comportò qualcosa di simile a dei corti circuiti, fino al black-out. Lo trascorremmo e basta. Lena Olin conservò la sua presenza di spirito. Per la verità era alquanto inesperta, ma riuscì a cavarsela magnificamente, senza lasciarsi disturbare dai nostri tumulti.
“Dopo la prova”, nella versione finale, dura un'ora e dodici minuti. Ero stato costretto a eliminare almeno venti minuti di materiale. Il senso di disgusto che mi veniva da quelle riprese mi si era appiccicato addosso. Ciò rese noioso anche il lavoro di montaggio: c'era troppo da rattoppare e da tagliare. Oggi è difficile scoprire che “Dopo la prova” è in realtà una commedia intessuta di un dialogo pieno di una sorta di umore aspro. Le stesse riprese sono senza vita e manca la spensieratezza del testo originale. (...)
Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed.Garzanti) (Bergman continua a parlare di “Dopo la prova” ancora per due pagine)
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