AMARCORD (1973) Regia: Federico Fellini - Soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini e Tonino Guerra, da un'idea di Federico Fellini - Fotografia: Giuseppe Rotunno - Musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina - Ideazione scenografica: Federico Fellini - Scenografia e costumi: Danilo Donati - Architetto: Giorgio Giovannini - Collaboratore scenografia: Antonello Massimo Geleng - Collaboratore costumi: Mario Ambrosino - Assistenti costumi: Rita Giacchero, Aldo Giuliani - Effetti speciali: Adriano Pischiutta - Durata: 127'.
Interpreti: Bruno Zanin (Titta Biondi), Pupella Maggio (Miranda, madre di Titta), Armando Brancia (Aurelio, padre di Titta), Stefano Proietti (Oliva, fratello di Titta), Giuseppe Ianigro (nonno di Titta), Nandino Orfei ("il Pataca", zio di Titta), Ciccio Ingrassia (Teo, lo zio matto), Carla Mora (Gina, la cameriera), Magali Noel (la "Gradisca"), Luigi Rossi (l'avvocato), Maria Antonietta Beluzzi (la tabaccaia), Josiane Tanzilli (la Volpina), Domenico Pertica (il cieco di Cantarel), Antonino Faà di Bruno (il Conte di Lovignano), Carmela Eusepi (la figlia del Conte di Lovignano), Gennaro Ombra (Biscein), Gianfilippo Carcano (Don Balosa), Francesco Maselli (Prof. di scienze Bongioanni), Dina Adorni (signorina De Leonardis, professoressa di matematica), Francesco Vona (Candela), Bruno Lenzi (Gigliozzi), Lino Patruno (Bobo), Armando Villella (Fighetta, professore di greco), Francesco Magno (il preside Zeus), Gianfranco Marrocco (il ragazzo conte Poltavo), Fausto Signoretti (il vetturino Madonna), Donatella Gambini (Aldina Cordini), Fides Stagni (professoressa di Belle Arti), Fredo Pistoni (Colonia), Ferruccio Brembilla (il gerarca), Mauro Misul (professore di filosofia), Antonio Spaccatini (il federale), Aristide Caporale (Giudizio), Marcello Di Falco (il Principe), Bruno Scagnetti (Ovo), Alvaro Vitali (Naso), Ferdinando De Felice (Ciccio), Mario Silvestri (professore d'italiano), Dante Cleri (professore di storia), Mario Liberati (proprietario cinema Fulgor), Marina Trovalusci e Fiorella Magalotti (le sorelle della "Gradisca"), Vincenzo Caldarola (il mendicante), Mario Milo (il fotografo), Cesare Martignoni (il barbiere), Mario Jovinelli (altro barbiere), Costantino Serraino (Gigino Penna Bianca), Amerigo Castrichella e Dario Giacomelli (amici del "Pataca"), Giuseppe Papaleo (il gagà), Mario Nebolini (segretario comunale), Bruno Bartocci (marito della "Gradisca"), Clemente Baccherini (proprietario caffè Commercio), Torindo Bernardo (il prete), Marcello Bonini Olas (professore di educazione fisica), Marco Laurentino (mutilato della Grande Guerra), Riccardo Satta (il sensale).
Con “Amarcord” io ho sempre avuto dei problemi, è probabilmente il film di Fellini che amo di meno e quasi tutto mi suona falso, innaturale. Mi spiego: mia mamma è emiliana, di Parma; e quindi il dialetto e la cadenza emiliana le porto dentro di me fin dalla nascita, e anche prima. Inoltre, molti dei miei vicini di casa e dei miei colleghi di lavoro erano ferraresi, romagnoli, reggiani: a me la cadenza romagnola è sempre sembrata un po’ caricaturale (a Parma il dialetto è più fine), ma comunque la conosco e la so riconoscere. In “Amarcord” il dialetto e le cadenze sono quasi tutte molto false, basti pensare che molte delle voci sono di Oreste Lionello, che romagnolo non era. E gli attori non aiutano: molti di loro erano notissimi con le loro voci, ascoltarli con voci diverse, e presentati come riminesi, non convincono e suonano strani. Pupella Maggio era napoletana come pochi altri, nella compagnia di Eduardo de Filippo e in altre apparizioni tv; Ciccio Ingrassia era quasi un emblema della Sicilia, e aveva una voce molto caratteristica, non confondibile con altri; Alvaro Vitali (ma questo lo sapremo in seguito) è romano de Roma, Magali Noel è francese, e si potrebbe continuare.
Vedere la faccia e le movenze di Pupella Maggio e ascoltarla parlare in romagnolo è una sofferenza; vedere Ciccio Ingrassia e ascoltarlo con un’altra voce è una cosa fastidiosa. Sono tutte scelte precise di Fellini, che ha sempre fatto così; in altri film si nota di meno, ma in “Amarcord” lo trovo disturbante. So che di questo parere è anche Bernardo Bertolucci, che pur rispettando le scelte degli altri registi dice (l’intervista è sul dvd di “Partner”) che a lui i film doppiati in questo modo sono sempre sembrati dei film morti, e intende sia Fellini che Pasolini, due registi che ama moltissimo. Pur amando moltissimo tutti i film di Fellini, sono d’accordo con Bertolucci; e avrei tanto voluto che il magnifico Ciccio Ingrassia di questo film parlasse (e gridasse, dalla cima dell’albero) con la sua voce, e pazienza se non aveva l’accento romagnolo.
Ad accrescere le mie difficoltà è anche la descrizione di un mondo che però mi è estraneo, Fellini ha i suoi ricordi e io ho i miei, e alle volte sono costretto ad ammettere che i ricordi e le fantasie di Fellini sono un po’ricordi e fantasie da “pataca”. Io sono cresciuto negli anni ’60 e ’70, Fellini era della generazione di mio padre ma da lui diversissimo (a casa mia si era piuttosto dalle parti di “Novecento” o dei film di Germi e Petri) e poi a me sono sempre piaciute le donne semplici e dirette, detesto gli ammiccamenti e i corteggiamenti “da balera”, e i compagni di classe sono stati presenze casuali nella mia vita, amicizie e innamoramenti li ho avuti quasi sempre lontano da casa e dal mio paese. Ma tutto questo riguarda soltanto me, ne parlo qui solo per spiegare la mia estraneità al film; che però non è soltanto un film di Fellini, ma anche di Tonino Guerra. Ecco, quando comincia ad ascoltarsi la voce di Guerra, cioè soprattutto nella seconda metà, anche “Amarcord” comincia a piacermi.
E dunque il mio parere su “Amarcord” lo posso riassumere così: che il film prende quota e diventa importante quando Fellini “passa” la parola a Tonino Guerra: sua è quasi tutta la seconda metà, questi sono ricordi di Guerra più che di Fellini. E Guerra sa andare a toccare corde più profonde, quelle che in questo film Fellini non ha voluto o saputo toccare.
In questo film (ma non negli altri) Fellini sembra in cerca di consenso; sembra dire: “vi piacciono queste cose qua? e io ve le dò”. Un atteggiamento simile, peraltro con eccellenti risultati, lo ebbe Giuseppe Verdi, già ricco e con grandi successi alle spalle, più o meno alla stessa di Fellini con Amarcord, quando scrisse “Aida” e “La forza del destino” («Volete l’opera? e io ve la faccio») Fellini sembra essersi molto divertito, con “Amarcord”: che è sicuramente il suo film più conosciuto dopo “La dolce vita”. Ma queste cose Fellini le aveva già messe nei suoi film precedenti, nei Clowns, in Roma, nei Vitelloni, in Cabiria... Sono cose già viste, rielaborazioni: basterà guardare l’inizio dei “Clowns” per ritrovare tutto “Amarcord”, e alcuni personaggi “finto romagnoli” di “Amarcord” sono già presenti, identici, in “Roma”.
Molto più significativo, ma difficile e sofferto, è per esempio “La città delle donne”; in “Amarcord” troviamo anche scherzi come in “Amici miei” (di Germi – Monicelli, primo episodio nel 1975) e come nei film di Pierino (i film con Pierino sono già tutti qui dentro, Alvaro Vitali compreso).
Mi disturba molto anche il fascismo, onnipresente anche se caricaturale (anch’esso già presente in “Roma” e nei “Clowns”, peraltro con esiti migliori), ma qui non è tutta colpa di Fellini perché in questi nostri tristi tempi non passa giorno senza che passi in tv il buce con i suoi seguaci. Francamente, il fascismo non lo sopporto più nemmeno per scherzo; ma nel 1973 era diverso, erano tempi migliori e del fascismo si poteva ancora ridere pensandolo come una cosa del passato, qualcosa di brutto e ridicolo che non sarebbe mai più tornato.
(continua)
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