lunedì 3 gennaio 2011

Giordano Bruno ( II )

GIORDANO BRUNO (1973) Regia di Giuliano Montaldo. Scritto da Lucio De Caro e Giuliano Montaldo Fotografia di Vittorio Storaro Musiche originali di Ennio Morricone. Con Gian Maria Volonté, Hans Christian Blech (Sartori), Josè Quaglio, Mark Burns (Bellarmino), Renato Scarpa (frate Tragagliolo), Mathieu Carrière (Orsini) Giuseppe Maffioli (arsenalotto) Mario Bardella, Massimo Foschi (frate Celestino) Charlotte Rampling (Fosca). Durata 115’

Giovanni Mocenigo, che ospita Bruno e che lo ha invitato a Venezia, adesso lo vorrebbe cacciare. Gli ha dato un sacco di soldi, lui si comporta male e lo mette in cattiva luce. “Anche i filosofi devono godere, chi ha mai detto che la filosofia è noiosa?” gli risponde il filosofo. Mocenigo ribatte che così è troppo comoda, ma qui Bruno si fa serio, serissimo: “La filosofia non è mai comoda. Più cose saprai, più sarai destinato a soffrire.” Mocenigo, nobile veneziano, gli contesta la frequentazione con gente di basso rango; ma Bruno spiega che tutti gli uomini sono uguali, anche i servi e i barcaioli, che spesso sono meglio dei nobili. Mocenigo verrà sconsigliato dal dare ancora ospitalità a Bruno, “nemico della Chiesa”. L’Inquisizione a Venezia non è come a Roma, ma esiste e bisogna tenerne conto.
Più avanti, Bruno spiega le sue teorie sul Cosmo, una visione copernicana, ma che va oltre Copernico. Una concezione quasi illuminista ma che tende verso l’animismo. Però i suoi sono ragionamenti da filosofo, non sono basati sull’osservazione del Cielo ma solo sul ragionamento. Le teorie di Bruno comprendono anche la metempsicosi, che fa particolarmente impressione ai suoi ascoltatori.
Mocenigo torna alla carica, ma è solo perché vuole che finalmente Bruno gli spieghi questa benedetta magia. E’ per questo che lo sta ospitando, e che lo paga. Bruno è stupito, gli dice che di quella magia lì lui non ne sa niente. Spiega:
- C’è la magia naturale, che ognuno di noi si porta dentro; e poi c’è la magia nera, che è roba da ciarlatani.
Mocenigo insiste, vuole sapere il futuro, le carte, vuole dominare il prossimo, vincere al gioco. Bruno gli ride in faccia, Mocenigo è arrabbiatissimo e vuole indietro i suoi soldi.
Siamo nel 1592, ed è proprio Mocenigo a denunciare il suo ospite all’Inquisizione.
Giordano Bruno adesso è in galera, a Venezia, e i suoi compagni di cella si presentano: tutti accusati di essere eretici, qualcuno ha abiurato.
- E tu, che cosa hai fatto per finire qui dentro?
- Ho inciampato in un imbecille.
Anche Mocenigo passa i suoi guai, con l’Inquisizione; per difendersi denuncia ancora più pesantemente Bruno, e dice che da lui non voleva imparare la magia nera, ma l’Arte della Memoria, è per questo che lo ha fatto venire a casa sua.
A 1h01 , davanti all’Inquisizione veneziana, Bruno (che vediamo per la prima volta in abito domenicano) racconta i suoi primi processi, a Napoli e a Roma:
- A Napoli, 25 anni fa, ebbi da poco celebrato la mia prima messa quando ebbi due processi. Il primo, per aver tolto le immagini dei santi dal convento dei domenicani dove stavo dall’età di 14 anni, lasciando solo i crocifissi. Il secondo, per aver detto ad un novizio che stava leggendo “Le sette allegrezze della Madonna” di gettare via quel libro, e di leggere piuttosto le vite dei Santi Padri. Ebbi due processi, e fuggii a Roma sperando di ottenere giustizia dal Generale dell’Ordine. Ma non fu così. Allora lasciai l’abito e uscii dalla religione. Per vivere insegnai Arte della Memoria a dei bambini, a Noli in Liguria. Dopo andai a Torino, e seguendo il corso del Po raggiunsi per la prima volta Venezia, dove mi trattenni per circa un mese, ospite in casa di un arsenalotto di cui non ricordo il nome. La peste mi allontanò da Venezia, e poi da Padova. Traversai le Alpi e raggiunsi Ginevra, dove governavano i calvinisti. Ma, non volendo sottostare alla loro religione, me ne andai a Tolosa, dove insegnai due anni in quell’Università.
Le lotte civili e religiose mi spinsero a rifugiarmi a Parigi, dove il re Enrico III mi chiese di istruirlo nell’Arte della Memoria. Dopo cinque anni di cattedra alla Sorbona, nuove lotte civili e nuovi massacri mi spinsero a rifugiarmi a Londra, dove la regina Elisabetta mi onorò della sua stima. Più tardi a Praga Rodolfo II d’Asburgo, buon monarca e protettore delle scienze, mi diede 300 talleri per una mia opera di geometria. Alla Fiera del Libro di Francoforte ricevetti l’invito di Giovanni Mocenigo per venire qui.
- Perché non gli hai detto che sei scappato da Tolosa di notte perché ti fottevi la moglie del rettore dell’Università? – gli chiede beffardo uno dei suoi compagni di galera, non appena Bruno ritorna in cella.
Bruno è ancora in abito domenicano, ma la discussione continua e diventa violenta.
- A te degli uomini non importa niente! – gli grida il compagno di cella, frate Celestino da Verona.
Arriva la nave da Roma, ma adesso Venezia deve discutere se consegnare l’eretico al Papa oppure se continuare il processo qui, nella Serenissima. Il processo continua, e in un colloquio tra il Nunzio di Roma e il Patriarca si dice che Bruno ricorda solo ciò che gli fa comodo, che non parla mai dei suoi contatti con le corti d’Europa, e che quindi la questione è anche politica.
- Venezia ha sempre avuto la manica larga con i nemici della religione. In cento anni, millecinquecento processi di fede e soltanto cinque condanne capitali.
- Mentre a Roma in cinque anni ne hanno ammazzati cinquemila...
- Ma, signor Nunzio, g’avé troppa furia voaltri a Roma d’acender roghi.
Tutti i testi hanno difeso Bruno, tranne Mocenigo: per il diritto canonico, un teste è come nessun teste.

A Roma si stanno preparando. Alcuni chierici leggono, per conto dell’Inquisizione, frasi dai libri di Bruno: la lode dei bordelli e delle prostitute (segno di maggior libertà: andrebbero regolati come i conventi e data loro una Regola), e il “Candelaio”, la sua commedia decisamente oscena:
- Ma è un’opera scherzosa, Eminenza. Forse sarebbe meglio giudicare Bruno dai suoi libri più importanti.
- Quelli sono peggio!
Nel Candelaio, Bruno offende solo la decenza; nel resto dei suoi libri offende la religione.
Ma a Venezia l’Inquisizione è controllata dal Doge e dal Consiglio dei Dieci, che tengono molto alla loro indipendenza. Il Nunzio e il Patriarca di Venezia discutono sul da farsi:
- E’ una città di mercanti, e con i mercanti si trova sempre un accordo. Offriamogli qualcosa di interessante.
- Per esempio? (...)
- Per esempio, qualche prebenda ecclesiastica per le famiglie più importanti. (...)
A 1h10, nel carcere veneziano i prigionieri sono nel cortile. Bruno ne vede alcuni partire per Roma, comincia a temere per la sua sorte, e abiura.
In cella, al suo ritorno, lo accoglie frate Celestino:
- Hai abiurato...hai avuto paura... Io ti capisco.
- So che tutto questo è capitato anche a te. Io ho abiurato per poter ancora pensare, per potere agire ancora.
Di Bruno discutono molto il Consiglio dei Dieci e i Doge. Qualcuno comincia a lamentarsi per tutto questo baccano: ma chi è in fondo questo Bruno? Non è uno di noi, non è nemmeno nobile, è il figlio d’un mezzo contadino... Ma il Doge si oppone, Bruno è un filosofo e un uomo di cultura, e poi ne va dell’indipendenza della Repubblica. Alla fine, il Doge decide di rimandare tutto al Senato: si deciderà con una votazione, altrimenti a che cosa serve il Senato?
L’amante di Morosini è preoccupata per Bruno, e si rivolge al suo protettore, sapendo che è uno degli uomini più influenti di Venezia: «E’ vero quello che dicono in giro, che lo vogliono mandare a Roma?»
Morosini le dice che deporrà in favore di Bruno, la donna insiste che sarebbe un errore per Venezia questo cedimento verso Roma. Morosini la rassicura, e noi vediamo il suo intervento in Senato, dove ricorda che già una volta, cinquant’anni prima, Venezia fu scomunicata dal Papa; ma poi la scomunica venne tolta, e Venezia ha continuato ad accrescere il suo prestigio. La sorte di Bruno è presa a cuore anche dal popolo; rivediamo l’arsenalotto fare propaganda per lui presso barcaioli e lavandaie; per le strade le idee di Bruno sull’uguaglianza sono ben conosciute.
Ma il Senato voterà, a maggioranza, per mandare Bruno a Roma.
Siamo nel 1593, e Bruno sale sulla nave per Roma. Anche Mocenigo, che lo ha denunciato, si dispera.
(continua)


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