giovedì 4 novembre 2010

Il volto ( I )

ANSIKTET (IL VOLTO, 1958). Regia, soggetto e sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer. Musica: Erik Nordgren. Scenografia: P. A. Lundgren. Montaggio: Oscar Rosander. Costumi: Manne Lindholm, Greta Johansson. Interpreti: Max Von Sydow (Vogler), Ingrid Thulin (Manda - Aman), Gunnar Björnstrand (il dottor Vergerus), Naima Wifstrand (la nonna), Bengt Ekerot (Spegel), Bibi Andersson (Sara), Gertrud Fridh (Ottilia Egerman), Erland Josephson (Egerman), Lars Ekborg (Simson, il cocchiere di Vogel), Toivo Paulo (Starbeck), Ake Fridell (Tubal), Sif Ruud (Sofia), Oscar Ljung (Antonsson), Ulla Sjöblom. (Henrietta, la moglie di Starbeck), Axel Düberg (Rustan, il maggiordomo), Birgitta Petersson (Sanna). Produzione: Allan Ekelund per la Svenksfilmindustri. Durata: 100 minuti

Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed. Garzanti, 1992):
« Nel nostro mestiere spesso ci accorgiamo di destare attrazione finché siamo mascherati. Quando ci vede alla luce delle nostre esibizioni e rappresentazioni, la gente crede di amarci. Ma se ci mostriamo senza maschera e, peggio ancora, se chiediamo denaro, siamo tramutati in men che niente. Sono solito dire che noi siamo noi stessi al cento per cento solo quando ci troviamo sul palcoscenico. Quando usciamo di scena, siamo ridotti a meno del trentacinque per cento. Illudiamo noi stessi, e soprattutto ci illudiamo l'un l'altro, di trovarci ancora al nostro cento per cento, e questo è il nostro errore fondamentale. Diventiamo vittime delle nostre illusioni. Siamo presi da passioni, ci sposiamo tra noi, dimenticando che siamo partiti dall'esercizio della professione, e non dal nostro modo di essere sulla strada, dopo che il sipario è calato.»
(Ingmar Bergman, da "Immagini", ed. Garzanti)
“Il volto” è un film d’avventura, un film di viaggio con il mago misterioso e ipnotizzatore, la giovane donna travestita da uomo, una vecchia che dice di avere duecento anni e che è sicuramente una strega, un bosco notturno e una dogana da attraversare, il Capo della Polizia ambiguo e probabilmente violento dietro un’apparenza innocua, un medico-investigatore che nega ogni possibilità di soprannaturale, una coppia di borghesi che ammirano gli attori ma temono di mischiarsi a loro, i loro servitori, la cuoca, le due serve, il cocchiere, e il gioco erotico tra di loro: un romanzo di Dumas, o di Victor Hugo; o magari un Edgar Poe, con tendenze horror (un’autopsia, un morto che non è morto, i fantasmi, il paranormale...). Un film non particolarmente comodo ma che interessa fin dall’inizio; fatto sta che, dopo un po’ di inevitabile ambientamento iniziale, il film scorre via veloce ancora oggi, e poi rimane dentro, una volta visto è difficile da dimenticare.
“Il volto” è però anche uno dei film più difficili e indecifrabili di Ingmar Bergman, un film dove l’autore sembra contraddirsi ad ogni istante: ha davvero poteri paranormali, il mago Vogler? è davvero una strega, la vecchia che prepara filtri d’amore e che predice vita e morte? E’ davvero morto l’attore, o sembra solo morto? E’ morto e poi resuscita, o è solo morte apparente? E su che cosa fa veramente l’autopsia il Dottore, su un morto o su un uomo non ancora morto?
Sono contraddizioni volute e cercate, e qui sta il cuore del film; perché della morte, e della vita, non conosciamo nulla. Quello che conosciamo (della vita e anche della morte) è il volto, la maschera: tolta la maschera, alla fine del film, cosa resta del terribile mago Vogler? Un meschino dal viso incolore, anche un po’ laido, che chiede la carità di un soldo a gente che poco prima era stata da lui terrorizzata – ma anche questa è solo apparenza, un travestimento, una maschera; il finale ribalterà ancora una volta tutto, smentendo le conclusioni a cui siamo arrivati.

Quando ho rivisto il film e penso di essermi chiarito un po’ le idee, vado a prendere “Immagini”, il libro dove Bergman racconta i suoi film uno per uno (editore Garzanti), in cerca di qualche curiosità. Ma il commento di Bergman al film è ancora più inaspettato, e spiazzante: Bergman dice che “Il volto” è ispirato alla sua esperienza di direttore di teatro a Malmoe, tra il 1952 e il 1958, e che alcuni dei personaggi sono caricature dirette di persone che ha conosciuto durante quell’esperienza. Il commento è molto lungo e dettagliato e ne traggo solo alcune righe; ed è un commento che non mi basta, ma Bergman (a differenza di Welles e di Fellini) è quasi sempre sincero, se dice che questa è l’origine del film c’è da credergli, e del resto non mancano i riscontri; ma Bergman si guarda bene dallo “spiegare” il film. Un film nasce da sè, spesso la narrazione (come ha ben spiegato Pirandello nei Sei personaggi) si impone all’autore; e, soprattutto, un film è prima di tutto immagine. Immagine in movimento: e Bergman non ha scelto quel titolo a caso, per il suo libro: “Immagini”. Alle immagini non si deve chiedere di spiegare tutto, molte cose vanno intuite, o magari (se è il caso) lasciate nell’ombra dell’inconscio. E’ da lì, dall’ombra e dalla luce delle immagini, che nasce il mistero del cinema, e il suo fascino. Ed è da qui, dalla luce e dall’ombra, che nasce il fascino e l’equivoco del mago Vogler, e di tutto il teatro.

Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed. Garzanti, 1992):
Ho fatto teatro a Malmoe dal 1952 alla fine della stagione 1958-59. “Il volto”, che è dell'estate 1958, rispecchia le mie esperienze di quel periodo. (...) L'intensa attività di lavoro in comune comportò anche una convivenza privata, che non ha mai più avuto per me paragone né prima né poi. Noi, che l'abbiamo provata, parliamo di quel tempo come del migliore della nostra vita. Un duro ritmo di lavoro e rapporti professionali in comune possono essere una bella corazza protettiva contro nevrosi e crolli minacciosi. C'è quindi una relazione tra “Il volto” e quel modo di vivere. I nostri rapporti con gli abitanti della città erano insignificanti, e scarsi i contatti con gli estranei.
Durante il periodo della mia direzione al teatro di Helsingborg, le cose erano andate diversamente. (....) Ci sentivamo coinvolti nella vita della città. L'ospitalità era grande, si viveva molto in compagnia. Malmoe era tutt'altra città. Certo, ottenemmo un bel tavolo da Kramer e la gente era affettuosamente interessata a quello che facevamo. Ma noi stavamo per conto nostro. Il credito dalle trattorie era scarso, per non dire inesistente. Il pubblico per il quale recitavamo, ma che non frequentavamo, viene rappresentato nel Volto dalla famiglia del console Egerman. Il console è un pecorone esaltato che vuole mantenere le distanze, stabilire regole e che, per ovvi motivi, si terrorizza allorché scopre che la moglie si è mescolata con la plebaglia.
Nel nostro mestiere spesso ci accorgiamo di destare attrazione finché siamo mascherati. Quando ci vede alla luce delle nostre esibizioni e rappresentazioni, la gente crede di amarci. Ma se ci mostriamo senza maschera e, peggio ancora, se chiediamo denaro, siamo tramutati in men che niente. Sono solito dire che noi siamo noi stessi al cento per cento solo quando ci troviamo sul palcoscenico. Quando usciamo di scena, siamo ridotti a meno del trentacinque per cento. Illudiamo noi stessi, e soprattutto ci illudiamo l'un l'altro, di trovarci ancora al nostro cento per cento, e questo è il nostro errore fondamentale. Diventiamo vittime delle nostre illusioni. Siamo presi da passioni, ci sposiamo tra noi, dimenticando che siamo partiti dall'esercizio della professione, e non dal nostro modo di essere sulla strada, dopo che il sipario è calato.
Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed. Garzanti, 1992)
(continua)

4 commenti:

Marisa ha detto...

E' molto difficile aggiungere dei commenti a questo film e alla bellezza dei puoi post e non posso cavarmela solo col dire che è un film complesso, bello e difficile (cosa ovviamente vera, ma inutile).
Proverò allora a lasciare le mie impressioni come vengono, per non perdere l'occasione e non lasciare vuoto questo spazio.
Mai come in questo film, Bergman, per sua stessa ammissione, si espone tanto ed espone tanto tutto il mondo del teatro, che gli è così intimamente legato.
E questa esposizione è sofferta e drammatica, al limite dell'umiliazione e della completa "spogliazione". Il continuo rimando tra realtà e finzione, imbroglio e capacità di aiutare gli altri, seduzione e lealtà, rende l'atmosfera sepre tesa, ambigua ed avvincente, come se la rivelazione e lo smascheramento( desiderati, ma anche temuti), potessero incombere da un momento all'altro e non si sa se a vantaggio della verità o per aumentare la confusione.
Il "volto" e la "maschera" qui sono tutt'uno e il teatro è solo un'occasione per ricordarcelo: chi può permettersi infatti di essere sempre sé stesso, di mostrare a tutti il proprio vero volto, senza il bisogno di proteggerlo con una maschera?
Il concetto Junghiano di "Persona"(in latino era la maschera che idossavano gli attori in teatro per impersonare i loro personaggi)si fonda su questa realtà: volendo o no siamo in gran parte costretti a recitare un ruolo, sia professionalmente, sia in privato, e solo a volte possiamo permetterci il lusso di togliercela e mostrare il vero volto. Tanti non sanno nemmeno di averla e si illudono di essere sé stessi, identificandosi col ruolo: "lei non sa chi sono io!..."

Giuliano ha detto...

Non sono sicuro che sia un bel film, e va anche detto che, prima di avere i dvd con la versione originale, era ben difficile capire i primi film di Bergman, che da noi furono molto stagliuzzati e censurati.
Però è un film notevole, proprio come dici tu: perché qui Bergman è molto esplicito, e ci sono così tante indicazioni che c'è da perdersi. Per esempio io ho saltato nel commento quasi tutta la parte dedicata alla "servitù", che è tutt'altro che secondaria: basti pensare ai filtri d'amore, alla cena e all'ironia nelle scene amorose ed erotiche (Bibi Andersson è da incorniciare). Nel prossimo post dedico spazio anche a quello, però.

"Persona" invece è un film difficilissimo...Ce l'ho qui da tempo, ma mi fa un po' paura, così come Il silenzio, o La vergogna...
Per tacere di Fanny e Alexander, che oltretutto è molto lungo - Bergman è più impegnativo di Tarkovskij, se non altro per il numero di film girati che è di molto superiore (idem per Fellini!) (Fellini è uno junghiano dichiarato, Bergman sta molto sulle sue)

Marisa ha detto...

Sì, Fellini ha fatto un'analisi junghiana prima con Bernard (allievo diretto di Jung,che ha portato l'analisi junghiana in Italia, poi con Trevi) e nei suoi lavori l'atmosfera onirica con precisi richiami archetipici è evidente. Bergman è sicuramente influenzato dal lavoro dell'inconscio e non si può cercare di capirlo senza almeno qualche conoscenza delle dinamiche che la psicoanalisi ha evidenziato, ma questo vale anche per tutta la grande cultura del xx° secolo. Anche chi non ha fatto personalmente un'analisi, non può ignorarne il valore culturale. Non potrebbe avvicinarsi a Kafka, a Musil, a Canetti, a Proust, a Joyce,ecc...,insomma a nessuno dei grandi della letteratura e nemmeno ai grandi registi, che lavorano direttamente con le immagini e quindi con il materiale più vicino ai sogni...

Giuliano ha detto...

Di Fellini esistono dichiarazioni esplicite in proposito, su Jung, anche nelle interviste filmate. Gli altri sono molto più defilati, Bergman dice di avere i suoi "mostri personali" e c'è da credergli!
Mi hai fatto pensare che Kafka, Musil, Joyce eccetera, sono tutti più o meno coetanei di Jung: non ci avevo mai pensato.