Così lontano così vicino (Faraway, so close! / In weiter Ferne, so nah!) (1993) Regia: Wim Wenders Soggetto e sceneggiatura: Wim Wenders, Ulrich Zieger, Richard Reitinger Dialoghi: Ulrich Zieger Fotografia: Jürgen Jürges Montaggio: Peter Przygodda Musica: Laurent Petitgand Canzoni: Laurie Anderson, Jane Siberry, Simon Bonney, Lou Reed, Herbert Grönemeyer, U2, Johnny Cash, The House of Love, Nick Cave. Suono: Günther Kortwich Scenografia: Albrecht Konrad Costumi: Esther Walz Interpreti: Otto Sander, Bruno Ganz, Horst Buchholz, Nastassja Kinski, Peter Falk, Heinz Rühmann, Solveig Dommartin, Rüdiger Vogler, Willem Dafoe, Michail Gorbaciov, Lou Reed, Henri Alekan, Louis Cochet, Tom Farell, Marijam Agischewa, Monika Hansen, Hanns Zischler Durata originale 146'
Alla voce “Arte degenerata” wikipedia dice:
«“Arte degenerata” (in tedesco: entartete Kunst) è un termine che divenne famoso nella Germania del regime nazista per indicare quelle forme d'arte che riflettevano valori o estetiche contrarie a quella ariana. (...) Nel 1937, le autorità naziste epurarono i musei dall'arte considerata "degenerata". Presero quindi 650 tra le opere condannate e le esposero in una speciale mostra itinerante di "arte degenerata". L'Espressionismo era lo stile preso più di mira tra quelli condannati. Tra gli artisti rappresentati nella mostra troviamo: Ernst Barlach, Max Beckmann, Marc Chagall, Otto Dix , Max Ernst, Otto Griebel, Georg Grosz, Vasily Kandinsky, Ernst Ludwig Kirchner, Paul Klee, Oskar Kokoschka, Emil Nolde, Franz Marc, Edvard Munch, Max Pechstein, Karl Schmidt-Rottluff. I movimenti artistici condannati come "degenerati" durante il regime nazista furono: Dadaismo, Cubismo, Espressionismo, Fauvismo, Impressionismo, Nuova oggettività, Surrealismo. La mostra iniziò a Monaco e si spostò in undici città della Germania e dell'Austria. Fu la più grande e più visitata tra le mostre d'arte mai organizzate in quel periodo. Diversi tra gli artisti i cui lavori furono condannati, che erano in vita a quei tempi, morirono nei lager nazifascisti. (...)»
La voce su wikipedia è molto lunga, risale fino a Cesare Lombroso e ad altri teorici ottocenteschi e novecenteschi che non amavano il “nuovo corso” dell’arte, sempre meno realistico, e ipotizzavano tare mentali negli autori di siffatti dipinti.
Una lunghissima lista. Se non fosse per le tragedie che tutti conosciamo ci sarebbe perfino da ridere: ci sono praticamente tutti i pittori più importanti. Manca Pablo Picasso, ed è ben strano; però ci sono gli Impressionisti: dunque l’arte degenerata nasce nell’Ottocento, con Auguste Renoir, van Gogh, Manet, le ninfee di Monet...
Intendiamoci, ognuno di noi è libero di preferire questo o quello, sui gusti personali non si discute e certamente Leonardo e Raffaello dipingevano in modo molto diverso da Oskar Kokoschka: ma questi ragionamenti sulle “tare mentali” dimenticano quantomeno che, nello sviluppo dell’arte visiva, ha avuto gran peso la nascita della fotografia. Nel Novecento, l’arte figurativa “classica” era ormai appannaggio quasi esclusivo di cinema e fotografia.
Però questo è un discorso che è stato affrontato molte volte, le teorie sull’arte degenerata sono giustamente finite al loro posto, cioè nel bidone della spazzatura (ci sono dei pazzi dichiarati che dipingono in maniera perfettamente limpida e razionale), e non mi dilungo. Sottolineo solo due cose: la presenza nella lista di Paul Klee, un artista che amo moltissimo, e il fatto che questa lista sia stata estesa dai nazisti anche alle altre arti, soprattutto la musica ma anche il cinema, e alla scienza. Il risultato fu che il Terzo Reich si privò di tutti i suoi migliori artisti e scienziati, costretti ad emigrare negli Usa: e fu anche per questo che perse la guerra, come è ben noto.
Nel 1992 Wim Wenders gira “Così lontano così vicino”, che è la continuazione del suo film più famoso, “Il cielo sopra Berlino”, del 1986. Mentre sta preparando il film, a Berlino viene ricostruita la mostra nazista sull’Arte degenerata, ovviamente con ben altri intenti: una mostra con così tanti capolavori è rara da vedere ed ha grande successo. Wenders, berlinese, ne approfitta e inserisce la mostra nel suo nuovo film. Di “Così lontano così vicino” (Faraway so close, In weiter Ferne so nah’) ho già parlato molto l’anno scorso: è un film molto lungo, con momenti buffi e momenti drammatici che fanno ancora commuovere e riflettere.
Questa scena è più o meno a metà del film: il protagonista, interpretato da Otto Sander (un grande attore di teatro, che ha fatto pochi film), è ormai ridotto a vivere come un barbone. Riesce a infilarsi nel Museo dove si tiene la mostra (siamo nell’ex Berlino Est), dove ci sono già altri due attori del film, Horst Buchholz e Rüdiger Vogler. Sono due volti noti: Buchholz è stato da giovane uno dei “belli” di Hollywood, anche in film famosi come “I magnifici sette”, e molti se lo ricorderanno anche in “La vita è bella” di Roberto Benigni, girato qualche anno dopo questo film. Rüdiger Vogler, oltre ad essere uno degli attori più richiesti in Germania, è un amico personale di Wenders, e con lui ha girato quasi tutti i suoi film più importanti.
Sander nel film si chiama Cassièl, e interpreta con molto spirito e molta simpatia (e anche un po’ di sana buffoneria) un angelo del cielo che si è incarnato, e che si ritrova imbranatissimo su questa nostra terra. E’ anche per questo, per la sua ingenuità, che è finito a vivere da senza tetto per le strade di Berlino.
Ma qui, davanti ad un dipinto di Max Beckmann (che rappresenta la morte dell’angelo), ritrova le sensazioni di cinquant’anni prima, ai tempi del nazismo. Lui era già lì, come angelo non subiva il passare del Tempo; e ora davanti a quel quadro, che era già in quella mostra del 1937, rivede i nazisti, e torna a provare l’angoscia di quegli anni. Sviene, e quando si riprende viene messo alla porta dai custodi del Museo; più avanti incontrerà ancora Horst Buchholz e la sua vita avrà una svolta. La scena del Museo finisce qui.
Bisogna dire che Sander è bravissimo nell’interpretare “L’urlo” di Edvard Munch, e che del pittore norvegese riesce a riprendere tutta l’angoscia; e che le parti della sua visione sono in bianco e nero.
Nel suo commento al film, Wim Wenders dice che la mostra del 1937 è stata accuratamente ricostruita basandosi sulle fotografie d’epoca, e fa presente (sorridendo) che il quadro che vediamo nel film è solo una copia di “L’angelo caduto” di Max Beckmann: girare davanti all’originale avrebbe comportato costi insostenibili. La sequenza si era aperta su un volantino appeso al muro esterno del museo, “Zeit ist Kunst”, il Tempo è Arte. Wenders dice che quel volantino era già lì appeso, e a me non resta che credergli; ma siccome ho visto il film posso dirvi che il Tempo ne è il vero protagonista, in carne e ossa.
Nessun commento:
Posta un commento