Cobra Verde (idem, 1987) Regia di Werner Herzog. Tratto da “Il vicerè di Ouidah” di Bruce Chatwin. Sceneggiatura di Werner Herzog. Fotografia: Victor Ruzicka. Musica: Popol Vuh. Con Klaus Kinski, King Ampaw, José Lewgoy, Salvatore Basile, Guillermo Coronel, Nana Agyefi Kwame II, Benito Stefanelli, Nana Fedu Abodo (111 minuti)
Cobra Verde è un bandito terribile e crudele, in Brasile; al suo apparire tutti corrono a nascondersi, e basta il suo nome a seminare terrore. Un fazendero ricchissimo lo assume nella sua coltivazione, senza conoscerne l’identità, perché ne ha visto il valore; però Cobra Verde, alias Francisco Manuel, gli mette incinte tutte e tre le figlie, e quindi diventa un problema, anche perché ormai la sua vera identità è nota. Che fare? Di concerto con gli altri latifondisti, si decide di far finta che vada tutto bene, e di mandare l’uomo in Africa, dal re folle di Abomey, nel Benin, per far riprendere il commercio degli schiavi – con la speranza che muoia nell’impresa, e che non lo si veda mai più. Cobra Verde riuscirà invece nell’impresa, ma ormai non è più tempo di schiavi: tutti i principali governi (siamo a metà Ottocento) hanno messo al bando quest’attività, e chi la pratica viene ricercato come un criminale.
E’ il soggetto di un libro di Bruce Chatwin, “Il vicerè di Ouidah”, così come è stato adattato da Werner Herzog: «Ouidah, nel sud del Benin, fu tra il ‘600 e il ‘700 una delle capitali del commercio di schiavi. La piazza buia dove gli schiavi venivano stipati dopo essere stati marchiati a fuoco si chiama Zomaii, “là dove non penetra la luce”.» Sembra che la schiavitù passi ancora di qui, nell’anno 2007, soprattutto per i bambini e le bambine il cui commercio è ancora redditizio.
Il film è girato in Ghana e in Colombia, e anche se è sempre un film di Herzog, con moltissime sequenze memorabili, qualcosa comincia a scricchiolare. E’ il Tempo a giocare qualche scherzo a Herzog: Klaus Kinski ha sessant’anni, li porta molto bene ed è sempre di un’aderenza meravigliosa al personaggio, ma è ormai troppo vecchio per la parte, e soprattutto all’inizio è poco credibile come bandito che fa scappare tutti al solo sentirlo nominare. Ma il Tempo non è passato solo per Kinski: se nel 1972, con Aguirre, il fascino dell’esotico e dell’inesplorato era ancora fortissimo, e se nel 1981, con Fitzcarraldo, giocava molto il fascino del ricordo e della ricostruzione d’epoca, con Cobra Verde siamo ormai entrati in un’epoca in cui con l’esotico e il selvaggio non si può più giocare come un tempo. Non solo gli europei hanno preso a viaggiare e vedere il mondo come mai si era fatto prima, ma è il mondo (l’Africa e il Sud America, per l’appunto) che è venuto qui da noi a trovarci e a farsi conoscere. E quindi se “Cobra Verde” delude un po’, la colpa non è né di Herzog né di Kinski, sempre bravissimi, ma del mondo che è cambiato. Un po’ la stessa ragione per cui non si girano più western, e quei pochi che si girano hanno un sapore diverso.
Ma “Cobra Verde” merita di essere visto. E’ forse l’ultimo grande film “a soggetto” di Herzog, che da qui in poi si dedicherà quasi esclusivamente ai documentari e ai cortometraggi; ed è anche il suo ultimo film con Klaus Kinski. Kinski è invecchiato e si vede, ma con la feluca napoleonica è imperdibile. L’espressione feroce del suo volto è sempre la stessa, e anche l’agilità fisica (la ferocia fisica, da animale feroce, con cui si muove) è immutata. E la scena finale, anche qui come in “Aguirre”, è dedicata a lui; ed è quasi altrettanto memorabile. Cobra Verde è solo su una spiaggia, con l’unica compagnia di un ragazzo poliomielitico che il bandito neppure degna di uno sguardo. C’è una barca, ma è troppo pesante da spostare. Ormai è finita, il tempo per l’avventura se ne è andato per sempre.
Il film è tratto molto liberamente da un romanzo di Bruce Chatwin, “Il vicerè di Ouidah”. Chatwin e Werner Herzog si conobbero in Australia, mentre Herzog stava girando “Dove sognano le formiche verdi”; lo scrittore inglese stava raccogliendo materiale per completare “Le vie dei canti”. L’incontro fra i due lo si può ascoltare, oltre che qui, dalla stessa voce di Herzog, sul dvd ufficiale di “Dove sognano le formiche verdi”, nel commento al film. Il “vicerè di Ouidah” è del 1980, il film è del 1987; si tratta del secondo libro pubblicato da Chatwin, il primo fu “In Patagonia”, mentre “Le vie dei canti” è del 1987. Bruce Chatwin morì pochi anni dopo, nel 1989.
2 commenti:
Per me la scena finale rimane memorabile anche per la frase "Un giorno gli schiavi venderanno i loro padroni e voleranno via liberi".
Il ragazzo deforme sulla spiaggia poi mi sembra l'immagine tragica e più appropriata per rappresentare tutte le atrocità e le deformità inflitte dalla mentalità legata al colonialismo e al commercio degli schiavi.
Bellissima l'immagine della comunione alla capretta!
Questo è un film da vedere più che da commentare, come tutti i film di avventura. I temi che tocca sono comunque molto profondi, e purtroppo ancora attuali. Ci vorrebbe un'indagine giornalistica, più che un mio post...
E' molto bella anche la scena iniziale, con l'altro ragazzo handicappato (il barista) che è l'unico a non aver paura del bandito.
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