mercoledì 27 ottobre 2010

Il tesoro della Sierra Madre


The treasure of the Sierra Madre (Il tesoro della Sierra Madre, 1948) Regia: John Huston; sceneggiatura: John Huston (dal romanzo omonimo di B. Traven); fotografia: Ted McCord; musica: Max Steiner; interpreti: Humphrey Bogart (Dobbs), Walter Huston (Howard), Tim Holt (Curtin), Bruce Bennett (Cody), Barton McLane (McCormick), Alfonso Bedoya (Cappello d'oro), Bobby Blake (ragazzo messicano), John Huston (uomo dal vestito bianco), Jack Holt (Flophouse Bum); durata: 126'.

All'inizio del film, Humphrey Bogart è uno yankee in Messico, a Tampico. Se la passa molto male: è sporco, malvestito e in disgrazia, costretto a chiedere l'elemosina di qualche spicciolo ai suoi compatrioti di passaggio; ma a testa bassa, perché si vergogna. Ad un gringo non si conviene essere ridotto in quello stato. Ma è in buona compagnia: ci sono altri americani come lui, in città. Sono venuti per cercare l'oro, ma hanno speso tutto quello che avevano e ora non possono nemmeno più ripartire.
A lui si avvicina un bambino messicano, dal volto bello e dolce, che gli propone l'acquisto (ma solo per un quarto ) di un biglietto della lotteria. Bogart è proprio seccato, e lo scaccia malamente; ma il bambino ritorna, insiste, non ne vuole sapere di andarsene. L'americano gli getta perfino un bicchiere d'acqua in faccia, ma il bambino è sempre lì, implacabile, insistente, il bel viso a mostrare un sincero dispiacere. Che fare? L'americano straccione acconsente, pur di liberarsi della sua presenza. Ma il bambino se lo ritroverà davanti, qualche giorno dopo, ancora ad insistere: perché il biglietto ha vinto, e ora Bogart potrà ritirare il premio ed organizzare la sua spedizione sulle colline, alla ricerca dell'oro e della ricchezza.
E' un angelo questo bambino? Parrebbe di sì, ne ha tutti i tratti. Ma la seconda parte del film sembra smentire l'apparenza, o forse noi non siamo mai abbastanza attenti a quello che ci mette davanti il nostro destino e non sappiamo capire quello che ci suggerisce. Con due compagni, un suo amico (l'attore Tim Holt) e un esperto cercatore d'oro, la spedizione parte per le colline e avrà successo; ma l'oro conquistato sarà la rovina di Bogart, e alla fine (un finale beffardo, tipico di John Huston) l'oro ritornerà da dove è venuto, sulle colline, spinto dal vento e dalla stupidità umana.La risata finale del vecchio cercatore, interpretato dal grande Walter Huston ( padre del regista ) è il suggello meraviglioso ad un'avventura tragica che è una bella metafora della nostra vita. Sono due angeli anche i compagni di Bogart? Forse sì, sia Huston che Holt ne hanno i tratti: due angeli di Frank Capra, magari; di quelli che ancora devono guadagnarsi i gradi. Da qualche parte, nel film, c'è di sicuro anche il diavolo: c'è ma non si vede, o comunque è difficile riconoscerlo, in mezzo ai tanti comprimari. Forse, il demonio ha trovato fin troppo facile farsi beffe della debolezza di Bogart.
Ogni tanto mi sento anch'io come il vecchio Bogey all'inizio del film, perduto e senza speranza in qualche bar di Tampico. E mi arrivano di continuo questi ragazzini con i biglietti della lotteria: e sì, è vero che ogni tanto si vince, ma per quel che mi riguarda quell'oro può starsene sulle montagne. Io ci resto, a Tampico, con la barba lunga, a sperare che le cose cambino, e a vivere con quel che c'è (sapendo già come va a finire).


John Huston era una persona singolare. Anni fa ho letto la sua autobiografia, ed è molto divertente: Huston vi si racconta come un attaccabrighe, rissoso, gran bevitore, appassionato di donne e di cavalli. Insomma, qualcosa come l’anello di congiunzione tra Bluto e Popeye: e penso che ci sia molto di vero in quello che racconta, anche se con questo tipo di narratori c’è sempre da calcolare un bel po’ di tara. In ogni caso, il divertimento è garantito e se riuscite a recuperare il libro (penso che sia fuori catalogo) è un po’ di grana grossa ma vi consiglio di leggerlo. E per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, è imperdibile il film di Clint Eastwood “Cacciatore bianco, cuore nero” (1991) che ha proprio John Huston come protagonista interpretato dal vecchio Clint: che si diverte ad entrare nei panni dell leggendario regista di tanti capolavori: immagino che i due si siano conosciuti bene e che sia un ritratto dal vero. Il film è divertente ma anche molto profondo.
E così doveva essere anche il vero John Huston: al di là dell’autoritratto, e dei suoi autentici problemi con l’alcool, Huston è un autore di grande profondità e sensibilità. Non in tutti i film, sia ben chiaro: ne ha girati tanti, e tanti sono di livello “alimentare”, un lavoro ben pagato per potersi poi dedicare a progetti che gli stavano a cuore, o più semplicemente per vivere bene e mantenere la famiglia, come facciamo noi tutti. Ma, quando lo si lascia fare, Huston sa tirare fuori film come “Il tesoro della Sierra Madre”, come “La regina d’Africa”, come “The dead”, , come il tormentatissimo “Riflessi in un occhio d’oro”, e capolavori da narratore e da affabulatore come “L’uomo che volle farsi re”, e come il magnifico “Moby Dick” del 1956. E, soprattutto, quello che più mi stupisce di Huston è la sua capacità di andare a toccare temi vicini al soprannaturale, cosa che non ci si aspetterebbe da uno che si descrive come un energumeno, e che lo apparenta verosimilmente a Bresson, a Bergman, a Tarkovskij.
Del resto, in questo film lo incontriamo subito, di persona: è proprio John Huston l’americano a cui il disgraziato Bogart chiede l’elemosina per tre volte, all’inizio del film. Quanto l’aspetto fisico di Huston corrisponda al suo autoritratto, così vestito di bianco, è cosa che lascio alla vostra interpretazione.


E’ un film famoso, citatissimo da tutti i grandi registi, che ha per protagonista il padre di John Huston, all’epoca un attore molto quotato e di grande livello: è il vecchio cercatore d’oro, e la sua interpretazione è da antologia. E’ anche uno dei pochi film in cui mi piace davvero Humphrey Bogart, e devo dire che a me Bogart sembra credibile solo nei film di Huston, dove appare quasi sempre sporco e stracciato: ma è solo un mio parere personale.
Visto oggi, nel “Tesoro della Sierra Madre” c’è qualche lungaggine nella parte centrale, ma era inevitabile per narrare come si deve il lungo percorso dei tre personaggi; e in questa parte centrale bisognerebbe tornare sul personaggio di Cody, l’intruso che vorrebbe aggregarsi ai tre nell’impresa e che finirà per combattere accanto a loro durante l’attacco dei banditi messicani.
Ma preferisco concludere tornando al personaggio di Walter Huston, il vecchio cercatore: che nel ritorno verso Tampico salva un bambino indio, e che per questo passerà momenti felici: “ma gli ho fatto solo un po’ di respirazione artificiale”, spiegherà sorridendo. Ciò non toglie che i parenti del bambino gridino al miracolo, ed anche a noi spettatori quella guarigione appare un po’ sospetta. Io sono del parere che quel “Milagro!” gridato dai contadini messicani sia molto più che un’indicazione, quasi un segnale ben preciso. Del resto, solo ad un angelo può essere concessa una risata come quella finale, in quel finale magnifico e unico.





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