mercoledì 27 ottobre 2010

Sotto il vulcano

Sotto il vulcano (Under the volcano, 1984) Regia di John Huston. Dal romanzo di Malcolm Lowry. Sceneggiatura di Guy Gallo. Fotografia di Gabriel Figueroa. Musica di Alex North. Con Albert Finney (Geoffrey Firmin), Jacqueline Bisset (Yvonne), Anthony Edwards (Hugh Firmin), Inacio Lopez Tarso (il dottore), Katy Jurado (donna Gregoria), José René Ruiz (il nano), e altri. Durata 112 minuti

Siamo in Messico, a Cuernavaca, nel 1938: è il primo novembre e c’è una grande fiera. Si fa festa, in Messico, per la festività dei morti: è come per noi a Carnevale. Il film si apre su sequenze documentarie, forse anche antropologiche, che vedremo anche più avanti, nel corso della narrazione, e che danno senso a tutto il film.E’ una sequenza di mummie e scheletri, veri e in maschera: i titoli di coda ci dicono che sono stati filmati da Danny Huston (figlio del regista). Ascoltiamo subito anche le musiche originali per il film, molto belle, scritte da Alex North: quasi dimenticato, ci ha dato alcune tra le colonne sonore più belle della storia del cinema. E’ un film grande e disperato, come molti dei più belli di Huston; e senza speranza, a differenza di altre volte. E’ un film sul disincanto, sul capire veramente come è fatto il mondo, cosa c’è dietro al nostro affannarsi.
Geoff Firmin è l’ex ambasciatore britannico a Cuernavaca, ha dato le dimissioni e ha appena ricevuto un telegramma che gli annuncia l’avvenuto divorzio dalla moglie. Il motivo lo sapremo più avanti: la moglie ha avuto una relazione con il fratello minore di Firmin. Tutti vogliono molto bene a Firmin, ma lui non può perdonare né dimenticare, può solo far finta che non sia successo nulla e andare avanti in qualche modo: cioè, bevendo fino ai limiti del possibile. In una delle prime sequenze vediamo Firmin elegante e ben curato, in abito da sera ma senza i calzini: il suo amico dottore, messicano, glielo fa notare. Un dettaglio che sciupa tutto, ma Firmin è troppo ubriaco per dargli importanza. La sua sofferenze deriva da una lucidità estrema, una coscienza del mondo così forte da doverla annegare nell’alcool.
Non bisogna però credere, dopo quello che ho detto, che il film sia cupo e triste. Huston è il più grande narratore della storia del cinema, nessuno come lui sa raccontare una storia, anche disperata, con così tanto buon umore e tante piccole gags disseminate con sapienza qua e là. Huston è un maestro del disincanto, della sprezzatura. Il film ha un taglio narrativo particolare, tipico di Huston, un procedere quasi di sbieco, stando sul limite estremo, sul filo della spada (e della vita). Un film così duro Huston lo aveva già fatto, “Riflessi in un occhio d’oro”; e anche in quel film, come in “Gli Spostati”, la Natura ha un ruolo importante. A tutto sovrintende, quasi senza mai essere visto, la forza del vulcano – per ora quieto - che sovrasta la città. Il ruolo della natura vera, come in Tarkovskij, a confronto con la nostra alienazione. Un valore vero, la vita vera, invece dei nostri valori fittizi e sintetici; e un’ambientazione che rimanda molto a un altro dei grandi film di Huston, “Il tesoro della Sierra Madre”, con Albert Finney al posto di Bogart. Ma qui non c’è più speranza, non ci sono più ragazzini messicani con i biglietti della lotteria, tutto è perduto. In fondo al percorso c’è solo la morte. “Sotto il vulcano” è tratto da un romanzo di Malcolm Lowry, ma in questa storia non c’è solo Lowry, c’è anche molto di personale: John Huston ci sta raccontando molto di se stesso. Il vero protagonista del film, la sua vera tragedia, è l’alcolismo; e la dipendenza dall’alcool ha segnato molto anche la vita del regista.
Firmin e il dottore messicano suo amico escono insieme. Al cinema, vedono frammenti del film “Horlac”, una storia dell’orrore sulle mani di un assassino trapiantate che continuano a commettere omicidi, a dispetto della volontà dell’uomo (un pianista) cui furono trapiantate. “Ci sono cose che non dipendono da noi”, commenta il dottore. Escono in strada, la festa è continua, in ogni angolo scheletri e maschere fanno baldoria.
Firmin: Solo in Messico la morte diventa un’occasione per divertirsi.
Dottore: Nel giorno dei morti, quando i loro spiriti tornano sulla Terra, le strade del Paradiso dobbiamo rendergliele facili e piacevoli. Se le riempiamo di lacrime, loro scivolano.
Firmin dice di voler rimanere a Cuernavaca, anche se adesso è in pensione. Al dottore dice anche che ha appena ricevuto la notizia del divorzio, ma che con lui c’è suo fratello, il fratellastro che il padre ha avuto con una texana, e al quale è molto affezionato. Il fratello, reduce dalla guerra di Spagna, gli ha detto che ha notizie certe su un gruppo di banditi vicino ai nazisti, che ricevono cospicui finanziamenti dalla Germania.
Il Dottore porta Firmin in un locale, dove l’ex ambasciatore si ubriaca ancora di più. Gli si avvicina il nuovo console tedesco, e il dottore glielo presenta. Firmin continua ad essere gentile e diplomatico; il nazista gli ricorda sorridente il recente Patto di Monaco: Gran Bretagna e Germania sono amiche. Firmin lo ascolta con educazione, ma poi la sua amarezza ha il sopravvento e comincia a non essere più diplomatico; il nazista si ritira un po’ spaventato, Firmin va sul palco del gruppo musicale e comincia a parlare dei morti, della grande quantità di morti che porterebbe una nuova guerra.. Il dottore riesce a calmarlo: “E’ triste consumare la vita nella convinzione che tutto sia una tragedia... Non si può vivere senza amore.” Questa frase, “non si può vivere senza amore”, il dottore la ripeterà spesso a Firmin.
Il dottore porta Firmin fuori dal locale, e insieme vanno in chiesa, dalla Vergine della Solitudine. Ma Firmin non è cattolico, dice che per lui è come invocare la Fata Turchina.
- Perdonalo, è ubriaco, ed è triste ed è solo. – dice il dottore, rivolto alla Vergine.
Alla fine, Firmin se ne esce con una mezza preghiera. I due non lo sanno, ma la moglie di Firmin è già tornata: però l’autobus si è attardato e giungerà in città solo la mattina dopo.

In queste scene, Huston mette una lunga serie di figure allegoriche: la vecchia india che gioca a domino con una gallina, il flautista cieco sul cavallo bianco, il vecchio portato a spalle dal figlio; e a casa di Firmin troveremo il gatto Edipo (un magnifico siamese dal pelo chiaro, che smette di lamentarsi solo quando lei ritorna a casa – il vicino non ne poteva più, di quei lamenti). Le camelie, a casa, sono rinsecchite: “Cosa ti aspettavi? che tutti facessimo festa?” Firmin e la moglie accennano a un lied di Richard Strauss sul giorno dei morti, “come in quel giorno di maggio”.
- Sei tornata per restare?
- Sono qui e basta.


La domestica Concepta tiene in ordine la casa, che è grande e bella, ma un po’ trascurata. Il magnifico giardino è stato lasciato a se stesso; Firmin ha le mani che tremano, non riesce a tener fermo il bicchiere; ma ha sempre un discreto controllo di sè. Incontra il suo vicino di casa, quello che si lamentava per i lamenti del gatto, e gli fa un lungo discorso confuso ma pieno di cose belle. Gli dice che niente è più concreto della magia (la magia che lo trattiene in Messico) , che ha riflettuto a lungo sull’Eden, e gli racconta la storia di Blackstone e dei puritani, nel Massachussetts: Blackstone preferì abbandonare i puritani e perdersi nell’Eden.
Nonostante il divorzio, lei è molto affettuosa, si vede che gli vuol bene. Insieme recitano i nomi dei mesi in Maya, “il mio preferito è quel mese piccolo che ha solo cinque giorni”. Lui le promette che smetterà di bere, si baciano, lei lo ama ancora. Ma non dura, non può durare, lui si rialza subito.
- Mi dispiace tanto, non serve a niente, purtroppo. (si allontana)- (sottovoce, quasi a se stessa) Rimani qui...Qui torna il fratello Hugh, col cappello e gli stivali da cowboy. E’ stato ferito nella guerra di Spagna, ed è rientrato; adesso è guarito ma la guerra non è ancora finita. - E’ una causa persa, comunque - dice a Yvonne – Franco ha le armi, gli aerei e i carri armati, noi solo le canzoni patriottiche. “Adesso che sei tornata può darsi che smetta di bere”. Lei sospira.
Il giorno dopo, Firmin ubriaco cade per strada e lì si addormenta. Lo “soccorre” un automobilista yankee che lo riconosce: è lui quello che ha fatto quel discorso l’altra sera, nel locale! Gli dà da bere e fanno amicizia, poi l’altro riparte. Firmin torna a casa e prova a farsi una doccia, ma vede uno scarafaggio nel bagno (in spagnolo, una cucaracha: ma la canzone non c’è nel film), un inizio di delirium tremens o uno scarafaggio vero? Firmin ne è atterrito, urla; Hugh e Yvonne accorrono ad aiutarlo. Una scena tristissima, una delle più tristi della storia del cinema; ma dimostra che Firmin è molto amato. Il fratello gli fa la barba, lei lo aiuta a infilarsi i calzini. Lo accudiscono come si farebbe come un bambino.
“Niente passato, solo futuro” “Perché non ce ne andiamo via di qui?” dice lei.
Hugh dice al fratello che forse è meglio che lui se ne vada via, adesso che lei è tornata. Ma Firmin gli dice di restare. Tutti e tre insieme vanno alla Fiera, è l’ultimo giorno. Per strada, incontrano l’uomo che porta il vecchio sulle spalle. Ammirano il Popocatepetl e “la sua bella addormentata”, i vulcani che dominano il panorama di Cuernavaca. Rivediamo il dottore, che è molto colpito dalla presenza di Yvonne e dice che è un miracolo della Vergine. Firmin scettico gli ricorda che Yvonne era già in viaggio, che era già quasi arrivata ieri sera; il dottore dice che questo non ha importanza, che la Vergine sapeva in anticipo; e spiega a Yvonne che ieri hanno pregato insieme in chiesa, lui e Firmin. Hugh commenta che il dottore mette insieme logica e fede, non sa che sono come il leone e l’agnello. Per strada, c’è una recita di Don Juan Tenorio, col convitato di pietra, diavolo e l’angelo (donna Ines) che salva il dissoluto. Un’altra sequenza a cui Huston dà molta importanza. Proseguendo il percorso, la Morte danza e balla per strada, in mille forme, tra le maschere.
Hugh dice che non tornerà in Spagna, ma vuole arruolarsi nella Raf: è bene informato ed è convinto che presto ci sarà una guerra, e bisogna tenersi pronti.
Hugh: Ma questa volta combatteremo per le nostre anime.
Firmin: Ah, allora vuol dire che ce le abbiamo ancora.
Yvonne: Tu hai un’anima, ed è bellissima.
Firmin: Allora aiutami a trovarla, chissà dov’è finita.
Ma qui Firmin li abbandona, dice loro “ci vediamo dopo” e va da una vecchia amica che gestisce un bar, Donna Gregoria (Katy Jurado). Parlano insieme, ma soprattutto lei lo lascia bere. Per strada, bambini offrono armadilli in gabbiette di legno a Hugh e Yvonne; ci sono tiro a segno e giostre. Firmin va sull’aeroplano che gira su una grande ruota, è ubriaco e gli cade tutto quello che ha in mano e in tasca, ma ride contento. Sotto, i bambini raccolgono tutti gli oggetti; li mettono nel cappello (soldi e pipa compresi) e glieli rendono quando scende. Yvonne e Hugh sono già accanto a lui, preoccupatissimi. - Sapete cosa ho fatto? Ho preso a calci il cielo.Insieme, i tre prendono un bus. Sul bus, Hugh riconosce il simbolo della setta nazista messicana (“Sinarquistas”) addosso a un uomo; poco più avanti, il bus viene fatto fermare perchè c’è un ferito disteso per terra, sul bordo della strada. E’ il cieco che suonava il flauto, agonizzante; accanto a lui il suo cavallo bianco. L’uomo è cosparso di sangue, e ha molte monete con sè. Hugh vorrebbe soccorrerlo, ma arrivano dai campi uomini armati e minacciosi che lo fanno desistere. Tutti tornano sul bus, l’uomo col distintivo nazista maneggia i soldi insanguinati appena presi dal cadavere; ha le mani sporche di sangue e pulisce con un fazzoletto le sue mani e le monete. Ma bisogna far finta di niente.
I tre vanno assieme al ristorante all’aperto, lì vicino c’è una piccola arena, una plaza de toros dove i bambini si allenano a diventare toreri. Al ristorante c’è un mariachi, Hugh gli chiede la chitarra, suona e canta “mamita mia” (canzone della guerra di Spagna?). - Mi sento un disertore, non dovevo andare via.Poi entra nell’arena un toro vero, Hugh prende un drappo rosso e va a toreare con molta bravura. Alla fine, il pubblico lo porta in trionfo. Prima che Hugh torni, Yvonne dice a Firmin che “rivuole il suo matrimonio”; ha ancora la vera all’anulare nonostante il divorzio. Firmin è contento, dice di sì, che andranno via insieme verso il Nord, negli USA, che ricominceranno una nuova vita. Quando Hugh torna al tavolo, sono tutti allegri; ma dura poco. Una pesante battuta di Firmin sugli eschimesi che donano la moglie all’ospite rompe l’incanto.
Hugh: Geoffrey, ma quale demone ti possiede?
Firmin: Quello della sobrietà, temo. L’inferno, io preferisco il mio inferno... l’ho scelto io, è il mio ambiente naturale.
No, non è più possibile tornare indietro. Firmin si alza e se ne va, è davvero sobrio e lucido.
- Non ci perdonerà mai. Non lo vuole, il tuo aiuto.
- Ma io voglio il suo!
– dice Yvonne, e si alza per andarlo a cercare. Ma Firmin è già salito sull’autobus.
Lo ritroviamo in un bar che fa da bordello, gestito da un nano molto violento.La scena, al suo inizio, ricorda molto una simile in Cobra Verde di Herzog. Al banco, un bambino che legge una storia illustrata, e che serve senza alzare gli occhi dal giornale. Il nano offre a Firmin una ragazza, quella che vuole, ma lui si mette in un angolo, tira fuori le lettere di Yvonne (che non ha mai aperto, ma che ha sempre portato sul cuore) e inizia a leggerle. Un ubriaco grasso americano straparla, si mostrano galli da combattimento, la vecchia del domino parla con Firmin. Entra molta altra gente, brutti ceffi tra i quali gli assassini del cieco. Yvonne e Hugh trovano finalmente Firmin, ma il nano, con un gesto molto osceno e ripetuto, gli fa presente che è di là con una ragazza; e così è davvero. I due se ne vanno, lei è disperata.
Finito e pagato, Firmin esce dal locale; ma fuori c’è legato il cavallo bianco del cieco e si ferma a guardarlo. Ne nasce una brutta discussione.
- Ho sentito dire che il mondo gira, e così sto qui e aspetto che mi torni davanti.
- No, tu volevi rubarmi il cavallo.
Firmin verrà ucciso a colpi di pistola; Yvonne tornando indietro, dopo gli spari, verrà travolta dal cavallo bianco in fuga; morirà tra le braccia di Hugh.
Memorabili gli interpreti, su tutti Albert Finney; bellissima e commovente Jacqueline Bisset, elegante e intenso Edwards. Da sottolineare l’uso della luce fatto da Huston: una luce molto particolare, si direbbe tutta luce naturale, che diventa parte stessa della narrazione, dando ai colori un risalto e un’ombra che, sotto il Vulcano, rispecchiano lo stato d’animo del mondo alla vigilia di una grande catastrofe.
Il film di John Huston è molto scorrevole e spettacolare; rileggendo quello che ne ho scritto mi sono accorto che non sono riuscito ad essere né breve né preciso. E’ colpa mia e me ne scuso, ma “Sotto il vulcano” è troppo grande, io non sono John Huston e riassumerlo in mezza pagina è un’impresa decisamente superiore alle mie forze.

Nessun commento: