martedì 26 ottobre 2010

Ginger e Fred ( I )

Ginger e Fred (1985) Regia: Federico Fellini - Soggetto: Federico Fellini, Tonino Guerra - Sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra, Tullio Pinelli - Fotografia: Tonino Delli Colli, Ennio Guarnieri – Musica: Cheek to cheek (Heaven, I’m in heaven...) Musiche originali e arrangiamenti a cura di Nicola Piovani - Scenografia: Dante Ferretti - - Effetti speciali: Adriano Pischiutta - Costumi: Danilo Donati - Arredatore: Gian Franco Fumagalli - Architetto: Nazzareno Piana - Pitture: Rinaldo e Giuliano Geleng - Coreografo: Tony Ventura - Produttore: Alberto Grimaldi INTERPRETI: Giulietta Masina (Ginger), Marcello Mastroianni (Fred), Franco Fabrizi (Presentatore,doppiato da Alberto Lionello), Frederick Ledebur (Ammiraglio), Martin Maria Blau (aiuto regista), Jacques Henri Lartigue (frate volante), Toto Mignone (Toto), Ezio Marano (intellettuale), Antoine Saint Jean (assistente), Frederick Thun (sequestrato), Antonio Iuorio (ispettore Tv), Claudio Botosso (giornalista), Barbara Scoppa (giornalista), Elisabetta Flumeri (giornalista), Ginestra Spinola (madre voci trapassati), Sergio Ciulli (figlio voci trapassati), Stefania Marini (segreteria tv), Francesco Casale (mafioso), Gianfranco Alpestre (avvocato), Filippo Ascione (pianista), Elena Cantarone (infermiera), Cosimo Chiusoli (moglie spretato), Claudio Ciocca (cameraman), Federica Paccosi (ballerina), Augusto Pederosi (travestito), Alessandro Partexano (marinaio), Tiziana Bucarella (fotografa), Elena Magola (critica letteraria), Mauro Misul (editore), Luigi Rossi (superdecorato), Franco Trevisi (capitano carabinieri), Narcisio Vicario (presidente tv), Moana Pozzi, Mario Conocchia, Ivano Marescotti, e altri. Durata: 125'
Non sapevo da dove incominciare, con “Ginger e Fred”, fino a che non ho trovato questo frammento di un’intervista a Tonino Guerra:
- Quale attore ha saputo dare più anima alle sue parole?
«Non amo fare preferenze, ma uno con la forza di Gianmaria Volontè è raro al mondo. Ho avuto un grande rapporto anche con Mastroianni, con cui ho fatto dodici film, un uomo di delicata grazia. Vorrei che tutti tornassero a vedere la scena di Ginger e Fred quando Marcello cade prima di ballare, e nel suo sguardo con lui cade tutta l'umanità contadina, tutto quell'universo stupendo verso il quale dobbiamo tornare. L’uomo non c'è più. Tutti gli ideali sono caduti. E la colpa è anche dei religiosi, che non riescono più ad addolcire l'uomo e a migliorarlo».
- Il suo ateismo non vacilla col passar degli anni?
«Io non credo in niente, però, avendo paura di morire, mi farebbe comodo se ci fosse quel prolungamento della vita che dicono. Mi consola il filosofo Severino quando afferma che non sa quale, ma dopo la morte un premio c'è sicuramente. A novembre, nel giorno dei morti, ho scambiato due chiacchiere con un contadino fuori dal cimitero, dove gli ho confessato che non volevo entrare per paura. Mi ha detto: "Perché paura? La morte non mi annoia: viene una volta sola".». Tonino Guerra, intervista a “il Venerdì di Repubblica” del 12 marzo 2010 (int. di Emilio Marrese)
Per capire il senso di “Ginger e Fred” può essere utile anche Jules Feiffer. Feiffer, grande disegnatore americano, aveva un personaggio fisso: quello della ballerina. Ma anche Fred Astaire faceva parte del suo repertorio: il grande ballerino degli anni ’30 e ’40, memorabile per la sua leggerezza e la sua agilità, che quando si muoveva sembrava quasi diventare incorporeo. Per Feiffer, la danza è una metafora dell’evasione del mondo: quando la realtà si fa troppo pesante e opprimente, la danza è una via di fuga. Anche Fellini, lo sanno tutti ma ogni tanto va ricordato, nasce come disegnatore umoristico, al Marc’Aurelio negli anni ’40. Aveva un segno completamente diverso da quello di Feiffer, ma sicuramente Fellini conosceva queste strip (pubblicate per più di trent’anni anche da noi, sul mensile “Linus”) e ne teneva conto.


Come terzo punto di partenza, potrei prendere quel signore che ho visto l’altro giorno in tv discettare pensosamente di emittenza pubblica e privata, del digitale e del satellitare, dei decoder, del blue ray, dell’alta definizione, di quant’altro ancora: era un Professore di Storia della Televisione, ma mica “professore” per modo di dire: Professore Universitario, maestro di vita e di conoscenza, non certo un titolo che si regala agli sprovveduti (almeno, lo spero).

Uno dei più triti e vetusti luoghi comuni (tutto da verificare) recita che la storia viene scritta dai vincitori: in altri campi non è vero, e la verità storica non è soggetta a interpretazioni; ma per la tv è andata proprio così, e i vincitori in questo caso sono i pubblicitari e gli addetti al marketing. L’unica cosa che conta, dalla nascita della tv commerciale, è fare i soldi – e non importa come. In nome di questa storia della tv scritta per compiacere i padroni dell’emittenza privata passano per vere affermazioni che sono tutte da verificare, però a questo punto conviene fermarsi e cominciare a parlare del film. Spero che prima o poi sulla nascita dell’emittenza privata in Italia venga scritto un trattato serio: il materiale non manca, ci sono state ottime inchieste giornalistiche (e sentenze giudiziarie) negli anni ’80 e ‘90.

All’uscita del film, si diceva che Fellini aveva esagerato, in quel 1985 ormai lontano. Lo avevano detto tutti: “la solita esagerazione di Fellini”; i più gentili aggiungendo “maestro del grottesco” o qualcosa di simile. Era la stessa cosa che pensavo anch’io: va bene pensar male della tv ma uno show così pacchiano non lo avrebbe trasmesso nessuno. Invece, sappiamo tutti come è andata.
Riporto qui tre recensioni d’epoca, con firme importanti, per dare un’idea dell’impressione che fece “Ginger e Fred” al momento della sua uscita:
«[...] La televisione di Fellini è troppo. Troppo tutto, troppo sopra il rigo. Si ride, si riconoscono dei riferimenti, ma questa televisione non è disegnata da Daumier, e neppure da Grosz, è dipinta da Hieronymus Bosch. Niente di male, la televisione di Ginger e Fred è un bel pezzo di grottesco, ma va al di là della satira di costume - e si va al punto tale che tutti i bersagli del discorso felliniano avranno buon gioco a dire "sì, ma noi non siamo proprio così" [...]».
Umberto Eco, L'Espresso, Roma, 2 febbraio 1986.
«[...] Deformità, travestimenti... Finché sulla scena si mostra soltanto la figura stessa, astratta e terribile nella sua genericità, della Deformazione, del Travestimento. Uno dei colpi di genio della fotografia, in questo film, è nel passaggio, nella differenza, tra la luce e i colori delle scene "dal vero", e la luce e i colori di tutti gli spezzoni pubblicitari. Perché è come se a prevalere in quanto a "verità" fosse proprio la falsità del visibile pubblicitario, nella sua sontuosità da indigestione [...]».
Emilio Tadini, L'Espresso, Roma, 2 febbraio 1986.
«[...] L'equilibrio, in qualche modo ancora apollineo e conviviale, di E la nave va si è infranto; le geometrie, ancora in qualche modo perfette e scintillanti, di La città delle donne, si decompongono e si distorcono. L'acquisto in proprio del "cattivo gusto", televisivo slitta nel cattivo gusto della rappresentazione, nella canea di mostri e mostriciattoli, nell'expo di deviazioni e perversioni estetizzanti, in realtà moralmente avvertite come tali (e quindi insopportabilmente ideologizzate) [...]». ro. pu. [Roberto Pugliese], Segnocinema, Vicenza, n. 22, 1986.
(dal volume di Claudio G.Fava, editore Gremese, « Tutti i film di Fellini » )

Fellini parlava della tv, con un film girato per la tv; e tutti dicevano che una tv così volgare e grossolana non era possibile, non in Italia. Sì, da qualche parte, qualche piccola tv locale, c’erano spettacoli molto seguiti simili a “Ed ecco a voi”, ma certo non facevano 25 milioni di spettatori; e poi c’era quel “Fulvio Lombardoni”, noto salumaio, già molto potente, su cui però non si faceva molto credito. La Rai produceva cultura, si facevano le dirette dalla Scala, in prima serata; i suoi film vincevano premi a Cannes e un po’ dovunque, i programmi erano ancora curati da persone competenti. Non era mica lui, il Lombardoni, l’Italia. L’Italia era un’altra cosa, la culla di Dante e di Manzoni. L’Italia era l’Einaudi, era la Scala di Claudio Abbado... E a questo punto devo confessare una cosa: il primo transessuale della mia vita l’ho visto sulle reti di Silvio Berlusconi, e avevo già più di vent’anni. Perdonatemi, ma ero un ragazzo di provincia e a certe cose non avrei mai nemmeno pensato.

Anche Fellini, come dice Tonino Guerra, faceva parte di quella civiltà contadina e antichissima; si parla della morte di un immaginario collettivo durato millenni, la fine di un’aura (vedi “Aure” di Elemire Zolla, editore Marsilio). Guerra e Fellini affrontano con questo “filmettino” (la definizione è dello stesso Fellini, che chiamava così quasi tutti i suoi film) un discorso molto ampio, che va ben al di là della storiellina dei due ballerini, che non ha nulla a che fare con la nostalgia e con i vecchietti che rimpiangono la loro giovinezza. E’ un discorso che coinvolge ciò che si chiama “tradizione”, parola troppo spesso mistificata: chi si presenta oggi in politica come cultore della tradizione in realtà ne è stato e ne è il distruttore, ha cementificato e asfaltato tutto un immaginario e non solo le rive dei fiumi.
Con la cancellazione totale dell’immaginario collettivo e la sua cementificazione e plastificazione si può dire, in questo senso, che siamo davvero entrati in un Mondo Nuovo, nel senso di Huxley e di Orwell, una tabula rasa accuratamente preparata dove il grande vecchio saggio da venerare diventa Mike Bongiorno.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Gli spunti presi per dar vita a questo ottimo post sono eccellenti. In particolare, gli spezzoni tratti dalla critica dell'epoca sono illuminanti. "Ginger e Fred" è un film profetico, probabilmente l'ultimo grande film di Fellini.

ps: mica lo sapevo che Franco Fabrizi era stato doppiato.

Giuliano ha detto...

Mi sono fidato di Claudio G. Fava, che lo ha scritto nel libro da cui ho preso i brani che hai letto: anche a me sembra strano, Franco Fabrizi era un bravo attore. Forse non era disponibile in quel momento, al doppiaggio.
Mi dai anche l'occasione per dire tutto il bene possibile di Alberto Lionello, uno dei grandi del teatro italiano, che fu famoso anche in tv prima che arrivasse il suo omonimo Oreste (diversissimo da lui) a far confondere i nomi e i volti.
Alberto Lionello lo puoi vedere in uno dei film più belli degli anni '60, "Signore e signori" di Pietro Germi.

Anonimo ha detto...

Del film di Germi ho sempre sentito parlare, ma non l'ho mai visto. Terrò conto del tuo suggerimento. Passo ora a leggere il secondo post su "Ginger e Fred".