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Non sapevo da dove incominciare, con “Ginger e Fred”, fino a che non ho trovato questo frammento di un’intervista a Tonino Guerra:
- Quale attore ha saputo dare più anima alle sue parole?
«Non amo fare preferenze, ma uno con la forza di Gianmaria Volontè è raro al mondo. Ho avuto un grande rapporto anche con Mastroianni, con cui ho fatto dodici film, un uomo di delicata grazia. Vorrei che tutti tornassero a vedere la scena di Ginger e Fred quando Marcello cade prima di ballare, e nel suo sguardo con lui cade tutta l'umanità contadina, tutto quell'universo stupendo verso il quale dobbiamo tornare. L’uomo non c'è più. Tutti gli ideali sono caduti. E la colpa è anche dei religiosi, che non riescono più ad addolcire l'uomo e a migliorarlo».
- Il suo ateismo non vacilla col passar degli anni?
«Io non credo in niente, però, avendo paura di morire, mi farebbe comodo se ci fosse quel prolungamento della vita che dicono. Mi consola il filosofo Severino quando afferma che non sa quale, ma dopo la morte un premio c'è sicuramente. A novembre, nel giorno dei morti, ho scambiato due chiacchiere con un contadino fuori dal cimitero, dove gli ho confessato che non volevo entrare per paura. Mi ha detto: "Perché paura? La morte non mi annoia: viene una volta sola".». Tonino Guerra, intervista a “il Venerdì di Repubblica” del 12 marzo 2010 (int. di Emilio Marrese)Per capire il senso di “Ginger e Fred” può essere utile anche Jules Feiffer. Feiffer, grande disegnatore americano, aveva un personaggio fisso: quello della ballerina. Ma anche Fred Astaire faceva parte del suo repertorio: il grande ballerino degli anni ’30 e ’40, memorabile per la sua leggerezza e la sua agilità, che quando si muoveva sembrava quasi diventare incorporeo. Per Feiffer, la danza è una metafora dell’evasione del mondo: quando la realtà si fa troppo pesante e opprimente, la danza è una via di fuga. Anche Fellini, lo sanno tutti ma ogni tanto va ricordato, nasce come disegnatore umoristico, al Marc’Aurelio negli anni ’40. Aveva un segno completamente diverso da quello di Feiffer, ma sicuramente Fellini conosceva queste strip (pubblicate per più di trent’anni anche da noi, sul mensile “Linus”) e ne teneva conto.


Come terzo punto di partenza, potrei prendere quel signore che ho visto l’altro giorno in tv discettare pensosamente di emittenza pubblica e privata, del digitale e del satellitare, dei decoder, del blue ray, dell’alta definizione, di quant’altro ancora: era un Professore di Storia della Televisione, ma mica “professore” per modo di dire: Professore Universitario, maestro di vita e di conoscenza, non certo un titolo che si regala agli sprovveduti (almeno, lo spero).
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Riporto qui tre recensioni d’epoca, con firme importanti, per dare un’idea dell’impressione che fece “Ginger e Fred” al momento della sua uscita:
«[...] La televisione di Fellini è troppo. Troppo tutto, troppo sopra il rigo. Si ride, si riconoscono dei riferimenti, ma questa televisione non è disegnata da Daumier, e neppure da Grosz, è dipinta da Hieronymus Bosch. Niente di male, la televisione di Ginger e Fred è un bel pezzo di grottesco, ma va al di là della satira di costume - e si va al punto tale che tutti i bersagli del discorso felliniano avranno buon gioco a dire "sì, ma noi non siamo proprio così" [...]».
Umberto Eco, L'Espresso, Roma, 2 febbraio 1986.
«[...] Deformità, travestimenti... Finché sulla scena si mostra soltanto la figura stessa, astratta e terribile nella sua genericità, della Deformazione, del Travestimento. Uno dei colpi di genio della fotografia, in questo film, è nel passaggio, nella differenza, tra la luce e i colori delle scene "dal vero", e la luce e i colori di tutti gli spezzoni pubblicitari. Perché è come se a prevalere in quanto a "verità" fosse proprio la falsità del visibile pubblicitario, nella sua sontuosità da indigestione [...]».
Emilio Tadini, L'Espresso, Roma, 2 febbraio 1986.
«[...] L'equilibrio, in qualche modo ancora apollineo e conviviale, di E la nave va si è infranto; le geometrie, ancora in qualche modo perfette e scintillanti, di La città delle donne, si decompongono e si distorcono. L'acquisto in proprio del "cattivo gusto", televisivo slitta nel cattivo gusto della rappresentazione, nella canea di mostri e mostriciattoli, nell'expo di deviazioni e perversioni estetizzanti, in realtà moralmente avvertite come tali (e quindi insopportabilmente ideologizzate) [...]». ro. pu. [Roberto Pugliese], Segnocinema, Vicenza, n. 22, 1986.
(dal volume di Claudio G.Fava, editore Gremese, « Tutti i film di Fellini » )
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Con la cancellazione totale dell’immaginario collettivo e la sua cementificazione e plastificazione si può dire, in questo senso, che siamo davvero entrati in un Mondo Nuovo, nel senso di Huxley e di Orwell, una tabula rasa accuratamente preparata dove il grande vecchio saggio da venerare diventa Mike Bongiorno.
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3 commenti:
Gli spunti presi per dar vita a questo ottimo post sono eccellenti. In particolare, gli spezzoni tratti dalla critica dell'epoca sono illuminanti. "Ginger e Fred" è un film profetico, probabilmente l'ultimo grande film di Fellini.
ps: mica lo sapevo che Franco Fabrizi era stato doppiato.
Mi sono fidato di Claudio G. Fava, che lo ha scritto nel libro da cui ho preso i brani che hai letto: anche a me sembra strano, Franco Fabrizi era un bravo attore. Forse non era disponibile in quel momento, al doppiaggio.
Mi dai anche l'occasione per dire tutto il bene possibile di Alberto Lionello, uno dei grandi del teatro italiano, che fu famoso anche in tv prima che arrivasse il suo omonimo Oreste (diversissimo da lui) a far confondere i nomi e i volti.
Alberto Lionello lo puoi vedere in uno dei film più belli degli anni '60, "Signore e signori" di Pietro Germi.
Del film di Germi ho sempre sentito parlare, ma non l'ho mai visto. Terrò conto del tuo suggerimento. Passo ora a leggere il secondo post su "Ginger e Fred".
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