sabato 2 ottobre 2010

Rimpiangere il cinema

La settimana scorsa, sulla Stampa, www.lastampa.it , ho trovato quest'intervista con Peter Greenaway: c'è poco da dire, Greenaway è molto lucido, la sua analisi è perfetta, non è il caso di discutere ma rimane solo da prendere atto.
Piuttosto, si possono discutere le sue conclusioni finali: il cinema mi mancherà molto, sono più giovane di Greenaway ma ormai anch'io faccio parte del passato. E, appunto per questo, il mio parere non conta niente: mi dispiace doverlo ammettere, ma temo proprio che Greenaway abbia ragione anche su questo, e che per il futuro anche Stanley Kubrick e Sergio Leone saranno visti solamente su uno schermo di tre centimetri quadrati, o magari anche quattro, mai porre limiti alla Provvidenza.
(Le immagini della biblioteca non sono di Greenaway, ma di Wim Wenders: "Il cielo sopra Berlino", anno 1987)
Greenaway: il futuro è il multischermo
Il regista al Prix Italia: «cinema e tv sono morti e io non ci piango sopra. Il mondo va altrove»
interviste a cura di Alessandra Comazzi, La Stampa 20 settembre 2010
TORINO. Ma davvero come lei dice, caro signor Greenaway, il cinema e la tv sono morti?
"Sì, e io non spenderò una lacrima per piangerli".
L'autore del Ventre dell'architetto è di nuovo a Torino, in questa città che gli piace e gli dà tante soddisfazioni, dall'allestimento illusionistico di "ripopolazione" della Reggia di Venaria, con Chiambretti, Littizzetto, Ugo Nespolo, alla performance in programma stasera per il Prix Italia. Si intitola "Guardare e vedere nel tempo dell'immagine digitale", è curata da Felice Cappa, in collaborazione con il Museo del cinema. Il regista nasce pittore, e farà rivivere alcuni grandi capolavori dell'arte figurativa, La ronda di notte di Rembrandt, L'Ultima Cena di Leonardo, Le nozze di Cana di Paolo Veronese, tutti quadri di cui si era già cinematograficamente occupato.
"Spesso mi dicono che dò più importanza alla forma che al contenuto. Forse è vero, sarà perché dò ragione a McLuhan: il mezzo "é" il messaggio".
Stasera i quadri rivivranno attraverso la musica, la poesia, la letteratura. E gli schermi. Perché quelli, al di là delle sue provocazioni, resteranno. Lo assicura:
"Ma saranno gli schermi della multimedialità e dell'interattività. Questo è il futuro. I miei nipoti mi chiederanno, quando gli racconterò del cinema: "Il cinema? Che cos'è sta roba?".

                       
 Peter Greenaway parla dei testi, delle immagini, e delle loro contaminazioni. Come ogni intellettuale che si rispetti, inanella le colpe del piccolo schermo. Che però adesso si becca anche lui le sue belle vendette del destino. Un destino che si chiama soprattutto web.
"Sempre meno persone vanno al cinema. In Olanda, dove vivo, la media è di una volta ogni due anni. Ma non guardano nemmeno più la tv. I giovani neanche la accendono. Eppure questa è l'era degli schermi: usati però per interagire. Se si accende uno schermo, non è per guardare un programma. La generazione del lap top è convinta che non esista pittura prima di Pollock né cinema prima di Tarantino".
 La televisione italiana si è già portata avanti col lavoro: avendo da tempo abbandonato ogni parvenza di funzione educativa, ha abbandonato pure un'ampia fascia di pubblico potenziale e fuggente. Si è preferito puntare sul solo intrattenimento.
"D'altronde - sottolinea Cappa - nessun artista è mai stato chiamato a costruire programmi. La parte visiva è sempre stata ancillare rispetto ad una serie di reti di fatto gestite dal potere politico".
 Eccolo lì, il punto: ma com'è stato possibile, mr. Greenaway, che proprio la televisione di un paese così tradizionalmente e tanto artistico come l'Italia si sia tanto inaridita?
"Già, come diavolo è potuto accadere? Anche in Inghilterra. Per due generazioni abbiamo avuto un cinema splendido: e poi, via, tutto cancellato. Come diavolo abbiamo fatto?".
Nessuno lo sa, e c'eravamo tutti. Cappa: "La tv ha paura degli artisti". Giovanna Milella, il direttore del Prix: "Non è che soltanto la televisione abbia abbandonato la vocazione e la sensibilità artistiche italiane: pensiamo solo all'architettura". E certo, dal colonnato del Bernini alle periferie delle grandi città.
"Però dobbiamo smetterla di piangerci addosso", dice Greenaway: "Né, ribadisco, dovremo piangere per la morte del cinema e della tv".
 (da www.lastampa.it 20 settembre 2010)

2 commenti:

franz ha detto...

sembra impossibile, ma tante cose sembravano impossibili.

Giuliano ha detto...

con i tagli recenti, rischia di sparire anche l'opera lirica. Sono a rischio di chiusura teatri importanti, come il Carlo Felice a Genova: si ha un bel dire "tutti i politici sono uguali", ma prima di oggi queste cose non erano mai successe.
Anche gli stadi del calcio sono vuoti...