mercoledì 2 marzo 2011

La voce della Luna ( V )

La voce della luna (1989) Regia di Federico Fellini. Dal libro di Ermanno Cavazzoni “Il poema dei lunatici”. Sceneggiatura di Ermanno Cavazzoni, Federico Fellini, Tullio Pinelli Fotografia: Tonino Delli Colli Montaggio: Nino Baragli. Scenografie di Dante Ferretti. Art Direction: Maria Teresa Barbasso, Nazzareno Piana, Massimo Razzi. Set Decoration: Francesca Lo Schiavo. Costumi di Maurizio Millenotti Musiche originali di Nicola Piovani (116 minuti)
Interpreti: Roberto Benigni (Ivo Salvini), Paolo Villaggio (il prefetto Gonnella), Nadia Ottaviani (Aldina), Marisa Tomasi (Marisa, moglie di Nestore), Angelo Orlando (Nestore) Sim (l'oboista), Syusy Blady (Susy), Eraldo Turra (l’uomo sorridente), Patrizio Roversi (il figlio di Gonnella); Dario Ghirardi (giornalista); i tre fratelli Micheluzzi: Dominique Chevalier (sulla gru), Nigel Harris (sottoterra), Vito (in giacca e cravatta); Daniela Airoldi, Stefano Antonucci, Ferruccio Brembilla, Stefano Cedrati, Giampaolo Cocchi, Roberto Corbiletto, Giordano Falzoni, Mario Falcione, Francesco Gabriele, Fabio Gaetani, Ettore Geri, Franco Iavarone (as Giovanni Javarone), Lorose Keller, Arrigo Mozzo, Pippo Negri, Angela Parmigiani, Carmine Ponticiello, Roberto Russoniello, Concetta Sferrazza, Giorgio Soffritti, Massimo Speroni, Silvana Strocchi, Arturo Vacquer, Eric-André Averlant, Salvatore Billa, Luciana Castellucci

Al minuto 36, continua la scena in piazza. Devo dire che tutta questa sequenza, molto lunga, è abbastanza inguardabile. Insomma, difficile trovare le parole: il miglior Fellini non è certo qui, e se ne ha conferma facendo dei fermo immagine sul dvd. Negli altri film di Fellini, tutto è sotto controllo: facce, corpi, sfondi, volti. Scorrendo per esempio il Casanova, allo stesso modo, con i fermo immagine, si rimane sorpresi dalla perfezione di ogni dettaglio, in ogni momento; qui accade l’opposto. Anche il Casanova è un film non perfettamente riuscito, dove la narrazione non è lineare, dove si procede per salti (come il cavallo degli scacchi), ma la perfezione formale è altissima.
Qui no, con “La voce della Luna” questo controllo rigoroso non c’è; ed è difficile dire se sia una scelta voluta (il mondo così come appare in tv, il cambiamento operato dalla tv, la volgarità e la grossolanità che oggi vediamo manifestarsi appieno e che nel 1989 era agli inizi), oppure se Fellini fosse semplicemente stanco, demotivato. Gli anni ’80 per Fellini sono stati pesantissimi: i diritti dei suoi film appartenevano ai suoi produttori, e non a lui; e quasi tutti i suoi film più importanti erano finiti a Canale 5, alle tv di Berlusconi. Non tutti sanno come venivano trasmessi i film dalle tv di Berlusconi, in quegli anni ’80: non era come oggi, la pubblicità veniva inserita ogni 10-15 minuti, senza alcuna regola, anche spezzando a metà una scena, anche troncando le parole in bocca agli attori. Dieci minuti si era stabilito, e dieci minuti dovevano essere: non importa cosa c’era in quel minuto, lo spot doveva partire. Fu necessario un intervento del Parlamento per dare delle regole, che sono più o meno quelle che vediamo oggi: sempre uno scempio, ma quantomeno ci si può raccapezzare. Fellini non aveva i diritti sulle sue opere, molti dei suoi produttori degli anni ’50 e ’60 non esistevano nemmeno più, non fu interpellato e non poteva chiedere riparazione.
Per un perfezionista come Fellini, abituato a controllare tutto al centesimo di secondo, questo scempio dei suoi film fu qualcosa di insopportabile. Ricordo molte sue dichiarazioni che lo mostravano al limite del dolore fisico: «Ho impiegato dei mesi per fare quella sequenza in quel modo, con quella durata, con quelle pause, con quei movimenti di macchina, e adesso mi si stravolge tutto, niente di quello che ho fatto ha più senso, conta solo la pubblicità», e si riferiva a “La dolce vita”, a “Otto e mezzo”... All’inizio si poteva sperare che fosse solo qualcosa di transitorio, che in seguito si sarebbe messo ordine, ma già nel 1989 era chiaro chi avrebbe vinto. Federico Fellini ha cominciato a morire lì, in quegli anni ’80: non c’era più spazio per la creatività, quella vera, quella dell’artista; e da qui avanti avrebbero comandato i “creativi”, i pubblicitari. I pubblicitari si autodefiniscono così, “creativi” e anche “creatori”- ma ai veri artisti hanno scavato la fossa, ed è per questo motivo che i programmi tv sono scesi ad un livello così basso, perché si fa tutto in funzione della pubblicità. La pubblicità detta i tempi: niente che duri più di cinque minuti, niente sequenze lunghe e complesse, dialoghi semplici, storie semplici, niente complessità, niente riprese costose, niente di niente, serve solo qualcosa per riempire lo spazio tra uno spot e l’altro. Tutto qui, e addio servizio pubblico: anche internet dovrà adeguarsi, la pubblicità sta arrivando in gran forze, e questa è gente abituata a comandare.
Al minuto 36, comincia la storia (quasi tutta in flashback) di altri due amici di Salvini, Nestore e Marisa. Nestore (Angelo Orlando, un altro comico tv di quegli anni) e Marisa (Marisa Tomasi, che ha fatto solo questo film) erano sposati ma si stanno separando; una gru porta via tutto l’arredo dalla loro casa, che è su all’ultimo piano, nel sottotetto. A terra, in strada, Salvini abbraccia e consola la piangente Marisa, ma poi si accorge che lei ha già un motociclista pronto a prenderla e portarla via. Il motociclista dice tra le altre cose anche una frase che era diventata famosa in quegli anni per la prima canzone di Jovanotti, “sei come la mia moto”; e Salvini-Benigni gli chiede esterrefatto “ma come si fa a dire a una donna che è come una motocicletta?”. Il motociclista nemmeno capisce che cosa gli sta dicendo, prende Marisa e se la carica sulla moto, e via insieme.
Il motociclista (a Salvini): Ma tu come vai con la testa?
Salvini-Benigni: Io bene, grazie.
Salvini sale le scale e va dall’amico Nestore, che è nella casa vuota. Nestore è un omino, Marisa è una donna alta e robusta; messi insieme fanno una coppia da fumetti, già vista molte volte nei film di Fellini. Quando li vediamo insieme, Nestore arriva con la testa proprio sul petto di Marisa, e lei se lo prende in braccio come se fosse un bambino. Nella casa vuota sono rimaste solo una lavatrice e una scopa; Nestore dice che la lavatrice l’ha voluta tenere lui, perché Marisa la trattava come un oggetto e invece la lavatrice ha una voce, un suo carattere...Segue il racconto in flashback di come si sono conosciuti: lei faceva la manicure, lui era timido ma poi si sono sposati, lei faceva l’amore come una locomotiva a vapore: un racconto che avrebbe potuto stare in Amarcord, ma tutto ad un livello molto basso, forse siamo al punto più basso della filmografia di Fellini.
Ci sono però due curiosità: nella scena della manicure c’è sullo sfondo un uomo che legge L’Unità: chi ha visto “Intervista” potrà riconoscere Pietro Notarianni, direttore di produzione e amico personale di Fellini. Nella scena del matrimonio, tutta la squadra di calcio del Milan è dipinta su una parete; sulla porta della cucina, di seguito, è ritratto Silvio Berlusconi in tenuta da arbitro. Ogni volta che la porta della cucina si apre, Silvio va a sbattere la faccia contro la parete (per i curiosi, siamo al minuto 44).
Nestore e Salvini escono dalla casa vuota, e salgono sui tetti, pieni di antenne tv. I due concordano che guardare nel vuoto, salendo sui tetti, “è una vocazione”. Ci si annulla, guardando nell’infinito: anche Giacomo Leopardi è uno dei temi ricorrenti del film, viene citato spesso, e nel finale – nella stanza di Salvini, accanto a Pinocchio – ci sarà spazio anche per un suo ritratto. Il plesso solare, sopra lo stomaco, “che si apre come un fiore e ti fa volare” è l’immagine con cui Nestore saluta Salvini.
A questo punto, infatti, Salvini-Benigni si rende conto che proprio lì, in quella casa e sotto quel tetto, abita la sua Aldina. Decide di andare a restituirle la sua scarpina, quella che gli aveva tirato addosso il giorno prima; per raggiungerla nella sua casa si inerpica sui tetti ma viene notato dalla strada, e senza volerlo suscita grande allarme. A salvarlo (ma Benigni è un acrobata, si capisce subito che Salvini non corre nessun pericolo su quel tetto) arriva il terzo dei fratelli “nemici della Luna”, quella che sta sulla piattaforma aerea. Come Astolfo sull’Ippogrifo, ma molto meno elegante e anzi un bel po’ sciamannato, il terzo fratello Micheluzzi va ad abbracciare Salvini: si conoscono, si vogliono bene, tornano a terra fra gli applausi della gente festante. Anche questi continui riconoscimenti tra Salvini-Benigni e gli altri personaggi sono molto probabilmente un riferimento a Pinocchio, la scena con le marionette e con Mangiafuoco.
Pensavo di aver riconosciuto questo attore, e che fosse Ivano Marescotti, molto attivo ancora oggi in teatro e in tv: invece si tratta di un francese, Dominique Chevalier, che è il suo sosia perfetto.
(continua)

2 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Tanti spunti interessanti anche qui, per delle scene che anche a me convincono molto poco. Penso che il "problema" di Fellini negli anni Ottanta sia una via di mezzo tra le due alternative che hai proposto: il periodo storico era quello che era (e la qualità ne ha risentito), e il regista ne era provato. A proposito del ritratto di Berlusconi in quella trattoria di quart'ordine, c'è anche da rilevare che non solo va a sbattere la faccia ogni volta che la porta viene aperta, ma che riceve - al contempo - anche una poderosa pedata sul sedere. Per il resto, penso che sarebbe stato fantastico vedere Fellini alle prese col berlusconismo più esasperato (ed esasperante), quello che stiamo vivendo da dieci anni buoni a questa parte: voglio dire, un suo film ambientato in questi tempi.

Giuliano ha detto...

Il personaggio di Nestore è molto diverso, nel libro di Cavazzoni, soprattutto il rapporto con la "vaporiera", e tutto ha un tono molto più onirico e fantastico.
Ed è Pigafetta a fare il racconto dell'inferno dentro ai tubi, davvero una cosa molto curiosa e che ancora più dettagliata di quello che si vede qui.