venerdì 18 marzo 2011

Falstaff ( II )

Chimes at Midnight (Falstaff, 1966). Regia di Orson Welles. Tratto da William Shakespeare (Riccardo II, Enrico IV- Enrico V, Le allegre comari di Windsor); narrazione tratta da “Cronache d'Inghilterra” di Raphael Holinshed. Sceneggiatura di Orson Welles. Distribuito negli Stati Uniti come “Falstaff” e in Spagna come “Campanadas a medianoche” . Fotografia: Edmond Richard. Costumi: Orson Welles. Musica: Angelo Francesco Lavagnino.
Cast: Orson Welles (sir John Falstaff), Keith Baxter (principe Hal, poi re Enrico V), John Gielgud (re Enrico IV), Jeanne Moreau (Doll Tearsheet), Margaret Rutherford (signora Quickly), Norman Rodway (Henry Percy, detto Hotspur), Marina Vlady (Kate Percy), Alan Webb (mastro Shallow), Walter Chiari (Silenzio), Michael Aldrich (Pistol),Tony Beckley (Poins), Fernando Rey (Worcester), Andrew Faulds (Westmoreland), José Nieto (Northumberland), Jeremy Rowe (principe Giovanni). Beatrice Welles (paggio di Falstaff), Paddy Bedford (Bardolph), Julio Pena, Fernando Hilbeck, Andrés Mejuto. Keith Pyott, Charles Farrell. Durata:119 minuti

Il Falstaff di Welles è dunque in gran parte tratto dall’Enrico IV, un vero dramma storico dove recitano alcuni tra i più grandi attori inglesi del teatro shakespeariano, una leggenda come John Gielgud, dove Ralph Richardson fa il narratore, e dove ci sono anche altri attori importanti ma non inglesi, come Fernando Rey, Jeanne Moreau, Marina Vlady e il nostro Walter Chiari, pesantemente truccato, in un ruolo muto per definizione: il suo personaggio si chiama infatti Silenzio.
Però, a proposito di Silenzio, forse è meglio che io mi fermi un giro, così posso far parlare direttamente Orson Welles. L’intervista è del 1967, Falstaff è stato da poco terminato; l’intervistatore ricorda a Welles che i suoi genitori si sono separati quando aveva sei anni, ma ha viaggiato in molti posti con sua madre, che è morta due anni dopo la separazione. Poi ha viaggiato per il mondo con suo padre, che è morto quando aveva quindici anni; Welles risponde parlando delle città in cui ha vissuto, poi si prosegue:
- In molti dei film che ha scritto e diretto, l'eroe non ha padre. Non sappiamo nulla del padre di Kane, e George, nell'Orgoglio degli Amberson, rovina la vita della madre vedova proibendole di risposarsi. Nel suo ultimo film, Falstaff, il protagonista è il principe Hal, il cui padre legittimo, Enrico IV d'Inghilterra, è un usurpatore assassino: ma il suo padre spirituale, che lei interpreta...
« È Falstaff.»
- Giusto. Il suo atteggiamento nei confronti dei padri riflette.forse qualcosa della sua vita personale?
«Non credo. Ho avuto un padre che ricordo come estremamente piacevole e attraente. Era un giocatore e un playboy, forse quando l'ho conosciuto stava diventando un po' troppo vecchio per continuare quella vita, ma era un compagno straordinario, e la sua morte è stata un grande dolore per me. No, una storia mi interessa per il suo valore intrinseco, non perché abbia aspetti autobiografici. La storia di Falstaff è la migliore di tutto Shakespeare: non il miglior dramma, la migliore storia. La ricchezza del triangolo tra il padre, Falstaff e il figlio non ha paragoni; è una creazione shakespeariana completa. Gli altri drammi sono fatti di buone storie prese da altre fonti e rese grandi dallo spirito di cui Shakespeare riusciva ad animarle. Ma non c'è nulla nelle cronache medievali che faccia cenno alla storia tra Falstaff, Hal e il re. È una storia creata da Shakespeare, e il personaggio di Falstaff è interamente una sua invenzione. È l'unico grande personaggio della letteratura drammatica che sia anche buono.»
- Lei è d'accordo con W.H. Auden, che una volta lo ha paragonato alla, figura di Cristo?
«Non voglio discutere l'affermazione, anche se mi si accappona sempre la pelle quando la gente usa la parola Cristo. Credo che Falstaff sia come un albero di Natale ornato di vizi. L'albero in sé è totale innocenza e amore. Per contro, il re è ornato unicamente dalla regalità. È un machiavelliano puro. E c'è qualcosa di gelido e di egoista in suo figlio, anche quando raggiunge la sua apoteosi come Enrico V.»
- Crede che il suo Falstaff possa offendere i cultori di Shakespeare?
«Be', io ho sempre riscritto e tagliato Shakespeare, e i miei altri film shakespeariani hanno sofferto sotto il profilo critico proprio per questo motivo. Dio solo sa cosa succederà con questo. Nel caso di Macbeth e di Otello, ho cercato di trasformare un unico dramma in una sceneggiatura. In Falstaff ho preso cinque drammi - Riccardo II, le due parti di Enrico IV, Enrico V e Le allegre comari di Windsor - e li ho trasformati in uno spettacolo che dura meno di due ore. Naturalmente, offenderò quel tipo di amante di Shakespeare per cui ciò che conta è la sacralità del testo. Ma con la gente che è disposta ad ammettere che il cinema sia una forma d'arte autonoma, ho qualche speranza di successo. Dopotutto, quando Verdi ha scritto Falstaff e Otello, nessuno lo ha criticato per aver radicalmente cambiato Shakespeare. Larry Olivier ha realizzato ottimi film shakespeariani che sono essenzialmente drammi di Shakespeare filmati; io uso le parole di Shakespeare e i suoi personaggi per fare dei film. Sono delle variazioni sui suoi temi. In Falstaff sono andato molto più lontano del solito, ma non volontariamente, non per divertimento o per il gusto di tagliare e cucire. Se si vedono i drammi storici una sera dopo l'altra, a teatro, si scopre il filo della storia di un principe delinquente che diventa un grande condottiero dell'esercito, un re usurpatore, e Falstaff, padre spirituale del principe, che è una specie di santo secolare. Alla fine tutto culmina nel ripudio di Falstaff da parte del principe. Il mio film è del tutto fedele a questa storia, anche se sacrifica grandi parti dei drammi da cui è stata tratta.»
- Questo film ha un messaggio?
«Piange la morte della cavalleria e il rifiuto dell'Inghilterra felice. Anche ai tempi di Shakespeare, la vecchia Inghilterra delle foreste frondose e del calendimaggio era già un mito, ma un mito molto concreto. Il ripudio di Falstaff da parte del principe significa il ripudio di quell'Inghilterra da parte di una nuova Inghilterra che Shakespeare deplorava –un’Inghilterra che ha finito per trasformarsi nell'Impero britannico. Il cambiamento radicale non è una scusa per il tradimento di un'amicizia. È la liberazione di questa trama che giustifica il mio approccio chirurgico al testo.»
(Orson Welles, intervista del 1967 al mensile “Playboy”) (da “It’s all true” ed. minimumfax, pag.193 e seguenti)
(continua)

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