mercoledì 10 febbraio 2010

The shout (L'australiano)

The shout (L’australiano, 1978). Tratto da un racconto di Robert Graves. Regia di Jerzy Skolimowski. Sceneggiatura di Jerzy Skolimowski e Michael Austin. Direttore della fotografia: Mike Molloy. Girato in esterni nel North Devon, e in studio a Pinewood, England. Musiche originali di Tony Banks e Michael Rutherford. Con Alan Bates, John Hurt, Susannah York, Carol Drinkwater, e altri. Durata: 86 minuti

- Lei non ha abbastanza immaginazione da credere in qualcosa che sia al di fuori della sua normale esperienza. (Crossley al musicista, da “The shout”)
Raccontare per intero la storia di “The shout” sarebbe un vero dispetto per chi ancora non conosce né il film né il racconto da cui è stato tratto, ed al quale è molto fedele. Proverò a rimediare più avanti, magari si può mettere anche il racconto per intero, perché non è lunghissimo; vedremo.
Per intanto segnalo che questa battuta nel racconto di Robert Graves (che è scritto magnificamente) non c’è, ed è tratta dalla sceneggiatura del film. Si parla di ciò che sta oltre i nostri sensi, del soprannaturale; e la si ricollega facilmente al più famoso “There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy” : Amleto, atto primo, William Shakespeare.
“L’urlo” o “Il grido” è il titolo originale sia del film che del racconto da cui è tratto; in Italia il film ha preso il titolo “L’australiano” (un ottimo titolo, come ben sa chi ha visto il film), forse per evitare confusioni con altri film, come “Il grido” di Antonioni.
Robert Graves (1895-1985) è uno scrittore inglese, autore di autentici bestsellers, oggi un po’ troppo dimenticato. Oltre alla narrativa, si è dedicato all’antropologia, alla storia delle religioni (scrivendo libri notevoli sui miti antichi e moderni), e alla storia antica, soprattutto a quella romana: il suo romanzo più venduto, a suo tempo famosissimo, è infatti “Io, Claudio”, dedicato all’imperatore romano. Ma “The shout” racconta tutt’altra storia, è ambientato nella campagna inglese e parla dell’intrusione, dell’Altro, un Altro misterioso e inquietante che sconvolge la vita di una coppia tranquilla, marito e moglie ancora giovani e che si trovano molto bene tra di loro, forse addirittura si amano ancora.
Nel film, lui è un musicista e forse un fisico; oltre a suonare l’organo in chiesa, raccoglie suoni e ne studia l’altezza e le frequenze. Ha uno studio attrezzatissimo sul quale il regista indugia molto, ed è ovviamente un particolare che in Graves non c’è. Sono sequenze che mi piace ancora molto vedere, anche se oggi le attrezzature di registrazione possono sembrare obsolete (all’epoca non lo erano), sono riprese in un modo che cattura lo sguardo, e che suggeriscono, anch’esse, un altro mondo: ben impersonato dal cagnone che fa compagnia al padrone di casa. Il cane, come si sa, ha un udito diverso dal nostro: capta suoni che per noi sono irraggiungibili, e la sua vista copre uno spettro diverso dal nostro: vede colori che noi non vediamo ed è cieco per colori che noi vediamo. Inoltre, per i cani il primo dei cinque sensi è l’olfatto, e non la vista. Per molti versi, si può dunque dire che un cane vive in un mondo diverso dal nostro, quasi un mondo parallelo che però si interseca con il nostro. Va detto che l’organista ha qualcosa da nascondere: una relazione con una ragazza giovane e bella, molto vitale. Tutti quanti, marito, moglie, ragazza, prete e fedeli, vivono in una piccola e gradevolissima cittadina nella campagna inglese, quanto di più quieto e tranquillo si possa immaginare, un mondo ancora a misura d’uomo.

In questo mondo quieto fa la sua irruzione un uomo misterioso, che si chiama Crossley. Non lo vediamo dall’inizio, arriva pian piano, quasi invisibile. Ne percepiamo prima l’esistenza, in modo quasi subliminale; poi, appare come se entrasse nella pellicola da un lato, da un margine; una volta entrato ed impostosi fisicamente, quasi come il Tartufo di Molière, riuscirà a introdursi nella casa e senza parere ad avere un’enorme influenza sulla moglie del musicista. Crossley fa racconti strani e inquietanti, dice di aver soggiornato a lungo in Australia, di aver convissuto con gli aborigeni, di aver sposato una delle loro donne, e di avere imparato le loro arti magiche. In particolare, racconta ancora l’uomo, egli è in grado di emettere un grido misterioso, che può uccidere tutto quanto vive nei dintorni, fin dove il grido può giungere.

Il film inizia in modo diverso dal libro, ed è un modo che mi piace moltissimo. Un modo che più inglese non potrebbe essere: una partita di cricket. Anche nel racconto di Graves si inizia con la partita di cricket, ma tutto è appena accennato; nel film la partita a cricket c’è e si vede, e bisogna ammettere che il cricket è uno sport molto fotogenico. Prima di incontrare questo film, non avevo mai visto una partita di cricket. E’ l’antenato del baseball, che ancora oggi ha molti appassionati in Gran Bretagna e nei Paesi del Commonwealth; rispetto al baseball ha un modo di competere meno brutale, a mio parere, che lo rende affascinate. Ciò non vuol dire che non sia uno sport duro, e basta vedere questa partita fra amatori per capire quanto vi conti l’agonismo.
La partita di cricket è ambientata in una clinica per malattie mentali, in campagna, con un paesaggio incantevole. E’ una bella clinica, con un direttore illuminato ed elegante; la partita si svolge tra pazienti e personale dell’albergo, mischiati fra loro.
A far visita al Direttore giunge un giovane, probabilmente uno studente, che viene accolto molto amichevolmente dal Dottore.
Il dottore: Credo che passerai un pomeriggio interessante. Avrai una compagnia straordinaria: quello che segna i punti con te. E’ l’uomo più intelligente che abbiamo. (...) Si chiama Charles Crossley, è incredibilmente colto, dice di aver girato tutto il mondo ed è anche un genio della meccanica (...)
Il giovane: Ma perché è qui?
Il dottore (scuote la testa): Non è del tutto normale.
Il giovane: Ah... (sorridendo) E che cos’è, “normale”?
Il dottore (contento di poter dare una spiegazione che gli piace molto): Lo vedi quell’albero laggiù? Quello è normale. Ora guarda quello: quello è... è matto. (...)
Più avanti, il dottore dirà allo studente che Crossley è convinto è che la sua anima sia sminuzzata, rotta in quattro pezzi. Ma del resto Crossley lo vediamo subito, ed è lui che inizia a raccontarci la storia: la storia di un uomo che aveva una moglie che amava e dalla quale era riamato...
Come dicevo all’inizio, questo è un film di quelli da non raccontare, perché si farebbe un dispetto a chi non l’ha ancora visto. Va anche detto che è un film ben difficile da vedere, perché è sparito dalla programmazione da decenni, e ogni tanto mi meraviglio anch’io di averlo visto e perfino registrato su una videocassetta: è da qui che ho preso le immagini, delle quali mi scuso per la scarsa qualità.
E’ un racconto che basa molto del suo fascino sull’atmosfera, oltre che sul mistero e sul soprannaturale. Vi si parla, tra le altre cose, della cultura degli aborigeni d’Australia: il film viene girato pochi anni dopo “L’ultima onda” di Peter Weir, e ne riprende alcuni temi e alcune suggestioni. Va detto che nel film di Weir la cultura aborigena è trattata con maggior rispetto, e che qui viene usata come potente suggestione; ma il tema dell’anima che può entrare negli oggetti, e degli oggetti che possono governare la volontà delle persone, è un tema centrale in entrambi i film. All’inizio degli anni ’70 il mondo degli aborigeni australiani era ancora inesplorato, del tutto inedito e anomalo per uno spettatore europeo. Il primo film a portare sullo schermo da protagonista un aborigeno australiano fu “Walkabout” di Nicholas Roeg, al quale seguì “L’ultima onda” di Peter Weir, entrambi interpretati da David Gulpilil. Va dato però merito a Robert Graves, lo scrittore inglese, di aver affrontato con correttezza il tema in anni molto lontani, quando l’antropologia era ancora un argomento per pochi studiosi. Inoltre, nel racconto originale, Graves collega l’urlo misterioso alla nostra classicità, ai gridi di guerra, all’urlo che emetteva Enea in battaglia, al mitico grido di Pan del quale oggi serbiamo ancora il ricordo in una nostra parola, “panico”.

Non so quasi niente del regista polacco Jerzy Skolimowski, a suo tempo avevo cercato di vedere altri suoi film e c’ero anche riuscito, rimanendo ogni volta deluso. Sono film che non hanno molto a che fare con “The shout”, al punto che mi è venuto da pensare che questo sia un film di Alan Bates o di Susannah York più che del regista dichiarato in locandina; ma di più non saprei dire.
Bravissimi tutti gli attori, come da antica tradizione inglese: Alan Bates (spettacolare e inquietante) è Crossley, il musicista e sua moglie sono due attori molto amati dal pubblico di quegli anni, John Hurt e Susannah York; una menzione per Carol Drinkwater, che interpreta la giovane amante del musicista, un’attrice che mi piaceva molto e che mi è molto dispiaciuto aver perso di vista negli anni successivi.
Una curiosità per gli appassionati del rock britannico: la musica del film è firmata da due dei fondatori dei “Genesis”, Michael Rutherford e Tony Banks.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Salve,io sono Vittorio.
Semplicemente bellissimo,inquietante,misterioso
! Io lo vidi quand'ero adolescente,e questo e'
di quei film che mi e' rimasto dentro......
La cosa che mi dispiace e' che non ho potuto
trovare il dvd,l'ho cercato tantissimo,spero
un giorno o l'altro di trovarlo.
Guardate questo film !

Giuliano ha detto...

Dovrebbero trasmetterlo su Raitre, questa notte o domani notte: io registro perché la mia copia è un po' vissuta.
I dvd di questi film si trovano solo on line, o magari facendo un viaggio a Parigi o a Londra...

BeR ha detto...

Io l'ho visto pochi giorni fa. Bisognerebbe anche evidenziare i continui rimandi visivi a Francis Bacon (autore molto amato dal personaggio interpretato da Hurt): i corpi lividi e nudi dei personaggi, le posture contorte dei matti, un paio di scene di sesso che ricalcano i quadri che il fonico ha nella sua stanza. L'elemento bacon è davvero molto presente nel film. Mi ha fatto una grossa impressione il film, in generale.

Giuliano ha detto...

Buongiorno BeR! questi sono i miei appunti personali, io non sono un critico ma solo un appassionato di cinema. Il fatto che non si parli di Bacon è dovuto quindi al fatto che con Bacon non vado molto d'accordo...(il che può essere un mio limite, sia ben chiaro)
:-)
Francamente, non sono riuscito a vedere niente che rimandi a Bacon, piuttosto c'è il rimando esplicito ai primi esperimenti di fotografia in movimento - non mi ricordo il nome del fotografo. L'unico corpo che mi viene in mente ripensando al film, è quello di Susannah York, molto bello, che non vedo come possa rimandare a Bacon. (poi c'è anche l'altra ragazza, molto solare)

Giuliano ha detto...

Il commento di BeR merita una precisazione, perché non vorrei essere sembrato scortese e perché si tratta di un riferimento corretto, se riferito al film (digitando Alan Bates e Francis Bacon insieme su un motore di ricerca si ottengono molte informazioni, per chi fosse interessato).
Però io parto da Robert Graves, che è di una generazione precedente a Bacon e che - soprattutto - è stato uno studioso appassionato di storia delle religioni. Ed è questo l'aspetto che mi interessava, quello che colpisce di più guardando il film: la cultura degli aborigeni australiani, inserita nel contesto della campagna inglese e anche della psichiatria, versante Jung ("quanto è grande il nostro inconscio?").
La digressione su Bacon è un'aggiunta di Skolimowski, che a me non interessa sottolineare e che porterebbe lontano dal soggetto del film; inoltre, la luce chiara che attraversa tutto il film mi fa sentire molto distante dalla pittura di Bacon (un pittore che io non apprezzo affatto e dal quale sono lontanissimo, ma questo è un giudizio mio personale e prego di non tenerne conto).