MEET JOHN DOE (t.l. Vi presentiamo John Doe , 1941; titoli italiani: ARRIVA JOHN DOE / I DOMINATORI DELLA METROPOLI) Regia: Frank Capra; sceneggiatura: Robert Riskin (da un soggetto di Richard Connell e Robert Presnell); fotografia: George Barnes; scenografia: Stephen Goosson; montaggio: Daniel Mandel; effetti speciali: Slavko Vorkapich; costumi: Natalie Visart; musica: Dimitri Tiomkin; interpreti: Gary Cooper (Long John Willoughby), Walter Brennan (il '`colonnello"), Barbara Stanwyck (Ann Mitchell), Edward Arnold (D.B.Norton), James Gleason (Henry Connell), Spring Byington (signora Mitchell), Rod La Rocque (Ted Sheldon), Regis Toomey (Bert Hansen), Irving Bacon (Beany) Warren Hymer (Angelface), Sterling Holloway (Dan), Gene Lockhart (sindaco), J. Farrell MacDonald (Sourpuss Smithers); produzione: Frank Capra per la Frank Capra Productions; distribuzione: Warner Brothers; durata: 135'.
L’inizio, tre minuti quasi senza parole: una panoramica veloce ma dettagliata su persone al lavoro, poi i neonati in una maternità, e poi la sede di un giornale. Un martello pneumatico sta scalpellando via l’insegna di quel giornale: FREE PRESS, c’è scritto, e Frank Capra si sofferma proprio lì, sul martello pneumatico e sullo scalpellamento prima di “FREE” (libera) e poi di “PRESS” (stampa).
Quando la libera stampa è stata cancellata via e ne rimane solo l’ombra sul muro, viene a coprirne anche il ricordo un’insegna nuova fiammante: non più “THE BULLETIN”, come prima, ma “THE NEW BULLETIN”. L’insegna che viene scalpellata via diceva “A free press means a free people”, cioè che avere una stampa libera significa che la gente è libera; l’insegna appena sistemata dice “A streamlined newspaper for a streamlined era”, e “streamlined” significa moderno, aerodinamico, veloce, ben organizzato. Un giornale moderno, aerodinamico, veloce, tutto qui. Che sia stampa libera, nei tempi moderni, a chi vuoi che possa interessare...Il vecchio Bulletin esibiva orgoglioso la sua data di nascita: era del 1862, figuriamoci, ormai roba vecchia e superata.
Vi ricorda qualcosa?
Alla faccia di chi si crogiola nei luoghi comuni e continua a ribadire che Frank Capra è l’alfiere dell’ottimismo, dei “buoni sentimenti” e del lieto fine, l’inizio di “Meet John Doe” è uno dei più duri e tosti che io mi ricordi. Neanche Orson Welles ha mai iniziato un film così.
Poi, certo, Capra era una persona mite e gentile; ma usa lo stesso metodo di narrazione che usava Charles Dickens nell’Ottocento: è del tutto scontato, fin dall’inizio, che la storia dell’orfanello David Copperfield, o di Oliver Twist, arriverà a buon fine – ma intanto io vi faccio vedere cosa succede in questo mondo, appena più in là, magari anche sotto il vostro naso. Adesso non potete più dire che non sapete, che non vi riguarda. Non si può più chiudere gli occhi, dopo Dickens o dopo Frank Capra. Le stesse cose le fa da noi, oggi, (ma con maggior durezza) Roberto Saviano, che probabilmente è più un giornalista che non un narratore; ed è un peccato che si sia persa la lezione di Dickens e di Capra, i nostri romanzieri e autori del cinema oggi quasi tutti hanno abdicato, o magari sono stati messi da parte. Oggi succede così: che quasi tutti quelli che vediamo, cinema libri o tv, preferiscono dedicarsi a qualcosa che non disturbi e che non faccia pensare troppo. Gli spot sono i veri padroni della tv e del cinema, dalla pubblicità arriva perfino il nostro presidente del Consiglio, chi vuol campare col cinema non può più permettersi di prendere posizione come faceva Frank Capra, ed è anzi probabile che non gli passi nemmeno per la testa.
Nel “Circolo Pickwick”, il romanzo comico più simpatico e bonario che esista, ad un certo punto Mr. Pickwick finisce in prigione: si tratta solo di un equivoco e il nostro eroe verrà trattato benissimo, ma intanto Dickens mostrava agli inglesi che cos’era una prigione. Con Mr. Pickwick in prigione, e costretto a girare per i tribunali e a frequentare uscieri e avvocati, si finisce per ridere e per divertirsi; ma il mondo descritto è vivo e reale, così reale che, anche in questo caso, diventa difficile, dopo aver letto il libro, dire: “non sapevo, non avrei mai immaginato”.
E’ così anche con il cinema di Frank Capra: che tra gli anni ’30 e ’40 gira molti film belli, piacevoli, dove si ride e ci si commuove; ma i temi toccati sono tutti importanti, profondi, niente è lasciato al caso. E i collegamenti con la realtà odierna, purtroppo per noi, sono tornati ad essere tragicamente attuali: come il John Doe del film, molti operai e impiegati sono stati costretti, anno 2010, a salire sui tetti per essere presi almeno un po’ in considerazione.
Capra gira questi film subito dopo la grande crisi del 1929, avendo ben presenti quelle storie che per noi sono state raccontate da John Steinbeck (“Furore”, con il bel film omonimo di John Ford, uscito un anno prima del “John Doe” nel 1940) e dalle canzoni di Woody Guthrie con le sue storie di vagabondi (gli “hobo” che viaggiavano sui treni merci, come fanno anche Gary Cooper e Walter Brennan in questo film). E la storia raccontata da Frank Capra in “John Doe” , le giuste proteste contro una società iniqua che vengono strumentalizzate dalla peggior politica, rassomiglia in modo impressionante alla nascita della Lega Nord e di Forza Italia, i clubs del Popolo della Libertà, magari con l’editore Connell al posto di Montanelli... Ma qui sto andando troppo avanti, questo è un film da vedere e non da raccontare. Ah, dimenticavo: c’è anche una bella storia d’amore, tra Barbara Stanwyck e Gary Cooper.
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