giovedì 28 ottobre 2010

Il conformista


Il conformista (1970) Regia di Bernardo Bertolucci. Tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia. Sceneggiatura di Bernardo Bertolucci. Fotografia di Vittorio Storaro Costumi di Gitt Magrini. Musica originale di Georges Delerue. Canzoni e ritmi degli anni ’30. Con Jean Louis Trintignant, Gastone Moschin, Enzo Tarascio, Pierre Clementi, Josè Quaglio, Stefania Sandrelli, Dominique Sanda, Milly, Fosco Giachetti, Yvonne Sanson, Giuseppe Addobbati (padre di Marcello), Pasquale Fortunato (Marcello da bambino). Durata:107 minuti.

Il film (molto fedele al romanzo di Alberto Moravia) si muove su tre piani, più un quarto che li contiene tutti:
1) La violenza ai bambini, o la tentata violenza: tema molto importante sia per Moravia che per Bertolucci (vedi anche Novecento, o La luna). Sia il protagonista che la sua fidanzata (poi moglie) sono state vittime di una violenza subita da bambini; ma hanno reagito in maniera opposta, uno chiudendosi in se stesso e negando il fatto, l’altra appassionandosi al sesso in modo morboso.
2) La sfera privata, il sesso, la normalità e il suo opposto. La fidanzata di Marcello gli salta addosso ogni volta che sono da soli, la madre di Marcello ha molti amanti e un comportamento sessuale molto disinvolto, Dominique Sanda interpreta una donna molto ambigua dal punto di vista sessuale. Per contrasto, il protagonista (Marcello Clerici, interpretato da Trintignant) cerca una normalità e un conformismo che trovano uno sbocco naturale nell’appoggio a una dittatura totalitaria.
3) Il fascismo, e la “mistica fascista”: dietro all’ostentazione di virilità c’è sempre qualcosa che non funziona. Chi ci ha vissuto lo sa: negli ambienti esclusivamente maschili (caserme, collegi, palestre, seminari) l’omosessualità è sempre presente. L’ambiguità, accuratamente nascosta, è la norma – e non solo nel sesso: Clerici tradisce il Professore così come Mussolini tradirà l’Italia consegnandola al nazismo con la Repubblica di Salò; ma la natura del fascismo era già ben chiara fin dall’inizio, fin dall’omicidio di Matteotti, fatto per nascondere scandali e corruzione che con la “mistica” (fascista o d’altro genere) avevano ben poco a che fare.
Su questo sfondo, la realtà storica risalta molto: si tratta dell’assassinio dei fratelli Rosselli, appena mascherato nel film, ma la cui eco è potente.
Il quarto punto rappresenta le malattie mentali: anche qui entra in gioco il concetto di normalità. La madre di Marcello è eroinomane, suo padre è ricoverato in una clinica per malati di mente.


Per chiamare le cose col loro nome, si tratta di aggressività e prevaricazione, due delle cose più antiche e naturali della natura umana, quelle stesse che sono contrastate dal Cristianesimo e dalla civiltà, e che nel ‘900 ben si incarnarono nel fascismo e nel nazismo.
Marcello vorrebbe essere feroce e aggressivo, ma non gli è possibile: in parte perché ha ricevuto un’educazione che gli impedisce di fare “certe cose”, e in parte per carattere innato. Dirà bene Manganiello (interpretato da Gastone Moschin), nel finale, riferendosi a lui: “Fatemi lavorare con tutti, ma non con un vigliacco”.
“Conformista” è dunque da intendersi in senso beffardo, caricaturale. Marcello cerca di essere feroce, brutale, un assassino come gli altri, come suo padre, come Manganiello, come i sicari fascisti che ammazzeranno il professor Quadri e sua moglie...

All’inizio del film, Clerici ha fatto domanda all’Ovra, Opera Volontaria Repressione Antifascismo, e ora la sua domanda sta per essere accolta. Solo, una cosa non torna al funzionario che gli fa le ultime domande: c’è chi entra nell’Ovra (sottolineando la V, che sta per “volontaria”) per paura, chi per soldi, chi per fede fascista. Ma Clerici non rientra in nessuna delle tre categorie: come mai si è offerto volontario? La risposta di Clerici è forte e chiara:
- Sono pronto a partire appena avrete deciso.

E’ un film molto avvincente, costruito come un thriller, e quindi la sua storia per intero non va raccontata: sarebbe un dispetto per chi ancora non lo conosce. In fin dei conti, la narrazione è chiarissima, ed è sempre un film di spionaggio, quasi un giallo, non molto diverso dai libri di John Le Carré o di Graham Greene, o dai film più belli di Hitchcock: il gradimento su Imdb e l’alto numero di chi lo ha espresso in questo caso parlano chiaro.
Si svolge negli anni dal 1917 al 1938, con il finale nel 1946: quindi, gli anni del fascismo. Vediamo al lavoro l’OVRA, Opera Volontaria Repressione Antifascismo; il protagonista si chiama Marcello Clerici e ne fa parte. Come ulteriore dettaglio, basterà dire che la storia riecheggia l’assassinio dei fratelli Rosselli, ma che è molto diversa nei suoi dettagli.
Bertolucci è al massimo vertice del suo personalissimo stile: diretto, brutale, quasi violento, e nel contempo raffinatissimo e sottile, e ricco di pietas. Come sempre, Bertolucci mette nel film tanti ottimi attori di teatro: Enzo Tarascio, Milly, Josè Quaglio, Gastone Moschin, Alessandro Haber, e con eccellenti risultati. Gastone Moschin, nel ruolo dell’autista-guardia del corpo, è superlativo: si tratta di uno dei nostri più grandi attori e ogni tanto è giusto dirlo. Non so spiegarmi perché non sia diventato famoso come Gassman o come Tognazzi, la caratura è quella. Trintignant è perfetto in ogni momento, e anche qui non c’è da stupirsi. Per le due protagoniste femminili, “Il conformista”, così come “Novecento”, è stato uno dei film che hanno creato e alimentato l’alone mitico che le circonda: dirette da un maestro come Bertolucci, Stefania Sandrelli e Dominique Sanda sono indimenticabili. E non vanno dimenticate Milly (nel ruolo della madre di Marcello), leggendaria cantante e attrice del teatro milanese, e Yvonne Sanson (la madre della Sandrelli). Meravigliosi i costumi di Gitt Magrini.

Nelle prime sequenze vediamo Marcello negli studi della radio. Sta accompagnando un amico, che è cieco. Il cieco si chiama Italo Montanari (l’attore è Josè Quaglio), che legge in Braille alla radio discorsi sulla mistica fascista, declamandoli con voce ispirata. E’ da sempre molto amico di Clerici, e si lamenta scherzando perchè adesso che si sposa perderà il suo migliore amico.
- Ma poi perché la sposi?E Marcello risponde all’amico, spiegando benissimo la sua caratteristica principale. E’ il desiderio di normalità, di tranquillità borghese, espresso chiaramente qui per la prima volta: il desiderio di sentirsi simile agli altri. E poi, ammicca Clerici all’amico, c’è anche la servetta, che non è niente male: sposando Giulia me ne prendo due in un colpo solo...
Siamo alla radio, l’Eiar antenata della Rai, e prima del discorso di Italo si è esibito il Trio Rondinelle (che forse esistevano davvero, anche se in quel repertorio si pensa subito al Trio Lescano), tre vispe ragazze che hanno cantato “Questa notte ho consultato il cuore / senza alcun dottore...”, ovvero “Chi è più felice di me”, di Cesare Andrea Bixio.
Bertolucci ci presenta anche l’usignolo della radio, sotto le sembianze di un signore che fischia: è una piccola gag, l’usignolo si sentiva veramente, come stacchetto fra una trasmissione e l’altra, la realtà era molto più prosaica, un congegno meccanico. L’usignolo della Rai ha avuto lunga vita, si ascoltava ancora nei primi anni ’70 quando uscì il film di Bertolucci.

Giulia (Stefania Sandrelli) si comporta proprio come aveva detto Marcello poco fa: appena soli, lo bacia e gli salta addosso. Lo fa sempre: Giulia è molto diretta, semplice, infantile, quasi ingenua. E’ di ottima e ricca famiglia. Ha un disco di musiche americane, in teoria proibite (il fascismo proibiva tutto, il jazz era “musica negra” e andava vietato), che lo zio gli ha appena portato dall’America; lo fa partire, lo ascoltiamo, e poi dice al fidanzato che adesso lui dovrà confessarsi altrimenti il sacerdote non li sposa.
- Ma io non sono credente.
- E a chi importa? Assolvono tutti, sempre.
A tavola, la futura suocera tira fuori una lettera anonima: ma non c’è problema, a lei quel genero piace tantissimo e non ha intenzione di farlo scappare. La lettera dice che il padre di Clerici è ricoverato da anni in una clinica psichiatrica, perché sifilitico. Marcello tranquillizza: la malattia di suo padre non è di natura luetica, e lui è disposto a fare tutti gli esami clinici, subito. La suocera sorride, non ce ne è bisogno.
Da antologia la scena seguente, con Moschin (Manganiello) che segue passo passo Clerici fino all’ingresso della villa di sua madre. E’ il suo modo di presentarsi: gli è stato assegnato dall’Ovra come autista e guardia del corpo, dà subito prova della sue efficienza e Marcello ne è ben contento.

Al minuto 20 Marcello accompagna la madre in visita da suo padre, in clinica. E’ una sequenza che ha del miracoloso, la scenografia sembra un De Chirico: il padre Antonio è stato coinvolto in stragi e delitti fascisti, nelle colonie e in Italia, e ora non ne vuole più sentir parlare. E’ per questo che ha scelto di stare in manicomio. All’insistenza del figlio nel ripescare questi temi, corre via e chiama personalmente gli infermieri: che gli rimettano la camicia di forza, per piacere.
Solo da matto potrà avere un po’ di pace, e far tacere la sua coscienza.


Qui Bertolucci inserisce due sequenze fondamentali, alternate in montaggio tra di loro: la confessione religiosa di Clerici (alla quale si sottopone soltanto perché Giulia vuole sposarsi in chiesa) e il ricordo in flashback di quando Clerici era bambino, nel 1917.
Clerici confessa al prete che è da tempo immemorabile che non si confessa (gravissimo) e che non va mai a Messa (ancora più grave). Poi dice che i peccati li ha commessi tutti, ma proprio tutti: compreso l’omicidio. E racconta la sua storia.
E’ stato da bambino, fuggendo da un tentativo di violenza degli altri bambini, che ha incontrato un giovane autista, su un’auto di lusso: si chiamava Pasqualino Semirama, o almeno così gli ha detto. Pasqualino era già lì pronto ad intervenire, naturalmente; lo ha portato nelle sue stanze e gli ha mostrato una pistola, lui bambino si è messo a sparare, pensa di averlo ucciso. Poi è fuggito e nessuno se ne è accorto.
Il prete, nel confessionale, di là dalla grata, insiste: vuole sapere i particolari. Clerici ne è scandalizzato: che i “particolari” siano più importanti dell’omicidio? Dice al prete che dopo ha sempre condotto una vita normale, e il prete insiste: cosa intende per “vita normale”? Ma sì, le donne, il bordello a diciott’anni, queste cose qui. Il prete è sbalordito: normali queste cose qui?
- Mi confesso oggi per le colpe che commetterò domani. – conclude Marcello. Il prete è più che scandalizzato, pensa che lo stanno prendendo in giro.
- Fai parte di qualche setta, o gruppo sovversivo?
- No, faccio parte del gruppo che dà la caccia ai sovversivi.
- Ego te absolvo...
Mai assoluzione fu più rapida, pronta e convinta. Marcello ne è stupefatto, Giulia da poco lontano guarda e sorride.

In treno, per il viaggio di nozze, Giulia sbadiglia mentre il neo marito legge ad alta voce l’Ermione di D’Annunzio; poi gli confessa i suoi peccati: non è vergine.
- Ti ho sposata perché ti amavo, non perché eri vergine.
- Ma io devo dirti tutto!
L’avvocato Perpuzio, un uomo di sessant’anni, ha abusato di lei per sei anni, da quand’era poco più che una bambina: un uomo di sessant’anni! Un amico di famiglia!
- Ma se era testimone alle nostre nozze!
- Ha tanto insistito...Comunque la lettera anonima l’ha mandata lui, sappilo.
Ma poi si fa tappa a Ventimiglia, secondo le istruzioni di Manganiello. Via dei Glicini 3: è un bordello di lusso, lì lo aspettano i capi dell’Ovra. Gli dicono che il piano è cambiato, adesso il professor Quadri va eliminato fisicamente.


A 1.00 siamo a Parigi, dal professor Quadri, dove Marcello trova Anna (Dominique Sanda).
Quadri (Enzo Tarascio) ascolta l’ex allievo mentre rievoca la sua lezione all’Università sul mito della caverna, di Platone: novembre 1928. I reclusi che vedono solo le ombre, e scambiano per realtà le ombre della realtà...
Marcello è rimasto molto colpito dalla moglie di Quadri, che è giovane e molto bella. La va a trovare alla scuola di danza, dove lei insegna. Le propone di scappare insieme, ma lei gli fa leggere una lettera dal carcere, e gli spiega che Quadri (suo marito) e gli altri antifascisti hanno già capito chi è lui.
- Non farci del male...
Qui di seguito sto per raccontare qualcosa del finale; chi non avesse ancora visto il film è avvertito.
In poche righe, segnalo queste cose: La musica di Delerue, molto bella e perfetta per il film.
Il giro per negozi di Giulia e Anna. La fiorista giovane e i bambini che cantano l’internazionale dietro a Marcello. La lunga scena al ristorante cinese, con le due coppie, la Sandrelli ubriaca, e Manganiello poco più in là che mangia da solo e sorveglia; di seguito, si spostano nella sala da ballo, a 1.22 (con la foto di Stanlio e Ollio, con autografo, sulla finestra). Tutti danzano in girotondo, anche Quadri: rimangono seduti solo Clerici e Manganiello, è qui che Clerici (che ha ormai la fiducia di Quadri) passa l’informazione giusta. L’enorme talento di Bertolucci nel dirigere le scene di massa si manifesta qui, in questa danza in cerchio, preludio a quelle di Novecento. Alla fine di questa scena, Clerici pensa che la Sanda rimanga a Parigi...
Ambigua, ambiguissima la Sanda: eppure il suo personaggio è il più limpido e onesto. La Sandrelli è invece una bambinona ingenua, forse anche troppo: ma il personaggio è così, e del resto persone simili a lei esistono veramente, anche oggi. E la strada nella foresta, piena di neve. Manganiello che racconta la strage in Africa. L’agguato finale: non con la pistola ma a coltellate (eco del Macbeth?). Anna viene invece inseguita nel bosco e uccisa con la pistola dai sicari.
Ci spostiamo al 1945, con Marcello che recita l’Ave Maria con sua figlia (un gran bel momento di cinema). Poi Marcello esce per strada; riconosce Pasqualino; denuncia Italo come fascista; lui e Italo vengono separati (è una scena brevissima) dalla folla che avanza cantando Fratelli d’Italia mischiato con Bandiera rossa. Marcello rimane da solo. Parte a questo punto, con un effetto da brividi, una canzone d’epoca che dovrebbe essere “Tornerai” di Olivieri, cantata dal Trio Lescano (ma trovare informazioni su questo repertorio è davvero difficile). Se non ho trascritto male, la canzone è questa: “Ombra che canta / t’allontani da me / nella vita cos’è / che ti manca? / Forse / tu vai cercando l’amor / che questo cuor / non ti darà. / Lunga è la strada / dell’ignoto destin / e già brilla il mattin / di rugiada. / Ombra che danza / non ti smarrire nel sol / col suo calor / che già avvampa...”

2 commenti:

Ermione ha detto...

Se non erro avevo già letto questa recensione, o mo? Forse ti avevo anche lasciato un commento. Il conformista, comunque, è uno dei pochi film di Bertolucci che mi piace, forse proprio per la presenza del grande e splendido JLT. E' tanto che non lo rivedo, ma ricordo perfettamente la forza straziante e gelida della scena dell'uccisione del professore e della figlia nella neve, grande davvero.

Giuliano ha detto...

E' un gran film, che si può vedere anche senza tanti commenti e ragionamenti. La foto di Trintignant l'ho messa in fondo (e non in cima, come avrei dovuto) solo perché si abbina perfettamente con "Ombra che canta": un omaggio a chi ha pensato il film in questo modo.
Sì, è vero: l'avevo già messo nell'altro blog. Alcune cose che metto sono nuove, altre sono solo da rileggere - è per questo che vado veloce (ma tanto a Solimano Herzog e Wenders non interessano)