mercoledì 27 ottobre 2010

Giulietta degli spiriti ( II )

Giulietta degli spiriti Regia: Federico Fellini - Soggetto: Federico Fellini, Tullio Pinelli, da un'idea di Federico Fellini - Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano - Collaborazione alla sceneggiatura: Brunello Rondi - Fotografia (Technicolor). Gianni Di Venanzo - Operatore: Pasquale De Santis - Musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina - Scenografia e costumi: Piero Gherardi - Aiuto scenografo: Luciano Ricceri, E. Benazzi Taglietti, Giantito Burchiellaro - Aiuto costumi: Bruna Parmesan, Alda Marussig - Montaggio: Ruggero Mastroianni - Arredamento: Vito Anzalone - Aiuto arredamento: Franco Cuppini - Aiuto regia: Francesco Aluigi, Liliana Betti, Rosalba Zavoli - Suono: Mario Faraoni, Mario Morici - Segretario di edizione: Eschilo Tarquini - Trucco: Otello Fava, Eligio Trani - Acconciature: Renata Magnanti, Marisa Fraticelli - Assistente montaggio: Adriana Olasio - Produttore: Angelo Rizzoli - Direzione di produzione: Mario Basili, Alessandro Von Normann - Organizzazione generale: Clemente Fracassi - Ispettore di produzione: Walter Benelli - Segretari di produzione: Renato Fiè, Ennio Onorati - Produzione: Federiz (Roma), Francoriz (Paris) - Prima distribuzione italiana: Cineriz - Origine: Italia-Francia - Data visto censura: 23 settembre 1965 - Durata: 129'.
INTERPRETI E PERSONAGGI: Giulietta Masina (Giulietta Boldrini), Mario Pisu (Giorgio, suo marito), Sandra Milo (Susy, Iris, Fanny), Milena Vukotic (domestica di Giulietta e la Santa), Elisabetta Gray (altra domestica di Giulietta), Valentina Cortese (Valentina), Caterina Boratto (madre di Giulietta), Lou Gilbert (nonno di Giulietta), Alba Cancellieri (Giulietta bambina), Fredrich Lebedur (il preside e il santone), Sylva Koscina (Sylva, sorella minore di Giulietta), Luisa della Noce (Adele, sorella maggiore di Giulietta), Mario Conocchia (l'avvocato di famiglia), Cesarino Miceli Picardi (amico di Giorgio), Felice Fulchignoni (Dr. Raffaele), Lia Pistis (amica della spiaggia), José de Villalonga (José, lo spagnolo romantico), Valeska Gert (Bhishma, la veggente), Walter Harrison, Asoka e Sujata Rubener (assistenti di Bhishma), Bill Edwards (visitatore di Bhishma), Elena Cumani (visitatrice di Bhishma), Silvana Jachino (Dolores, la scultrice), Anne Francine (la psicanalista), Elena Fondra (Elena), Genius (Genius, il medium effeminato), Alberto Plebani (“Occhio di lince", e il detective del sogno), Federico Valli, Grillo Rufino e Remo Risaliti (investigatori dell'agenzia "Occhio di lince"), Dany Paris (ragazza nella stanza, da Susy), Yvonne Casadei, Dina De Santis e Hildegard Golez (cameriere della corte di Susy), Jacqueline Gerard (ancella di Susy), Fred Williams (principe arabo), Gianni Bertoncin (il barbuto), Giorgio Ardisson, Nadir Moretti, Alba Rosa e Bob Edwards (modelli della scultrice Dolores), Alberto Cevenini (inserviente sacerdotessa), Seyna Seyn (massaggiatrice), Anita Sanders, la mulatta Wanani e Jacques Herlin (ospiti alla grande festa di Susy), Robert Walders (il finto cadavere barbuto), Guido Alberti e Mino Doro (giocatori in casa di Susy), Raffaele Guida (amante orientale di Susy), Alicia Brandet (ballerina in TV), Mary Arden (attrice in TV), Sabrina Gigli e Rossella Di Sepio (le nipotine di Giulietta), Irina Alexeieva (la nonna di Susy), Alessandra Mannoukine (la madre di Susy), Gilberto Galvan (autista di Susy), Edoardo Torricella (insegnante di russo), Maria Tedeschi (in visita dalla psicanalista), Massimo Sarchielli (amante di Valentina).

La prima cosa a sorprendere, non appena comincia il film, è l’uso del colore.
I colori sono una sorpresa, sono molto netti e brillanti, quasi senza ombre: tutte le ombre che vediamo sono volute, cercate, artificiali; ed è, fin dall’inizio, il segnale più importante che ci manda Fellini. In questo film, non c’è nulla di reale; e quello che vediamo è sempre collegato, più o meno direttamente, a sogni, visioni, pensieri, ricordi.
E’ un autentico capolavoro del direttore della fotografia Gianni Di Venanzo, che merita di essere ricordato e incorniciato. Una meraviglia simile me la ricordo in pochissimi altri film: penso soprattutto a Stanley Kubrick, in particolare a “Barry Lyndon” e “Odissea nello spazio”.
Non è il primo film a colori di Fellini: c’era già stato, tre anni prima (quasi contemporaneo a “Otto e mezzo”) il suo episodio di “Boccaccio ‘70”, protagonisti Peppino De Filippo e Anita Ekberg: “Le tentazioni del dottor Antonio”. Va ricordato che per tutti i film degli anni ’60 e ’70 girare a colori o in bianco e nero è solo una scelta stilistica, ormai il colore aveva raggiunto costi accettabili e tutti i registi affermati potevano disporne. “Otto e mezzo” in bianco e nero sta benissimo, ma “Giulietta degli spiriti” può esistere solo a colori, e solo con questi particolari colori.
E’ curioso notare che “Le tentazioni del dottor Antonio” ha più o meno lo stesso soggetto di “Giulietta degli spiriti”, però svolto in chiave comico-grottesca e al maschile: mentre qui il punto di vista è completamente femminile, ed è il secondo aspetto, dopo l’uso del colore, che più mi colpisce ogni volta che rivedo questo film.
Un mondo tutto al femminile: a non saperne nulla, “Giulietta degli spiriti” sembra un film girato da una regista donna. Se non ne sapessi nulla e mi dicessero che la regia di questo film è opera di Giulietta Masina, non farei fatica a crederlo. Pare quasi che Fellini abbia girato “l’altro lato” rispetto a “Otto e mezzo” e “La dolce vita”.
In “Giulietta degli spiriti” è prevalente il punto di vista femminile, ed è sicuramente quello della Masina e della Milo, consulenti che non appaiono nei titoli di testa. Ed è da sottolineare la scelta di Mario Pisu come alter ego: Fellini quando sceglie un attore per mettere in scena se stesso si vede con il volto di Mastroianni, sua moglie invece lo vede un po’ più anziano, ugualmente brillante ma con l’aspetto più quieto e casalingo di Mario Pisu: ma ugualmente bugiardo, bugiardo senza speranze di remissione.
Un esempio di questa visione al femminile è nella scelta dei volti maschili, e dei corpi: per esempio, nella visita di Giulietta alla studio dell’amica scultrice il giovane che fa da modello ha un fisico davvero scultoreo, mentre le donne sono molto meno in forma. Solo una donna può pensare una scena come questa, e al cinema non siamo molto abituati a vedere le cose da questo punto di vista: soprattutto non ci siamo abituati noi maschi. Un punto di vista simile l’ho trovato in alcuni film di grandi registe donne: come Liliana Cavani, Jane Campion, Agnieszka Holland.
“Giulietta degli spiriti” si può pensare come il primo capitolo di una trilogia felliniana dedicata al mondo dell’aldilà, i sogni e l’oltretomba e non solo il paranormale. Della trilogia fanno sicuramente parte Toby Dammit (di tre anni successivo: un altro episodio da un film a più mani, come in “Boccaccio ‘70”) e “La Voce della Luna”, l’ultimo film di Fellini; ma è un tema che Fellini non abbandona mai, e che percorre tutta la sua opera fin dagli inizi.
Ci sono lunghe ed emozionanti sequenze sotterranee in “Roma” (gli affreschi nel tempio sotterraneo), in “Casanova” (l’antro della balena), e tutto “I Clowns” , se si conosce quello che scrive di loro Elemire Zolla (in “Archetipi”), o dopo la lezione meravigliosa di Dario Fo dal Museo delle Maschere di Abano Terme (di pochi anni fa), che parte dal teatro di Sofocle ed Euripide ed arriva ai nostri giorni con i mascheramenti horror che fanno gli americani per Halloween.

Il soggetto, in sè, non è affatto complicato e si può riassumere in poche righe; seguirlo non sarebbe difficile perché il filo da seguire è legato al sospetto di Giulietta che suo marito abbia un’amante (sospetto che si rivelerà fondato).
E’ come viene girato il film che disorienta. Questo è uno dei film più difficili di Fellini, forse il più difficile in assoluto, al di là della bellezza delle immagini e della presenza familiare e rassicurante di Giulietta Masina. Fellini avrebbe forse dovuto avere più coraggio, invece si nasconde dietro una storia di tradimenti; sfiora argomenti che vanno oltre le nostre normali conoscenze, va a toccare corde nascoste che nemmeno la psicoanalisi ha ancora toccato: solo Carl Gustav Jung ha osato sfiorare, in maniera seria, questi territori. Verrebbe da dire: Fellini sa ma non osa; oppure non vuole mostrare cosa sa.
Giulietta si perde dietro alle allucinazioni e alle fantasie; si ritrova e scaccia le allucinazioni solo nel finale, quando ritrova se stessa da bambina.
Un soggetto simile lo troveremo trent’anni dopo con Wim Wenders, in “Fino alla fine del mondo”. Ma in Fellini ritrovare se stessi da bambini è una liberazione, in Wenders è invece una condanna, è un perdersi dentro al rimpianto per un mondo che non tornerà più. Ed è da sottolineare che in entrambi i film protagonista è la moglie (o la compagna amatissima) dell’autore: per Fellini si tratta di Giulietta Masina, per il regista tedesco è Solveig Dommartin, già protagonista di “Il cielo sopra Berlino”. (e dunque un altro trait d’union tra i due registi è il circo: ma qui si va fuori tema e rimando il discorso a un altro momento).
Giulietta libera se stessa bambina dalle fiamme, cioè dal concetto di colpa, dalla fiamma del peccato (del sesso visto come peccato, nell’educazione cattolica preconciliare). Poi corre via con il nonno, e anche Giulietta adulta adesso vorrebbe salire sull’aereo: ma il nonno le dice che non si può, che lei deve vivere la sua vita e trovare una sua strada.
Se nel film di Wenders Solveig perdeva se stessa nel rivedersi bambina, Giulietta invece si salva liberando la bambina che era. Ci vedo anche Ingmar Bergman, a cavallo tra passato (“Il posto delle fragole”) e futuro (“Fanny e Alexander”: il nonno, il teatro, e le luci e i paesaggi...). Ci vedo, curiosamente, anche “L’invenzione di Morel”, il romanzo di Adolfo Bioy Casares messo in film da Emidio Greco negli anni ’70.
In estrema sintesi: i nostri fantasmi scompaiono quando si trova la pace con se stessi; ma non è facile e non è detto che ci si riesca.
E’ un film curioso: arredi, costumi, luci, lo fanno sembrare più attuale oggi che non quando lo vidi la prima volta: moderno perché un po’ folle, certo: ma tutti quei personaggini, il mago Genius, i “maestri” New Age li ritrovi oggi tali e quali in tv, magari a compilare oroscopi e a dirigere riviste di pettegolezzi.
Fellini si diverte molto, come di consueto. Prende sul serio l’argomento, come è ovvio, ma non manca di sottolineare l’assurdità e l’ottusità delle persone che sono legate al mondo del paranormale: non è un caso che abbia scelto personaggi ridicoli e grotteschi per dare corpo ai maghi e ai santoni.
Il vero punto debole di questo film secondo me è Sandra Milo: non tanto per la sua scelta all’epoca (io ero un bambino e non saprei cosa dire) ma per il prosieguo della sua carriera, della quale Fellini non è responsabile. Sandra Milo vorrebbe essere magica e insieme familiare, esprimere trasgressione ma anche essere rassicurante; ed oggi è difficile dire se la sua interpretazione sia riuscita, forse ci riusciranno i ventenni di oggi che la conoscono poco o per nulla. Per me, per esempio, per la mia generazione, la Milo è tutt’altro che un simbolo di trasgressione e di sesso libero. La Milo fa un effetto diverso da quello pensato perché poi, priva dell’appoggio di Fellini, è diventata un simbolo di pacchianeria più che libertà e di sesso. Non ha nulla di demoniaco e di inquietante, anche truccata ha un aspetto casalingo e somiglia piuttosto a qualche nostra collega o vicina di casa. (però i gossip sulla Milo e Fellini fanno capire perché la Masina, con grande eleganza, l’abbia accettata nel cast: anche in “Giulietta degli spiriti” l’elemento autobiografico è ben presente). Ma “Giulietta degli spiriti” fa anche capire una cosa importante, in questo senso: che Federico Fellini e Giulietta Masina si sono voluti bene per 50 anni, stando sempre insieme: e non è cosa da poco.
Il volume su Fellini pubblicato da Gremese, a cura di C.G.Fava e A.Viganò, riporta molte estratti da critiche dell’epoca, appena uscito il film nelle sale: si notano alcune recensioni decisamente negative, e altre molto imbarazzate (l’imbarazzo, il non saper che cosa dire, si nota dal fatto che si tenta faticosamente di riassumere il film, più che di capirlo: i riassuntini sono l’aspetto peggiore della critica cinematografica, soprattutto in un film come questo che non ha una trama vera e propria il rischio di dire stupidaggini è enorme). Spicca però questo ritaglio:
«[...] Paradossalmente si potrebbe sostenere che Giulietta degli spiriti è un film da sfogliare più che da vedere; il modo migliore di assaporarlo sarebbe quello di ridurlo a un migliaio di inquadrature, e poi esaminarle, a una a una, come si fa con un album. [...] Viene il sospetto che Fellini sia stato condizionato - e frenato - dal colore, non soltanto da Giulietta. [...] ».
Morando Morandini, L'Osservatore Politico Letterario, Milano, 12 dicembre 1965.
Come gli capita spesso, Morandini coglie nel segno: anche con la prima visione. Oggi, con il dvd, possiamo fare quello che auspicava Morandini nel 1965: però chi vuol provare deve metterci qualcosa del suo, un minimo d’impegno. Come capita con i libri, è concesso l’andare avanti e indietro, lo sfogliare a casaccio, a patto poi di ricominciare da capo e provare a mettere insieme i frammenti.
PS: sul dvd troviamo il film meravigliosamente restaurato, va però detto il fastidio che si prova nel vedere “Mediaset” scritto ovunque sulla copertina, e un fermo immagine sul nome “Mediaset” a tutto schermo per un tempo terribilmente lungo prima che cominci il film. Il produttore qui è Rizzoli: è stato Rizzoli (il vecchio Rizzoli) a metterci soldi e impegno, ed è alla Rizzoli che si deve la realizzazione del film: Mediaset-Fininvest si è limitata a comperarne i diritti, vent’anni dopo e a un prezzo stracciato, proiettandolo in tv in maniera indegna, alle due di notte o infarcito di spot pubblicitari. Ok, Mediaset ha pagato il restauro del film: lo consideriamo un’ottima cosa, si è in parte ripagata la sofferenza causata al grande regista quand’era in vita. Ma di solito quelli che pagano i restauri mettono una targhetta piccolina accanto all’opera d’arte, non ci si siedono sopra: l’ennesima mancanza di stile e la riprova che signori si nasce.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Non m'aspettavo la seconda parte di questo tuo lungo post su "Giulietta" già oggi. La cosa però non mi dispiace affatto. :)
Dunque, l'uso del colore è veramente sbalorditivo, anch'io penso che sarebbe stato inconcepibile girare un film così in bianco & nero. Mi ha colpito molto la tua considerazione circa l'attualità del film che sarebbe, per l'appunto, più attuale oggi che all'epoca.
Restando sempre in tema di raffronto passato/presente, posso confermarti che il ruolo della Milo è qui azzeccatissimo. Vedendola in "8 1/2" e soprattutto qui, mi sono reso conto della sua bravura d'attrice. E te lo dice uno che Sandra Milo l'ha conosciuta per la prima volta col famoso (e crudele) scherzo telefonico in diretta televisiva.
Ho una copia originale di "Giulietta" , proprio quella restaurata dalla Mediaset che citi: a fronte della bella confezione cartonata, la scrittona Mediaset è veramente insopportabile!

Giuliano ha detto...

Ho trovato a poco prezzo l'edizione spagnola (anzi, "castellana"): "Julieta de los espiritus". Il sonoro originale c'è e la copertina è più bella.
(c'è anche "Los inutiles" : indovina che film è...)

Anonimo ha detto...

Dovrebbe essere "I Vitelloni"...

ps: la mia copia di "Giulietta" l'ho presa scontata a 15 euro. Ma le stesse edizioni (restauro Mediaset) di "8 1/2" e "La Dolce Vita" stanno sempre fra i 30 (!) euro, mica calano di prezzo!

Giuliano ha detto...

"I vitelloni", of course... Il titolo spagnolo suona bene anche per via fascinoso Josè Luis de Villalonga, direi.
:-)
Sulla signora Milo, chiedo scusa se mai dovesse arrivarle il mio commento: ne penso tutto il bene possibile, e infatti davanti al mio parere ho messo un "Per me" che vorrei tornare a sottolineare. Opinione mia, sia ben chiaro: che sono un perito chimico diplomato con un voto basso, tanti anni fa...