sabato 30 maggio 2020

Il tempo si è fermato



Il tempo si è fermato (1959) Regia di Ermanno Olmi. Scritto da Ermanno Olmi e Carlo Bellero. Fotografia di Lamberto Caimi. Interpreti: Natale Rossi, Roberto Seveso, Paolo Quadrubbi. Durata: 100 minuti

Siamo in montagna, sul cantiere di una diga; è inverno, c'è neve dappertutto e non si può lavorare. A controllare i lavori rimangono solo due persone, due operai, praticamente isolati dal mondo se non fosse per un telefono, una teleferica e una radio. L'anno è il 1958, la montagna è sull'Adamello, diga del Venerocolo. Uno dei due operai, due montanari esperti, ha finito il suo turno e sta tornando a casa; si salutano e quello che rimane si dispone ad aspettare l'arrivo del turnista subentrante, il Pedrazzini. Ma c'è una sorpresa: il Pedrazzini non c'è perché sua moglie ha avuto un bambino, e al suo posto arriva un ragazzo molto giovane, uno studente lavoratore, uno di città. Questo film di Ermanno Olmi, che segnerà il suo debutto nel cinema importante con un lungometraggio, racconta dell'incontro fra il "vecchio" montanaro e il giovane cittadino: ma è meglio lasciar parlare lo stesso Olmi, che racconta la nascita del film in una bella intervista disponibile qui on line:
Conversazione con Ermanno Olmi, di Tatti Sanguineti
Olmi: (....avevo girato) tanti documentari, tutti ambientati nel mondo del lavoro, e naturalmente poi l'interesse si focalizzò soprattutto sulla presenza degli uomini nelle attività lavorative (...) la scoperta del mondo di queste valli che erano rimaste isolate, direi da secoli, rispetto ai grandi centri dove avveniva tutto ciò che si considerava progresso; improvvisamente in queste valli incominciarono a suonare sirene e a rombare motori, e arrivarono le attrezzature per costruire questi monumenti giganteschi, ciclopici, che erano le dighe che sbarravano l'intera valle (...) Gli abitanti di queste valli si sono sentiti improvvisamente investire dal progresso, lì dove per secoli non si era mosso nulla. Quell'umanità conservava in quegli anni un dato distintivo rispetto all'umanità delle città. Direi che nelle valli vedevi l'uomo nella sua accezione più alta, l'uomo in rapporto con la Natura, l'uomo in rapporto con i problemi della sopravvivenza (...) lì si aveva bisogno solo dell'essenziale. Nelle città del dopoguerra, a Milano, c'era già il boom economico (...) Volevo rappresentare l'uomo come era prima che avvenissero tutti questi grandi cambiamenti (...) mettevo vicino queste due generazioni perché avvertivo, allora forse inconsapevolmente o non con la consapevolezza di oggi, che quella era una linea storica di demarcazione: finiva un'era dell'uomo e ne cominciava una nuova. Direi che addirittura il mondo industriale, cominciato con il Ballo Excelsior all'inizio del secolo, non ha segnato così il processo di mutamento storico della società a venire. Nell'ultimo dopoguerra è finito l'Ottocento ed è cominciato il Duemila. (...) sento che quella è proprio una data di nascita, di questo nuovo mondo che oggi vediamo poi esprimersi attraverso tecnologie di immensa raffinatezza, allora assolutamente inimmaginabili (...)
(Conversazione con Ermanno Olmi, a cura di Tatti Sanguineti, Cineteca di Bologna)

E' un'intervista molto bella, dura 23 minuti e Olmi continua raccontando il silenzio dopo il fermo del cantiere, l'enorme quantità di neve, l'immobilità, le figure minime degli uomini nel cantiere deserto. Un film sulla pausa, dopo i rumori delle macchine e l'andirivieni dei lavoratori dei mesi precedenti; ed è nella pausa che emergono le differenze prima non avvertibili. C'erano tutti i motivi per cui queste due persone non si conoscessero: d'estate, con il cantiere aperto, non si sarebbero nemmeno parlati, ma ora i due cominciano a scoprirsi e a riconoscersi. Olmi dice ancora che "il tratto preciso del film è che pur nella diversità ci si può intendere" e sottolinea la presenza di uno studente lavoratore, figura tipica degli anni '50 e '60: molti figli di operai si sono laureati così, perché altrimenti non avrebbero potuto pagarsi gli studi. E' molto bello anche il discorso sulle pellicole cinematografiche e sul montaggio cinematografico; alla fine Olmi decide di girare in Cinemascope, cioè nel formato dei kolossal, per dare il giusto risalto al panorama e alla diga e anche perché all'inizio pensava di fare un documentario, ma si era accorto che il piccolo formato dei documentari, nelle sale cinematografiche, veniva penalizzato nella proiezione. Dopo il Duemila, girando "Cantando dietro i paraventi", Olmi si dichiarerà entusiasta delle nuove tecnologie e anche questa può essere una sorpresa per chi non conosce Ermanno Olmi se non attraverso luoghi comuni e stereotipi nati dalla pigrizia di chi scrive di cinema con superficialità. Per quanto mi riguarda, trovo l'analisi di Olmi sul Novecento molto migliore di quelle del tipo "il secolo breve", che si occupano solo di guerre e di ideologie: Olmi coglie il momento vero del cambiamento (nei primi anni '60 arrivano anche le materie plastiche e l'elettronica), e indica un altro cambiamento epocale che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Sta scomparendo il lavoro manuale, sempre meno persone sono in grado di fare lavori con le proprie mani, e ce ne accorgiamo quando c'è bisogno di un idraulico o di un muratore; e stanno scomparendo anche le persone, un lavoratore vale ormai pochissimo in termini economici, le macchine hanno tolto spazio e lavoro agli umani, e stiamo facendo di tutto per non vederlo.


In anni passati mi ero segnato queste righe di appunti su "Il tempo si è fermato":
- Un Olmi del 1959, un film che avrei voluto scrivere io. Anche se può apparire ormai datato, è un film che apre il cuore; bisogna proprio dirlo, Olmi non è un regista come tanti altri, è un poeta del dettaglio e la sua grandezza va cercata nei particolari minimi, e nella scelta dei luoghi e degli attori. Natale Rossi, per esempio, me lo ricorderò, anche perché di persone così belle e semplici ne ho conosciute anch’io, e mi dispiace che siano di una razza in via d’estinzione. (maggio 1993)
- "Il tempo si è fermato" racconta di neve e solitudine, ma non è "Shining": è il mondo del lavoro e delle persone buone e semplici, dei lavoratori; sono le persone che mandano avanti il mondo in cui viviamo, in silenzio, anche con sacrifici personali, mentre gli altri si mettono in vista e non fanno niente, o fanno solo confusione. E' grazie alle persone come Natale Rossi (il "vecchio" del film) se viviamo in un mondo confortevole, ma purtroppo di Natale Rossi ne sono rimasti ormai pochissimi. Visto dopo tanti anni, è sempre molto bello; sembra a tratti un film di Disney degli anni '50, dove il cucciolo chiassoso irrompe nella vita dell'uomo maturo, l'uomo silenzioso, il montanaro paterno e un po' bambino ancora nell'anima, in soggezione verso il ragazzo "che ha studiato" e che veste abiti di marca, non fatti in casa. Ricorda un po', quindi, anche il "Balthasar" di Robert Bresson, dove c'è l'irruzione della radiolina nel silenzio del tempo di Pan, il rumore elettronico (qui è un disco di Celentano) che interrompe una quiete ancestrale, però questo è un film buono con una storia positiva. Mi sono divertito anche nel vedere Natale Rossi, nell'attesa che arrivi il Pedrazzini (non arriverà, gli è nato un figlio) giocare schizzando acqua sulla stufa, come facevo anch'io quando avevamo in casa una stufa simile (un gesto ritrovato, dimenticato da tempo). Per un ragazzo di città, sulla neve si va per sciare; per un montanaro gli sci servono per spostarsi nella neve; ed anche questa è una differenza notevole, della quale abbiamo dimenticato tutto. Film da conservare con cura, molto amato, della mia stessa età, girato sull'Adamello, diga del Venerocolo. (anno 2014)




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