UN MONDO DI MARIONETTE (1979/80) Regia, sceneggiatura: Ingmar Bergman Titolo originale svedese: Ur marionetternas liv (t.l. Dalla vita delle marionette). Titolo originale tedesco: Aus dem leben der Marionetten. Produzione: Personafilm (München) - Distribuzione: Sandrews Produttori: Horst Wendlandt, Ingmar Bergman - Fotografia: Sven Nykvist (bianco e nero/colori), Musiche: Rolf Wilhelm - Scenografia: Rolf Zehetbauer - Montaggio: Petra von Oelffen - Prima: 24/1/1981 Grand - Con: Robert Aztorn (Peter Egerman), Christine Buchegger (Katarina Egerman, sua moglie), Martin Benrath (Mogens Jensen, lo psicoanalista), Rita Russek (Katarina Krafft, la prostituta), Lola Muethel (Cordelia Egerman, madre di Peter), Walter Schmidinger (Tim, lo stilista omosessuale), Heinz Bennent (Arthur Brenner), Ruth Olafs (l'infermiera), Karl Heinz Pelser (l'ufficiale che dirige l'interrogatorio), Gaby Dohm (la segretaria), Toni Berger (l'usciere). Durata: 104 minuti
Ingmar Bergman, da “Immagini”:
In Lanterna magica racconto di un film che ho cominciato a scrivere nell'estate 1985 a Farö. Doveva trattare di «un vecchio cineasta del cinema muto, i cui film semicancellati vengono trovati in un numero incalcolabile di cassette di latta giacenti sotto una casa di villeggiatura, che deve essere restaurata. Tra le immagini c'è un nesso non chiaramente intuibile; un esperto del cinema muto cerca di leggere le battute sulle labbra degli attori e di interpretarle. Vengono sperimentate diverse successioni nell'ordine e si hanno risultati diversi. Il progetto impegna sempre più persone, cresce e prospera, costa sempre di più. Diventa sempre più difficile da gestire. Alla fine, un giorno, tutto prende fuoco, con gli originali al nitrato e le copie all'acetato, e un'intera casamatta va in fumo. Il sollievo è generale ».
Avevo accantonato quasi immediatamente questo inizio di sceneggiatura dopo che il corpo mi aveva ricordato la promessa fatta di astinenza, che l'anima aveva dimenticato. Ma l'idea di un film che uno cerca di comporre sulla base di frammenti, senza avere accesso a una sceneggiatura, mi stimolava. Essa mi aveva inoltre già funestato una volta in precedenza.
Quando mi trovavo al mio secondo anno di Monaco, cominciai a metter giù una storia che chiamai “Amore senza amanti”. Era enorme e formalmente spezzettata, e rispecchiava un'angustia che sicuramente aveva a che fare con l'esilio. Si svolgeva a Monaco e dintorni e trattava, proprio come il mio sogno di cinema muto, di un grande materiale filmato che viene abbandonato dal suo regista.
La sceneggiatura di Amore senza amanti fu terminata nel marzo 1978 (...) Nessuno in Svezia voleva puntare un soldo su Amore senza amanti, nonostante fossi disposto a metterci dei soldi io stesso. Parlai con Horst Wendlandt, che era stato il coproduttore tedesco dell'Uovo del serpente, ma quell'esperienza lo aveva bruciato. Anche Dino De Laurentiis disse di no, così fu ben presto chiaro che questo grande e prezioso progetto non si sarebbe mai realizzato. Non si era più d'accordo sul fatto di farlo. Io ero d'accordo prima e sapevo che quanto più ci si dedica a un'avventura costosa, tanto maggiori sono le possibilità di essere rifiutati. Seppellii il progetto senza amarezza e non ci pensai più. Più tardi cominciai a riflettere che sarebbe stato bello, per il senso d'ensemble che c'era al Residenztheater, se noi avessimo fatto per la TV un testo teatrale insieme. Fu allora che dal sepolto “Amore senza amanti” ricavai la storia di Peter e Katarina.
Della corposa sceneggiatura rimangono soltanto alcune scene, ma in complesso “Dalla vita delle marionette” [uscito in Italia con il titolo Il mondo delle marionette], è una sua riscrittura. Essa si basa su reminiscenze concrete. Il tema di due persone, che sono unite in modo indissolubile e doloroso e nello stesso tempo si consumano nel loro carcere, mi ha seguito a lungo.
Peter e Katarina fecero la loro prima entrata in “Scene da un matrimonio”. Là fecero da contrappunto a Johan e Marianne nella prima sequenza. Peter e Katarina non possono vivere insieme, ma non possono fare a meno l'uno dell'altra. Vi sono tra loro continue, crudeli ripicche che soltanto persone nella loro situazione possono inventare. La loro convivenza è una sofisticata danza di morte, una progressiva disumanizzazione. I loro bisticci durante il pranzo sono il primo attacco contro il mondo coniugale di Johan e Marianne, fatto di apparenze; per loro è il purgatorio del quotidiano. (...) “Dalla vita delle marionette” è anch'esso un film per la TV. Il principale finanziamento venne da Zweites Deutsches Fernsehen. Ma al di fuori della Germania, disgraziatamente, fu presentato come film per il cinema. Inoltre non fu affatto un film divertente da realizzare. In “Amore senza amanti” Peter è un disperato che spara a Franz Josef Strauss. Quando scrissi “Dalla vita delle marionette”, giunsi subito all'idea che non era Strauss quello a cui avrebbe dovuto sparare.
Peter dice che tutte le strade sono chiuse. Non ha nessuna possibilità di uscirne. Alcool, droga, sesso offrono vie di uscita illusorie. La storia pone la seguente domanda: perché Peter, in apparenza senza motivo, spegne la vita di un altro uomo? Io presento diversi modelli di spiegazione, nessuno dei quali è intenzionalmente solido. Quando rivedo il film, ho la sensazione che l'omosessuale Tim si avvicini maggiormente alla verità allorché lascia intendere che Peter è bisessuale. Per lui, il riconoscimento della sua doppia sessualità sarebbe stato probabilmente una liberazione. Ciò si intravede anche nell'analisi finale del dottore, ma l'analisi è un modo cosciente di barare: una cinica codificazione di un dramma sanguinoso in lubrici termini psichiatrici. Il medico vede ciò che sta per accadere. Ma lui permette che questo si compia, perché accampa pretese private su Katarina.
“Dalla vita delle marionette” è il mio unico film tedesco. Anche “L'uovo del serpente”, a prima vista, può sembrare un film tedesco. Ma è stato concepito in Svezia e lo scrissi nel presagio della mia catastrofe personale. L'uovo del serpente è visto con la disperata curiosità di chi sta al di fuori.
Quando feci Dalla vita delle marionette avevo tutto sommato accettato la mia nuova realtà tedesca. La lingua non mi creava più difficoltà. Lavoravo già da tempo in teatro e in linea di massima potevo capire se quel che si diceva era giusto o sbagliato. Mi sembrava di conoscere l'ambiente tedesco e i tedeschi. Avevo quindi scritto Amore senza amanti con l'ambizioso intento di compiere una profonda immersione nella mia esistenza tedesca. La redazione di Dalla vita delle marionette è molto rigorosa. Dopo aver scritto la sceneggiatura, cancellai più del venti per cento del dialogo. Quando poi girammo, se ne andò un altro dieci per cento. Il film perciò ha avuto una forma molto compressa: corte sequenze con interventi didascalici alla Brecht, che illustrano lo sviluppo dell'azione fino alla catastrofe finale.
Ho fatto brutti film che tuttavia mi stanno a cuore. Ne ho fatti di buoni che però, obiettivamente, mi lasciano indifferente. Altri ancora sono comicamente sottoposti ai miei mutamenti di atteggiamento nei loro riguardi. Talvolta capita che qualcuno dica che a me piace il tal film e non il tal altro. Allora mi rallegro subito e anche a me piace quel film. In ogni caso, sono abbastanza orgoglioso del mio Dalla vita delle marionette. E un film che regge. La sola critica che posso accettare è quella che riguarda la forma, duramente annodata. Nella mia giovinezza misi in scena a Helsingborg Rabbia di Olle Hedberg. Era stato ricavato dal blocco finale di una serie di romanzi. Là il protagonista, Bo Stensson Svenningsson, nella sua apologia finale, dice, appunto, che noi soggiorniamo in una stanza buia senza porte né finestre. Ma aggiunge: da qualche parte, però, ci dev'essere una fessura invisibile che ci dà l'idea dell'aria fresca. In Dalla vita delle marionette le persone soggiornano in una stanza ermeticamente chiusa senza alcuna fessura. A posteriori, posso ritenere che questa sia una debolezza.
Un difetto di bellezza può anche essere la lettera che Peter scrive, ma non spedisce. Dal punto di vista psicologico non quadra. Peter è in grado di esprimersi solo quando detta lettere d'affari. Sia il senso che la formulazione sono inconcepibili. Ma in questo caso non ho seguito il vecchio e buon messaggio di William Faulkner: Kill your darlings. Oggi avrei preso una grossa forbice e avrei accorciato il film di altri dieci minuti, migliorandolo ancora.
L'immagine di Peter all'ospedale, ossia l'immagine di un uomo che ha reciso ogni legame con il mondo esterno, è ripresa dal periodo che ho trascorso in una clinica psichiatrica dopo la storia delle tasse. Non posso ricordare di essere stato tormentato. Al mattino mi alzavo alle cinque e mezza per poter essere in bagno prima di tutti gli altri, e tenevo in gran cura la mia condizione fisica. La giornata era perfettamente organizzata. Prendevo dieci Valium da dieci milligrammi, più uno extra quando ce n'era bisogno. Peter si trova profondamente immerso in questo tipo di esistenza. Dorme con il morbido e logoro orsacchiotto di quand'era bambino. Gioca a scacchi con un calcolatore elettronico. Se ne sta sdraiato a letto mezz'ora ogni mattina. Katarina vive ancora con lui, ma da lontano. Dice alla suocera di vivere la sua solita vita: «Ma dentro di me piango tutto il tempo».
Ingmar Bergman, da “Lanterna magica”:
Alcuni anni fa scrissi un soggetto non del tutto riuscito che s'intitolava “Amore senza amanti”. Era diventato un panorama della vita nella Germania occidentale, credo fosse pervaso dalla rabbia impotente del prigioniero, la cosa certa è che non era giusto. Da questo gigante morto di morte naturale tagliai una fetta di carne che divenne un film per la televisione con il titolo “Un mondo di marionette”. Non piacque, ma è uno dei miei film migliori, opinione questa condivisa da pochi.
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