Eyes wide shut(1999). Regia di Stanley Kubrick Sceneggiatura di Stanley Kubrick e Frederick Raphael, tratta dal racconto di Arthur Schnitzler "Doppio sogno". Musica: Dimitri Shostakovic, Gyorgy Ligeti, Franz Liszt, W.A. Mozart. Musiche originali di Jocelyn Pook. Fotografia: Larry Smith. Con Tom Cruise, Nicole Kidman, Sydney Pollack, Jackie Sawiris, Leslie Lowe, Peter Benson, Todd Field, Julienne Davis, Vinessa Shaw, Leelee Sobieski. Durata: 159 minuti
Ho sempre avuto grandi perplessità riguardo ad “Eyes wide shut”, a partire proprio dal titolo: dopo averlo visto, appena uscito nei cinema, ero andato a leggermi “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler, il racconto da cui è tratto il film, e ho scoperto con sorpresa che il film e il libro coincidono quasi perfettamente; Kubrick ha solo spostato il tempo dell’azione, dal primo Novecento ai nostri giorni. “Doppio sogno” era un titolo magnifico, perché Kubrick non l’ha usato?
Le perplessità riguardo al film si spiegano facilmente: il film non è del tutto finito, quella che vediamo era una copia “quasi” definitiva. Certamente, Kubrick avrebbe limato ancora qualcosa, ma non ne ha avuto il tempo. Oltretutto, Kubrick era molto lento e meticoloso e, di conseguenza, il film era in lavorazione da diversi anni: chi ha messo i soldi per produrlo cominciava a diventare impaziente. C’era anche la questione del protagonista, Tom Cruise: che personalmente trovo del tutto inadeguato (e in questo sono assistito da un illustre parere femminile: "attore senza finezze e senza mistero" dice Irene Bignardi di Tom Cruise su Repubblica 1.10.1999 ). Per un ruolo così, l’ideale sarebbe forse stato Jack Nicholson da giovane, all’epoca di “Easy rider” o di “Cinque pezzi facili” o forse – è un paradosso, ma mi serve per spiegare cosa intendo – Ugo Tognazzi da giovane, nel suo versante drammatico. Insomma, qualcosa di terragno e di sanguigno, di affidabile ma ambiguo; tutte qualità che Tom Cruise non ha mai avuto, e penso che Kubrick ne fosse cosciente ma che se lo sia fatto andar bene pur di poter fare il film.
Tante perplessità, dicevo, che mi sono portato dietro fino a ieri sera, quando – per puro caso, come capita sempre – ho ripreso in mano un libro di un autore con il quale ho un rapporto continuo da più di trent’anni, e il cui nome forse non vi dirà niente. Si tratta di Adolfo Bioy Casares, argentino, amico e collaboratore di Jorge Luis Borges. Il dialogo che mi ha colpito è questo:
(...) Vidal immaginò Faber, in agguato delle ragazze, acquattato vicino ai gabinetti, Rey che sbaciucchiava le mani di Tuna, Jimi eccitato come un cane.
"Sembrano grotteschi, ma non fanno ridere," commentò. "Offendono, piuttosto."
"A me non mi offendono. La gente è diventata troppo delicata. Io trovo che ogni vecchio si trasforma in una caricatura. C'è da morir dal ridere."
" O di tristezza."
"Tristezza? Perché? Non sarà che hai paura di entrare anche tu a far parte di questo carnevale? "
"Forse hai ragione."
"Alla grande sfilata di maschere."
"Ciascuno tira fuori a poco a poco il suo travestimento. "
"Che del resto non gli si adatta tanto bene," rispose Jimi, visibilmente stimolato dalla collaborazione dell'amico. "Sembra un costume preso in affitto. Di tessuto ce n'è in abbondanza. Uno spettacolo buffo. "
"Orribile, eh! È tutta un'umiliazione, ci si rassegna a essere deficienti, come i mascalzoni." (...)
(Adolfo Bioy Casares, “Diario della guerra al maiale”, 1969, editore Bompiani)
Ecco, questa associazione fra il Carnevale e il passare del Tempo, e la morte, mi ha fatto balzare davanti agli occhi alcune immagini: e sono proprio quelle di “Eyes wide shut”. Chi ha visto il film se le ricorda di certo: le lunghe sequenze di Tom Cruise nel negozio delle maschere, la lunga scena dell’orgia, che di maschere è piena, e altro ancora. Ma la scena dell’orgia, che purtroppo è diventata subito famosa e imitata, non è delle migliori di Kubrick: è goffa, sembra girare a vuoto, non convince, e per di più la musica è molto brutta. E per un perfezionista come Kubrick questa imperfezione è molto strana; e non mi basta sapere che il film non è completamente finito, significa che qui c’è sotto qualcosa.
E finalmente ho capito: anche questo film, come “Io ballo da sola” di Bertolucci, è una Vanitas. “Vanitas” è il nome che viene dato ad alcuni dipinti del 500-600, dove al centro del quadro c’è una giovane donna fiorente, per lo più nuda, attorniata da simboli del passare del Tempo: una candela che si consuma, una clessidra, un teschio... Esempio clamoroso di Vanitas è il dipinto del Cagnacci che riporto qui, dove tutti questi simboli sono esposti in maniera chiarissima. In altri dipinti, tutto è più sfumato: si possono considerare “vanitas” (vanità delle vanità, tutto è vanità, dice il libro dell’Ecclesiaste, nella Bibbia) anche le nature morte, con un cestino di frutta meravigliosa destinata a non durare, e il famoso “Et in Arcadia Ego” del Guercino.
Ho sempre avuto grandi perplessità riguardo ad “Eyes wide shut”, a partire proprio dal titolo: dopo averlo visto, appena uscito nei cinema, ero andato a leggermi “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler, il racconto da cui è tratto il film, e ho scoperto con sorpresa che il film e il libro coincidono quasi perfettamente; Kubrick ha solo spostato il tempo dell’azione, dal primo Novecento ai nostri giorni. “Doppio sogno” era un titolo magnifico, perché Kubrick non l’ha usato?
Le perplessità riguardo al film si spiegano facilmente: il film non è del tutto finito, quella che vediamo era una copia “quasi” definitiva. Certamente, Kubrick avrebbe limato ancora qualcosa, ma non ne ha avuto il tempo. Oltretutto, Kubrick era molto lento e meticoloso e, di conseguenza, il film era in lavorazione da diversi anni: chi ha messo i soldi per produrlo cominciava a diventare impaziente. C’era anche la questione del protagonista, Tom Cruise: che personalmente trovo del tutto inadeguato (e in questo sono assistito da un illustre parere femminile: "attore senza finezze e senza mistero" dice Irene Bignardi di Tom Cruise su Repubblica 1.10.1999 ). Per un ruolo così, l’ideale sarebbe forse stato Jack Nicholson da giovane, all’epoca di “Easy rider” o di “Cinque pezzi facili” o forse – è un paradosso, ma mi serve per spiegare cosa intendo – Ugo Tognazzi da giovane, nel suo versante drammatico. Insomma, qualcosa di terragno e di sanguigno, di affidabile ma ambiguo; tutte qualità che Tom Cruise non ha mai avuto, e penso che Kubrick ne fosse cosciente ma che se lo sia fatto andar bene pur di poter fare il film.
Tante perplessità, dicevo, che mi sono portato dietro fino a ieri sera, quando – per puro caso, come capita sempre – ho ripreso in mano un libro di un autore con il quale ho un rapporto continuo da più di trent’anni, e il cui nome forse non vi dirà niente. Si tratta di Adolfo Bioy Casares, argentino, amico e collaboratore di Jorge Luis Borges. Il dialogo che mi ha colpito è questo:
(...) Vidal immaginò Faber, in agguato delle ragazze, acquattato vicino ai gabinetti, Rey che sbaciucchiava le mani di Tuna, Jimi eccitato come un cane.
"Sembrano grotteschi, ma non fanno ridere," commentò. "Offendono, piuttosto."
"A me non mi offendono. La gente è diventata troppo delicata. Io trovo che ogni vecchio si trasforma in una caricatura. C'è da morir dal ridere."
" O di tristezza."
"Tristezza? Perché? Non sarà che hai paura di entrare anche tu a far parte di questo carnevale? "
"Forse hai ragione."
"Alla grande sfilata di maschere."
"Ciascuno tira fuori a poco a poco il suo travestimento. "
"Che del resto non gli si adatta tanto bene," rispose Jimi, visibilmente stimolato dalla collaborazione dell'amico. "Sembra un costume preso in affitto. Di tessuto ce n'è in abbondanza. Uno spettacolo buffo. "
"Orribile, eh! È tutta un'umiliazione, ci si rassegna a essere deficienti, come i mascalzoni." (...)
(Adolfo Bioy Casares, “Diario della guerra al maiale”, 1969, editore Bompiani)
Ecco, questa associazione fra il Carnevale e il passare del Tempo, e la morte, mi ha fatto balzare davanti agli occhi alcune immagini: e sono proprio quelle di “Eyes wide shut”. Chi ha visto il film se le ricorda di certo: le lunghe sequenze di Tom Cruise nel negozio delle maschere, la lunga scena dell’orgia, che di maschere è piena, e altro ancora. Ma la scena dell’orgia, che purtroppo è diventata subito famosa e imitata, non è delle migliori di Kubrick: è goffa, sembra girare a vuoto, non convince, e per di più la musica è molto brutta. E per un perfezionista come Kubrick questa imperfezione è molto strana; e non mi basta sapere che il film non è completamente finito, significa che qui c’è sotto qualcosa.
E finalmente ho capito: anche questo film, come “Io ballo da sola” di Bertolucci, è una Vanitas. “Vanitas” è il nome che viene dato ad alcuni dipinti del 500-600, dove al centro del quadro c’è una giovane donna fiorente, per lo più nuda, attorniata da simboli del passare del Tempo: una candela che si consuma, una clessidra, un teschio... Esempio clamoroso di Vanitas è il dipinto del Cagnacci che riporto qui, dove tutti questi simboli sono esposti in maniera chiarissima. In altri dipinti, tutto è più sfumato: si possono considerare “vanitas” (vanità delle vanità, tutto è vanità, dice il libro dell’Ecclesiaste, nella Bibbia) anche le nature morte, con un cestino di frutta meravigliosa destinata a non durare, e il famoso “Et in Arcadia Ego” del Guercino.
Una volta svelati questi passaggi (proprio nel senso di “togliere il velo”), il messaggio di Kubrick diventa chiaro, chiarissimo. E mi chiedo come mai non c’ero arrivato prima: il film comincia proprio con una giovane donna nuda, nel suo momento di massima bellezza, per di più davanti ad uno specchio. E’ una scena di nudo molto lunga, che ha fatto protestare i censori e che ha fatto sorridere molti per il “voyeurismo” di questo anziano regista, e dei suoi spettatori. Una volta ammesso (ebbene, sì) che vedere Nicole Kidman in quelle condizioni è una cosa molto piacevole per la quale noi maschi ringraziamo molto Kubrick, va però detto che la lunghezza di questa scena non è casuale, che l’insistenza sul nudo della Kidman non attiene strettamente alla sfera sessuale, e che Kubrick non la avrebbe di certo mai tagliata. Questa scena è il punto di partenza di una Vanitas, che poi verrà sviluppata nel seguito della narrazione: appunto con le scene del Carnevale e delle Maschere. Se guardate bene nel fermo immagine, i simboli delle Vanitas cinquecentesche ci sono quasi tutti: a partire dalle candele che si consumano.
Non conosco bene Schnitzler, e non so cosa avesse in mente quando scriveva “Doppio sogno”; ma per quanto riguarda Kubrick c’è un altro fattore fondamentale, ed è la musica. Si sa quanto sia importante la musica per Kubrick: e per questo film, come già accadde per “Lolita”, Kubrick ha scelto di non avere grande musica, ma musiche piuttosto convenzionali, da colonna sonora normale, commissionate per l’occasione. Con alcune eccezioni, tra le quali è memorabile proprio la scena iniziale della Kidman davanti allo specchio. La musica è un valzer, un valzer piacevole e leggero, ma è opera di un autore ben dentro al Novecento, Dimitri Sciostakovic. Sciostakovic, come Bioy Casares, è un autore che mi accompagna da parecchio tempo, e del quale posso dire molto cose. Per esempio, e Kubrick non poteva non saperlo, che ha due aspetti (all’apparenza opposti e poco conciliabili) che convivono in lui: una vena clownesca, divertita e divertente come in questo valzer, e una seria e profonda riflessione sui temi della guerra, e della morte. Sciostakovic trascorse la sua vita sotto Stalin, era socialista ma vide fin da subito scomparire nei gulag amici e parenti, come il regista di teatro Mejerchold, con il quale aveva collaborato; e della morte sapeva quindi molto. Non solo il percorso della sua musica segna il passare del Tempo, ma anche le fotografie che lo ritraggono, prese anno dopo anno, dicono molto.
Mi fermo qui, perché il post è già molto pesante. Questo è il testamento di Kubrick, e lui ne era più che cosciente. Continuo a pensare che sia un film poco riuscito, ma comincio a guardarlo con occhi diversi.
Bisognerebbe soprattutto tornare sulla sequenza in cui recita Sydney Pollack, quella del biliardo, all’inizio del film: c’è qualcosa di faustiano in quel dialogo, e mi riprometto di tornarci sopra con la dovuta attenzione.
PS: Quando ho finito di scrivere questo pezzo, mi sono accorto che su Canale 5 era in programmazione “Eyes wide shut”. Che i diritti di questo film (e di altri) siano in quelle mani è veramente una cosa disgustosa. Spero che questa voga di spezzettare i film con la pubblicità finisca presto, dura ormai da un quarto di secolo e sarebbe ora di darci un taglio (a chi spacca i film in questo modo indecente, non ai film...)
6 commenti:
Quando scrivi così, caro Giuliano, mi fai subito cambiare opinione e riaccendere la curiosità: ho visto "Eyes Wide Shut" molti anni fa, credo che fosse il 2000, appena uscito sul mercato home video. M'è bastata una sola visione per classificarlo impietosamente fra i 'miei' film cagosi. Dovrò tornarci, evidentemente. Anche perché questo tuo bel post segue una mia recente lettura su Kubrick: sul numero di settembre/ottobre di "Stile - Arte", infatti, ho trovato un interessante articolo sui dipinti che hanno avuto diretta influenza su alcune delle più celebri inquadrature di Kubrick. Insomma, film da vedere & rivedere, quelli del geniaccio inglese!
Kubrick era diventato molto lento e macchinoso, non ha fatto in tempo a finire il montaggio e penso che qualcosa avrebbe tagliato.
Devo dire che sono distantissimo da questo film e da questo soggetto, anche con Schnitzler non sono mai andato molto d'accordo - però di solito evito di fare il giochino del "mi piace non mi piace". Porto qui i film che mi hanno in qualche modo colpito, anche un film non riuscito può avere dentro cose importanti.
Ho poco tempo da dedicare alla lettura (causa lavoro), in questo periodo.
Nel week end, continuerò a sfogliare le pagine di questo blog.
Mi sta piacendo moltissimo.
Un abbraccio, caro Giuliano
Ciao Zebra! Prima o poi metto tutti i link necessari, anche quelli di Mat e di Ermione e di Dario.
Zebrabianconera è un sito dove si parla seriamente di sport, e non solo: lo dico per chi diffidasse e pensasse a qualcosa legato solo al tifo calcistico...
"“Doppio sogno” era un titolo magnifico, perché Kubrick non l’ha usato?"
qualche risposta?
http://kentroversypapers.blogspot.it/2006/03/eyes-wide-shut-occult-symbolism.html
è un appunto di quando ho visto il film...quanti anni sono passati?
:-)
Ero rimasto molto sorpreso nel vedere che il racconto di Schnitzler era stato seguito quasi passo per passo, non me l'aspettavo.
Però non sono mai stato un appassionato di Schnitzler, non ho suoi libri in casa. Ripensandoci oggi, forse era un soggetto che avrebbe svolto meglio Fellini.
(e continuo a pensare a Tom Cruise come la vera palla al piede di questo film...)
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