giovedì 29 ottobre 2009

Centochiodi


Centochiodi (2007) scritto e diretto da Ermanno Olmi. Fotografia di Fabio Olmi. Musiche: Maurice Ravel, Sonata per violino e pianoforte; la canzone “Non ti scordar di me” .Musiche originali di Fabio Vacchi. Con Raz Degan, Luna Bendandi, Andrea Lanfredi, e altri attori non professionisti. Durata: 92 minuti

“Centochiodi” di Ermanno Olmi è un film dove un gruppo di persone più o meno anziane viene “sfrattato” (anzi, no: sfrattati e multati) dal posto dove si trovavano insieme fin da quand’erano bambini, sulla riva mantovana del Po: per la precisione, tra Bagnolo San Vito e San Giacomo Po.
Questa piccola storia mi ha colpito molto, perché purtroppo è vera. Negli ultimi 10-15 anni, inseguendo parole d’ordine stravolte e presunte politiche di federalismo e di liberismo, siamo stati travolti da un’ondata di burocrazia e di tasse che non si erano mai viste prima. Io sono cresciuto senza mai vedere un parcometro, oggi non c’è più uno spazio in cui non si debba pagare qualcosa; in nome di questo “meno tasse a Roma” ogni pezzo di suolo pubblico, anche il più piccolo, è diventato a pagamento o a disco orario (con multe salatissime e spropositate); non stupisce che le nostre amministrazioni vadano a vedere perfino che cosa si fa sulle rive di un fiume, e che ci voglia un’autorizzazione anche per prendere il sole e bere un caffè (o un bicchier di vino, o una birra) con un amico; e tutto questo avviene nell’indifferenza generale, sembra perfino che nessuno se ne accorga. Abbiamo le tasche piene di tesserine magnetiche, ci siamo ridotti a dialogare con le macchine, tra un po’ spariranno nel mondo dei ricordi anche le biglietterie delle stazioni e le cassiere del supermercato. Eccetera: guardatevi in giro e provate a pensare a quanta burocrazia nuova c’è, e con quante macchine – dal bancomat alle segreterie telefoniche del “digiti uno digiti due digiti tre” – vi trovate a conversare ogni giorno.
Mi ha fatto piacere veder contrastare, almeno per una volta, questa generazione di burocrati che è venuta crescendo negli ultimi vent’anni. Mi fa piacere trovarmi dalla parte di Ermanno Olmi e avere gli stessi pensieri, anche se la differenza di età tra me e lui è notevole. E mi ha dato da pensare il fatto che di questa parte del film, che è importante e che costituisce la vera ossatura del film, io non avessi avuto notizia prima di vedere il film. Nelle critiche sui giornali e nelle anteprime, perfino negli spot promozionali, si è sempre parlato d’altro: e soprattutto ha riempito le pagine e i canali tv la faccia di Raz Degan, famoso fotomodello, e si è parlato più che altro della sequenza iniziale, quella che dà il titolo al film. Che è una sequenza forte, su un ragionamento forte, ed è giusto che se ne sia parlato; ma poi l’ossatura del film è questa, l’andatura della vita sulle rive del grande fiume e i cambiamenti che il fiume ha visto passare. Cercando immagini del film in rete, non ho trovato niente di queste sequenze: c’è molto, ma sono quasi tutte foto di Raz Degan.
L’aver letto quasi soltanto della storia dei libri inchiodati mi fa pensare (come sempre con tristezza) che critici e recensori del film abbiano guardato soltanto i primi 5-10 minuti, e poi se ne siano andati via: capita spesso. Il che è comprensibile per uno spettatore qualsiasi (se si annoia, si alzi pure e se ne vada), ma è grave per un critico cinematografico che dovrebbe capire e raccontare.
Un critico degno di questo nome dovrebbe sapere (e spiegare) che un film di Olmi va guardato tutto, dall’inizio alla fine; e che anche se il film non è perfetto e a tratti (qui capita) ci si annoia davvero, ci sono grandi motivi di vera attualità che meriterebbero di essere ripresi e diffusi. Invece, niente. Anzi, in prima visione tv “Centochiodi” è andato in onda tra mezzanotte e l’una: come sempre, da quando qualcuno (sappiamo chi) ha deciso una volta per tutte che conta solo ciò che vende e che attira pubblicità – come se le cose più belle della vita non fossero del tutto gratuite e riservate a pochi spettatori (un bacio, la nascita di un figlio, un caffè con un amico...).
E’ un film con molti difetti, mi è piaciuto molto ma ho subito pensato che mi piacerebbe rifarlo, e nel rifarlo partirei da quando il professore lascia la sua macchina e butta via le sue cose dal ponte: così si darebbe forse un po’ di suspence, che non guasta; e si darebbe un po’ di respiro al pubblico “normale” che dei libri inchiodati non sa cosa farsene. E poi non userei Raz Degan come protagonista, ha una bella immagine ma è poco comunicativo e poco espressivo (ma forse bisognava trovare finanziamenti...).


Metto qui le cose che mi sono segnato, al volo, durante la visione; ripromettendomi di tornarci sopra dopo aver lasciato passare un po’ di tempo. Faccio presente che le trascrizioni che ho fatto sono spesso poco precise, vedrò di essere più preciso alla prossima rilettura.
1. “La religione non salva il mondo”. 2. “C’è più verità in una carezza che in tutti questi libri”; replicato più avanti in “...nel prendere un caffè con un amico” (la scena con il carabiniere). 3. Trovare salvezza nella follia? Si tratta di un altro aggancio a Dostoevskij, con Olmi tutt’altro che casuale. Penso soprattutto a “L’idiota” e alla “parabola del Grande Inquisitore” nei Fratelli Karamazov (cosa succederebbe se Gesù tornasse oggi sulla Terra?). 4. Tra le musiche, il blues di Ravel dalla sua Sonata per violino e pianoforte, “Non ti scordar di me” in varie versioni, e forse Ligeti, come in “Odissea nello spazio” di Kubrick. 5. L’anziano che si rivolge a Raz Degan e gli chiede di ripetergli “la storia di un figlio che ha voluto i soldi dal padre per andar via di casa”: e l’inizio della parabola evangelica del figliol prodigo diventa così di enorme attualità. L’inizio, le prime righe: e non la fine, che conosciamo tutti. E ‘ una grande finezza di Olmi. 6. Molte somiglianza anche con Isaac B. Singer, soprattutto la conclusione di “Il mago di Lublino”: se la gente viene da te, significa che tu sei un rabbi...Ma anche la storia di Siddharta, con il Po che diventa come il Gange. 7. La meditazione sulla riva del fiume, con le donne che prendono il sole, è interrotta dal motocross e dalla volgarità dei bagnanti: arroganza e volgarità a sfondo pesantemente sessuale. 8. L’antico e il moderno insieme, una parabola ben radicata nel presente, come forse mai in Olmi. 9. Oggi ci vuole un’autorizzazione anche solo per trovarsi in compagni di amici lungo il fiume (“terreno demaniale”), cosa mai vista prima. Lo fanno da quand’erano bambini, non c’è mai stato bisogno di permessi; ma questa è una generazione di burocrati. “La Natura si ribellerà” è il messaggio-profezia che ci affida Olmi tramite il volto da Cristo ispirato di Raz Degan; ed è già successo più volte, che i fiumi si siano ribellati alla nostra arroganza. 10. “Ci mandano via di qui per mandarci al cimitero!” “Ti fanno anche il funerale gratis, basta che muori!” E’ la risposta del messo comunale, che tiene a precisare di aver portato multe e sfratti solo per lavoro; e che comunque consegna ai vecchietti mantovani una multa di 27.600 euro per “occupazione abusiva di suolo demaniale”. 11. “Insegnare è un atto eversivo” dice Raz Degan al carabiniere che lo interroga (segue la battuta del bere un caffè con un amico) 12. “Dio non parla per mezzo dei libri. I libri accettano qualsiasi padrone. La sapienza del mondo è tutta una truffa.” dice Raz Degan al prete bibliotecario. 13. La carta dei libri e la carta della burocrazia, parole nei libri e parole di avvocati e di burocrati. 14. La storia dei libri distrutti rimanda in qualche modo al “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury e di Truffaut. Ricordo sempre, in questo caso, la reazione di un mio compagno di scuola, alle medie, quando il film di Truffaut fu proiettato in tv: lui era contento perchè finalmente si bruciavano i libri. Col tempo, avrei scoperto che a pensarla così erano in molti; e adesso questi molti sono ministri e governatori e sindaci. Penso che inchiodare i libri la considererebbero una fatica inutile, meglio un bel rogo, magari nell’inceneritore. 15. Questo soggetto lo avrebbe girato magnificamente Jean Renoir.
Ragionando in questo modo sul film, è finita che sono andato a cercarmi la data di nascita del grande regista bergamasco: Olmi è del ’31. Come accade con Giorgio Bocca nel giornalismo (classe 1920) e con altri amatissimi “vecchioni” dei nostri tempi, viene da chiedersi chi prenderà il testimone, chi di noi saprà essere così lucido e così pieno di buon senso; e viene da concludere il pensiero dicendo che non esiste più quasi nessuno di quella stoffa, la mia generazione è andata quasi tutta buca, da quel punto di vista, e anche nei trentenni e quarantenni non vedo niente di paragonabile a Olmi, a Bocca, e Enzo Biagi... Non resta che sperare nei giovanissimi: qualche segnale buono c’è, ma se si crede che basti svecchiare per migliorare (la politica e non solo film e giornali), c’è da rimanere sicuramente delusi. Il peggio, forse, deve ancora venire: ma finché abbiamo qui i nostri vecchi – quelli buoni, si badi bene - qualche speranza c’è.

2 commenti:

Ismaele ha detto...

nel '92 Olmi ha fatto un documentario sul Po,

http://www.film.tv.it/scheda.php/film/13994/lungo-il-fiume/

che avevo visto, e ho ancora, da Fuori Orario, e credo che il fiume sia un protagonista del film, come hai notato anche tu.

Giuliano ha detto...

Non ho visto tutti i film di Olmi, e me ne dispiace molto. Sto cercando di rimediare ma, se penso che sono più di vent'anni che non rivedo L'albero degli zoccoli...Dovrò darmi da fare(in compenso, l'altra sera sono cascato su "Il massacro di Fort Apache" !) (mi è sembrato di tornare bambino)
:-)