La casa (Namai, 1997). Regia di
Sharunas Bartas. Scritto da Sharunas Bartas e Ekaterina Golubeva.
Fotografia di Sharunas Bartas e Rimvydas Leipus. Musiche di
Interpreti: Francisco Nascimento, Oksana Cernych, Viktorija Nareiko,
Eugenia Sulgaite, Alex Descas, Léos Carax, Valeria Bruni Tedeschi,
Leonidas Zelcius, Egle Kukaite e molti altri. Durata: due ore.
"The house" di Sharunas
Bartas è un film unico, bello e disperato; io vi ho letto una
discesa agli inferi in cerca di Euridice ma si tratta solo delle mie
sensazioni, dei pensieri e delle associazioni che mi sono arrivate
durante la visione, e non è detto che sia davvero questa
l'intenzione dell'autore. Scrivo questo post, come gli altri sul
cinema di Bartas, camminando su un terreno incerto: è come
ripercorrere un sogno, lungo e profondo, e cercare di capire cosa
sono quelle immagini, di chi sono quei volti, da dove vengono questi
ricordi e queste visioni. Porto qui i miei appunti personali (in
questo caso, personalissimi), chiedo scusa a Sharunas Bartas se mai
passerà di qui, e consiglio a tutti la visione del film: che non è
quasi parlato e non ha un filo narrativo, ma la narrazione nasce
comunque, e le parole sono quelle che vi arriveranno dall'anima.
Si nomina spesso Andrej Tarkovskij,
soprattutto per il cinema dell'est Europa, e quasi sempre si sbaglia;
io direi che sicuramente Bartas conosce Tarkovskij, e si vede, ma non
è il primo nome che mi è venuto in mente guardando "The
house". Il primo pensiero è per la grande pittura, per Vermeer,
per la luce e per i dettagli; poi Ingmar Bergman per i volti e i
primi piani, e Stanley Kubrick ancora per la luce e per gli ambienti,
oltre che per la perfezione tecnica. C'è qualcosa del polacco Zbig,
per le persone e le stanze che si susseguono, e del primo Werner
Herzog quando gli attori paiono recitare in ipnosi, come in "Herz
aus Glass". C'è soprattutto il teatro di Tadeusz Kantor, un
percorso nel ricordo con un'eco potentissima nel finale; è il
riferimento giusto, ma Kantor non è più con noi da tanti anni e
l'esperienza del suo teatro purtroppo non si può più ripetere né
raccontare. Aggiungerei i libri di Elemire Zolla, le aure, l'arte e
il suo rapporto con la natura, e Dante, sempre una discesa
nell'Inferno, o nel Purgatorio, chiamato in causa anche da un libro
su cui ci si sofferma a lungo). Di Tarkovskij, da Tarkovskij, c'è di
sicuro Johann Sebastian Bach: "Erbarme dich, mein Gott"
(abbi pietà di me, Signore) dalla Passione secondo san Matteo, è il
vero motivo conduttore di "La casa". Del mito di Orfeo,
per chi non se lo ricordasse, ho già accennato qui; per gli
appassionati di disegno posso anche consigliare l'Orfeo di Dino
Buzzati (il titolo del libro di Buzzati è "Poema a fumetti"),
che ha molti tratti in comune con "La casa" di Sharunas
Bartas. A tratti il film è vagamente surrealista, ma anche
espressionista; ci sono forse citazioni da Man Ray, da Murnau, da
Eisenstein, nei primi piani: ma questo è normale in un autore che
abbia conoscenza della storia del cinema.
"La casa" sembra spesso la
ricostruzione di un sogno, un uomo che vaga fra le ombre. Pensando ai
miei sogni personali, e a questo vagare in ambienti reali ma non
riconoscibili, mi capita sempre più spesso di ricordare le teorie
sulla relazione fra i sogni e lo stato degli organi interni, ed è
possibile che qualcosa di simile sia davvero presente in questo film
di Bartas. Bisognerebbe anche tener conto dell’alternanza fra
giorno e notte, la luce che viene dall’esterno ci fa capire l’ora.
Proseguendo nel mio parallelo con il mito di Orfeo ed Euridice, forse
Valeria Bruni Tedeschi è una Proserpina, che ricorda con gli amori
umani rievocandoli con burattini, e Alex Descas, che gioca a scacchi
potrebbe essere Plutone, re degli Inferi. Proserpina è in parte
appartenente al mondo terrestre; rapita da Plutone, le è concesso di
tornare per alcuni periodi sulla terra; è il mito della primavera,
della rinascita del mondo dopo il gelo invernale.
"The house" dura due ore,
inizia con "Erbarme dich" (J.S.Bach, Passione secondo san
Matteo) e con la stessa musica (eseguita solo dal violoncello), si
chiude; c'è molta musica, ben riconoscibile la "Canzone di
Solveig" di Edvard Grieg, dalle musiche di scena per il "Peer
Gynt" di Ibsen.
Nel libro di cui vengono strappate
delle pagine (nel finale alcune saranno bruciate e altre messe da
parte, ma non vediamo quali) c'è un disegno del Conte Ugolino, sul
quale l'immagine si ferma a lungo: forse la Casa è proprio l'Inferno
dantesco, è una discesa nell'Ade? (di Orfeo?) e i nudi presenti nel
film vanno visti come in Doré e nelle illustrazioni dell'aldilà,
come in Luca Signorelli: le anime del Purgatorio forse. C'è una
cagna che allatta e che poi sale a mangiare gli avanzi sul tavolo del
banchetto (non è quindi Cerbero). Valeria Bruni Tedeschi fa recitare
a due burattini una storia d'amore triste, schiaffi compresi. Ci sono
molti handicappati, una donna con il volto sfigurato (ustioni?), due
anziani sordi che dialogano fra di loro, altro ancora. Non solo volti
e corpi belli, dunque; ci sono anche bambini, come sempre in Bartas.
Un fucile alla fine sparerà e ucciderà, ma noi non vediamo chi
spara; e carri armati marciano sulla casa.
E' un film silenzioso, oltre a un
dialogo fra sordomuti nel linguaggio dei segni quasi non c'è
parlato; c'è la musica e ci sono i suoni d'ambiente, e la voce umana
si ascolta solo all'inizio e alla fine:
« Madre. Madre, spesso avrei
voluto parlare con te di tutto, ma non l’ho mai fatto. Ma dentro di
me, io parlavo con te. Potevo sentirlo, e sentire le tue risposte. Ma
ogni volta che vengo qui ad ascoltarti, non posso più parlare con
te. Rimango in silenzio. Tutte le parole sono state dette. Dette
internamente. E tutte le mie domande, tu hai risposto ad esse, dentro
di me. Prima è sempre accaduto questo. Quando eravamo distanti.
Distanti l’uno dall’altra. Ecco com’era prima. Come è stato, e
mai più potrà accadere. Non importa quanto io lo voglia. Il futuro.
Nel futuro io sono libero. Libero, perché ancora non esiste. Non
comprendo il presente. Il presente è così sfuggente che non sono
certo che esista. » (all'inizio, voce fuori campo)
« Madre. Il tempo è passato. E
sono distante da te. Ciò che è importante, Madre, per me, è
credere che queste cose non svaniranno. Le nostre canzoni, i nostri
sguardi, i nostri minuti, noi due. Per noi non sono altro che anime
morte. Anime malate, sfinite, semplicemente questo. E soprattutto,
quasi prive di speranza. Ma non stiamo per sparire. Se solo potessi
dirti quanto io fortemente creda in tutto questo, Madre.» (il
finale, voce fuori campo)
1- continua
5 commenti:
un bel film pieno di domande, per me.
è di sicuro cinema di serie A
https://markx7.blogspot.com/2015/07/a-casa-namai-sharunas-bartas.html
il film completo con i sottotitoli in inglese
https://www.youtube.com/watch?v=xCeqSsK6ncE
sì, Bartas è uno dei pochi veramente grandi, all'altezza dei più grandi
difficilissimo scriverne qualcosa, forse era meglio evitare ma ho pensato che magari qualcuno che passa di qui potrebbe non averlo mai neppure sentito nominare
avevo visto Freedom
https://markx7.blogspot.com/2012/09/freedom-sharunas-bartas.html
fai bene a parlarne, per chi non sa e per chi, a volte, si dimentica,
adesso cerco qualcos'altro di suo
ho in programma altri post sui film di Bartas, ma come ti dicevo sono molto impegnativi
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