A 1:00 vediamo in una stanza una
ragazza giovanissima col volto coperto di gesso, o di trucco molto
spesso: Euridice? Il trucco pesante dà al suo volto l’aspetto di
un cretto, o di un terreno arido; ma le labbra sono rosse. E’
bianchissima, ed è vestita di bianco; dalla finestra entra una luce azzurra. Aridità, morte, terreno non
fecondo. Orfeo le tocca il volto. Un uomo dalla pelle nera
(Plutone?), da dietro uno stipite lo osserva con volto stupefatto e
severo, quasi spaventato; come se Orfeo stesse facendo qualcosa di
pericoloso, di vietato, di contrario a tutte le leggi. Lentamente,
Orfeo le rimuove il gesso dal volto (la biacca), rivelando il volto
roseo. Plutone si ritira lentamente. La ragazza apre gli occhi. (dai miei appunti su "La casa"
di Sharunas Bartas)
E' da molto tempo che volevo scrivere
su Sharunas Bartas, mettere in ordine i miei appunti, fermare qualche
immagine. Ma parlare di Sharunas Bartas è quasi impossibile,
qualsiasi cosa io scriva non sarà mai quello che ho visto, ma solo
la trascrizione dei pensieri che sono affiorati alla mia coscienza
guardando il film. Io ho scritto che in "La casa" c'è un
Orfeo e c'è un'Euridice, ci sono Plutone e Proserpina, ma è davvero
questa l'idea che voleva rappresentare Bartas?
Davanti ad alcune sequenze dei film di
Sharunas Bartas, il pensiero corre immediatamente a Tarkovskij; e
viene da dire che Bartas è forse l'unico ad essere riuscito a
ripetere quelle meraviglie, quei miracoli. Ma poi Bartas non è
Tarkovskij, è un'altra cosa ancora. A tratti fa pensare a Béla Tarr
(ungherese, nato nel 1955) ma anche Béla Tarr è un'altra cosa. Il
nome giusto da evocare, pensando a Sharunas Bartas, è probabilmente
quello di Tadeusz Kantor: ma Kantor lavorava solo in teatro, e il
teatro è qualcosa di effimero, non si può spiegare né portare ad
esempio. Esistono filmati del teatro di Kantor, ma chi è stato a
teatro sa che i grandi spettacoli esistono solo nell'attimo in cui
vengono rappresentati, e non si possono raccontare. Le registrazioni
filmate sono sempre benvenute, ma come spiegare quello che succedeva
durante gli spettacoli di Tadeusz Kantor? L'evocazione di un ricordo,
o di molti ricordi, volti, corpi, musiche, canzoni, luci, ambienti,
sensazioni: è questo che affascina nei film di Sharunas Bartas, ed è
questo il ricordo che mi porto dentro di Tadeusz Kantor.
Nella vita reale di Bartas c'è la collaborazione con Eimuntas Nekrosius, un altro regista di teatro, anche lui lituano, che appare in alcuni suoi film; forse da Nekrosius arriva un'eco di Kantor.
Nella vita reale di Bartas c'è la collaborazione con Eimuntas Nekrosius, un altro regista di teatro, anche lui lituano, che appare in alcuni suoi film; forse da Nekrosius arriva un'eco di Kantor.
Sharunas Bartas è lituano, nato nel
1964. I suoi film:
1986 - Tofolaria (cortometraggio)
1990 - Praejusios dienos atminimui (In memoria dei giorni passati)
1991- Trys dienos
1995 - Koridorius
1996 - Few of us (Lontano da Dio e dagli uomini)
1997 - Namai (La casa)
2000 - Freedom
2004 - Visions of Europe (l'episodio "Children lose nothing")
2005 - Septyni nematomi zmones (Sette uomini invisibili)
2010 - Indigène d'Eurasie
2015 - Peace to us in our dreams
2017 - Frost
2019 - Dusk (al crepuscolo)
Paolo Mereghetti su Sharunas Bartas:
... Bartas è venuto a cercare il
segreto del cinema, o almeno di certo cinema, quello che non vuole
seguire il mainstream di Hollywood o di Cinecittà. Fin dalle
primissime inquadrature (una pianura attraversata da un treno che non
si sa dove vada, un fiume scavalcato da una strada che non si sa dove
porti) lo spettatore è messo davanti ai "misteri" che
dovrà affrontare lungo tutti i 105 minuti del film: il senso del
film non è depositato dall'alto (da una battuta, da un dialogo,
dalla sceneggiatura) ma va cercato scena dopo scena dentro quello che
si vede sullo schermo. Obbliga lo spettatore a non essere passivo e
accettare così quello che gli si vuole far credere, ma piuttosto lo
sprona a confrontarsi con quello che passa sullo schermo,
obbligandolo ad avere un rapporto attivo con il materiale del film.
Cosa sta cercando di farci vedere il regista? Cosa può davvero
mostrarci di quel mondo? E' l'occhio dello spettatore che deve
cercare negli angoli, nelle pieghe, nelle zone scure, ritrovando la
capacità di guardare, di osservare, di capire. Non ci arrivano
notizie da questo viaggio ai limiti del mondo, alla fine del film non
ne sapremo certo di più sugli usi dei tofolar, ci saremo solo
confrontati con delle immagini insolite e avremo imparato che il
cinema non è solo effetti speciali e attori di grido. E' anche
qualcosa d'altro: in questo caso è la possibilità di esplorare più
a fondo e più intensamente le nostre stesse capacità sensoriali, a
cominciare dalla vista e dall'udito. Per accorgerci che la realtà è
spesso "incomprensibile" (...) ma che non dobbiamo mai
smettere di interrogarla né di sforzarci di aprire sempre meglio gli
occhi. Sensoriale.
Corriere della Sera-7, novembre 1996, recensione di
Paolo Mereghetti a "Lontano da Dio e dagli uomini" di
Sharunas Bartas.
(Nota: i Tofolar sono nomadi di origine
mongola che abitano in Siberia, protagonisti del primo film di
Sharunas Bartas. Nell'articolo, Mereghetti paragona i film di Bartas a quelli di Franco
Piavoli).
(fermo immagine da Few of us, La casa, Koridorius)
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