domenica 14 giugno 2020

Sharunas Bartas


A 1:00 vediamo in una stanza una ragazza giovanissima col volto coperto di gesso, o di trucco molto spesso: Euridice? Il trucco pesante dà al suo volto l’aspetto di un cretto, o di un terreno arido; ma le labbra sono rosse. E’ bianchissima, ed è vestita di bianco; dalla finestra entra una luce azzurra. Aridità, morte, terreno non fecondo. Orfeo le tocca il volto. Un uomo dalla pelle nera (Plutone?), da dietro uno stipite lo osserva con volto stupefatto e severo, quasi spaventato; come se Orfeo stesse facendo qualcosa di pericoloso, di vietato, di contrario a tutte le leggi. Lentamente, Orfeo le rimuove il gesso dal volto (la biacca), rivelando il volto roseo. Plutone si ritira lentamente. La ragazza apre gli occhi.  (dai miei appunti su "La casa" di Sharunas Bartas)
 
E' da molto tempo che volevo scrivere su Sharunas Bartas, mettere in ordine i miei appunti, fermare qualche immagine. Ma parlare di Sharunas Bartas è quasi impossibile, qualsiasi cosa io scriva non sarà mai quello che ho visto, ma solo la trascrizione dei pensieri che sono affiorati alla mia coscienza guardando il film. Io ho scritto che in "La casa" c'è un Orfeo e c'è un'Euridice, ci sono Plutone e Proserpina, ma è davvero questa l'idea che voleva rappresentare Bartas?

 
Davanti ad alcune sequenze dei film di Sharunas Bartas, il pensiero corre immediatamente a Tarkovskij; e viene da dire che Bartas è forse l'unico ad essere riuscito a ripetere quelle meraviglie, quei miracoli. Ma poi Bartas non è Tarkovskij, è un'altra cosa ancora. A tratti fa pensare a Béla Tarr (ungherese, nato nel 1955) ma anche Béla Tarr è un'altra cosa. Il nome giusto da evocare, pensando a Sharunas Bartas, è probabilmente quello di Tadeusz Kantor: ma Kantor lavorava solo in teatro, e il teatro è qualcosa di effimero, non si può spiegare né portare ad esempio. Esistono filmati del teatro di Kantor, ma chi è stato a teatro sa che i grandi spettacoli esistono solo nell'attimo in cui vengono rappresentati, e non si possono raccontare. Le registrazioni filmate sono sempre benvenute, ma come spiegare quello che succedeva durante gli spettacoli di Tadeusz Kantor? L'evocazione di un ricordo, o di molti ricordi, volti, corpi, musiche, canzoni, luci, ambienti, sensazioni: è questo che affascina nei film di Sharunas Bartas, ed è questo il ricordo che mi porto dentro di Tadeusz Kantor.
Nella vita reale di Bartas c'è la collaborazione con Eimuntas Nekrosius, un altro regista di teatro, anche lui lituano, che appare in alcuni suoi film; forse da Nekrosius arriva un'eco di Kantor.
 
 
Sharunas Bartas è lituano, nato nel 1964. I suoi film:
1986 - Tofolaria (cortometraggio)
1990 - Praejusios dienos atminimui  (In memoria dei giorni passati)
1991- Trys dienos
1995 - Koridorius
1996 - Few of us  (Lontano da Dio e dagli uomini)
1997 - Namai (La casa)
2000 - Freedom
2004 - Visions of Europe (l'episodio "Children lose nothing")
2005 - Septyni nematomi zmones (Sette uomini invisibili)
2010 - Indigène d'Eurasie
2015 - Peace to us in our dreams
2017 - Frost
2019 - Dusk (al crepuscolo)


 
Paolo Mereghetti su Sharunas Bartas:
... Bartas è venuto a cercare il segreto del cinema, o almeno di certo cinema, quello che non vuole seguire il mainstream di Hollywood o di Cinecittà. Fin dalle primissime inquadrature (una pianura attraversata da un treno che non si sa dove vada, un fiume scavalcato da una strada che non si sa dove porti) lo spettatore è messo davanti ai "misteri" che dovrà affrontare lungo tutti i 105 minuti del film: il senso del film non è depositato dall'alto (da una battuta, da un dialogo, dalla sceneggiatura) ma va cercato scena dopo scena dentro quello che si vede sullo schermo. Obbliga lo spettatore a non essere passivo e accettare così quello che gli si vuole far credere, ma piuttosto lo sprona a confrontarsi con quello che passa sullo schermo, obbligandolo ad avere un rapporto attivo con il materiale del film. Cosa sta cercando di farci vedere il regista? Cosa può davvero mostrarci di quel mondo? E' l'occhio dello spettatore che deve cercare negli angoli, nelle pieghe, nelle zone scure, ritrovando la capacità di guardare, di osservare, di capire. Non ci arrivano notizie da questo viaggio ai limiti del mondo, alla fine del film non ne sapremo certo di più sugli usi dei tofolar, ci saremo solo confrontati con delle immagini insolite e avremo imparato che il cinema non è solo effetti speciali e attori di grido. E' anche qualcosa d'altro: in questo caso è la possibilità di esplorare più a fondo e più intensamente le nostre stesse capacità sensoriali, a cominciare dalla vista e dall'udito. Per accorgerci che la realtà è spesso "incomprensibile" (...) ma che non dobbiamo mai smettere di interrogarla né di sforzarci di aprire sempre meglio gli occhi. Sensoriale.
Corriere della Sera-7, novembre 1996, recensione di Paolo Mereghetti a "Lontano da Dio e dagli uomini" di Sharunas Bartas.
(Nota: i Tofolar sono nomadi di origine mongola che abitano in Siberia, protagonisti del primo film di Sharunas Bartas. Nell'articolo, Mereghetti paragona i film di Bartas a quelli di Franco Piavoli).



 
 
(fermo immagine da Few of us, La casa, Koridorius)
 

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