Porte aperte (1990) Regia di Gianni
Amelio. Tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia. Sceneggiatura di
Gianni Amelio, Vincenzo Cerami, Alessandro Sermoneta. Fotografia di
Tonino Nardi. Musica di Franco Piersanti. Interpreti: Gianmaria
Volonté, Ennio Fantastichini, Renzo Giovampietro, Renato
Carpentieri, Lydia Alfonsi, Paolo Volpicelli, Giacomo Piperno, Tuccio
Musumeci, Leopoldo Trieste, Vitalba Andrea, Vittorio Zarfati, Tony
Palazzo, Durata 1h48'
Siamo a Palermo nel 1937, e la città
viene scossa da un terribile fatto di sangue: un uomo, benestante e
apparentemente tranquillo, uccide tre persone; due con una baionetta,
la terza (sua moglie) con un colpo di pistola. Lo vediamo all'inizio
del film, che inizia proprio con la sequenza di un arrotino che
affila la baionetta, con il futuro omicida che lo guarda con calma
mentre finisce l'opera. Arrestato e portato a processo, l'assassino
non fa proprio niente per provare almeno ad alleggerire la sua
situazione; anzi, la peggiora ad ogni momento con dichiarazioni e con
atteggiamento strafottente. A questo punto la pena di morte appare
inevitabile, il triplice delitto ha avuto una vasta risonanza e tutta
l'opinione pubblica vuole che il colpevole, "il mostro di
Palermo", sia tolto di mezzo il prima possibile. Ma il giudice a
latere, Di Francesco (lo interpreta Gianmaria Volonté) vede qualcosa
che non torna, in quella strage, e vuole andare fino in fondo. La
vicenda, infatti, non è così chiara come era sembrata all'inizio; e
nel corso del film verremo a scoprire tutta la verità.
Il film è tratto da un romanzo di
Leonardo Sciascia, che (come poi farà Andrea Camilleri) era solito
andare a cercare negli archivi, della sua memoria o dei tribunali,
fatti ormai dimenticati: si tratta infatti di una storia vera, sono
solo stati cambiati i nomi dei protagonisti. L'argomento vero, il
centro di interesse della vicenda, è però la pena di morte.
La pena di morte fu abolita nel 1889 in
tutta Italia; il fascismo la ripristinò nel 1926 e fu nuovamente
abolita nel 1947; rimase però nel codice penale militare, fino al
1994. Al tempo in cui è ambientato "Porte aperte" la pena
di morte era ancora una cosa nuova, esisteva da poco più di dieci
anni; era stata reintrodotta nell'ambito delle "leggi
fascistissime", e se ne lodava la capacità deterrente. Ancora
oggi c'è chi ne parla in questo modo, a dispetto anche dell'evidenza
e dei dati di fatto; d'istinto, davanti a fatti di sangue anche più
gravi di quelli che vediamo nel film, è più che normale desiderare
di togliere di torno per sempre chi si è macchiato di questi
crimini; ma credere che la pena di morte sia un deterrente è
quantomeno ingenuo. Basterà vedere il comportamento dell'imputato in
"Porte aperte" per rendersene conto, ben consapevole fin
dall'inizio della sorte a cui andava incontro.
Centrale, nella narrazione, è
"L'idiota" di Dostoevskij: il capitolo V della prima parte,
verso la fine del capitolo, quando il protagonista principe Myskin
racconta di aver assistito a un'esecuzione capitale (una
decapitazione, a Lione): è questo il libro che viene fatto
recapitare al giudice Di Francesco (Volonté) in una delle sequenze
più inquietanti del film.
"Porte aperte" è un
thriller, e quindi non è giusto raccontare nel dettaglio cosa vi
succede; è uno dei migliori nella sua categoria, un "legal
thriller" perfetto, paragonabile ad "Anatomia di un
omicidio" di Otto Preminger o a "La parola ai giurati"
di Sydney Lumet. La sceneggiatura rasenta la perfezione, gli attori
sono formidabili, la regia di Gianni Amelio ha finezze riservate ai
più grandi. Le interpretazioni di Volonté e di Ennio Fantastichini
parlano da sole; quanto ad Amelio basterà guardare la sequenza in
cui Volonté porta sua figlia sul lungomare, che termina con una
suspence alla Hitchcock quando si sveglia e non trova più la
bambina. E' solo un attimo, ma è da grande cinema tutta la sequenza,
i ragazzini in mare, la bambina che lo tocca con un dito vicino
all'occhio il polpo già morto che le hanno gettato contro, portano
in superficie il clima di tensione che è sottotraccia per tutto il
film. I due giudici, e alcuni dei giurati, sono infatti antifascisti:
antifascisti, ma sottotraccia; un antifascismo rilevabile quasi
soltanto dall'estrema riservatezza - che infatti era considerata
sospetta da chi voleva un'adesione totale e spontanea alla dittatura.
Altri momenti da evidenziare: il
bambino, figlio dell'assassino, portato in un posto che si direbbe un
manicomio, in mezzo a persone anziane e abbandonato a se stesso;
l'incontro al cimitero dei due vedovi, padre e figlio, e la
successiva sequenza "della cassata" in casa Di Francesco;
la maestra anziana, e la marchesa; e tanto altro ancora, tutto il
film è un modello da mostrare alle scuole di regia. Magistrale è
anche il modo in cui viene data la notizia della sentenza a Scalia,
sottovoce, al di là di un muro.
Gli attori: Gianmaria Volonté è in
una delle sue prove più grandi, Renzo Giovampietro è il giudice
Sanna, Paolo Volpicelli è il padre di Volonté, Ennio Fantastichini
è Scalia (una prova d'attore che fece grande impressione), Renato
Carpentieri è l'agricoltore e giurato Consolo, Giacomo Piperno è il
Pubblico Ministero, Tony Palazzo è l'autista di Spadafora
(fondamentale al processo, come testimone), Tuccio Musumeci è
l'avvocato Spadafora, Silverio Blasi è il procuratore, Vittorio
Zarfati il cancelliere, Vitalba Andrea la moglie di Scalia, Lydia
Alfonsi è la marchesa. Assomiglia molto a Leopoldo Trieste,
soprattutto per la voce, Antonio Speciale (seconda vittima di
Scalia), ma non ho trovato il nome dell'attore; mancano anche i nomi
dei bambini, la figlia di Volonté e il bambino figlio di Scalia, e
di questo mi dispiace molto.
Alla mia prima visione del film, nel
1992, mi ero segnato questa breve nota:
Un capolavoro, da Sciascia; un film
contro la pena di morte che è di grande attualità, oggi che si
torna a sentire "ci vuole l'uomo forte". "I cittadini
vogliono poter dormire con le porte aperte", dice il gerarca
fascista; "Io la mia la tengo sempre chiusa a chiave"
risponde il giudice Di Francesco. C'è un ruolo importante per
Dostoevskij o meglio per "L'idiota", il discorso
sull'esecuzione capitale. Attori di altissimo livello: il solito
grande Volonté, poi Fantastichini, Giovampietro, Carpentieri, Lydia
Alfonsi. Molto belle le musiche di Franco Piersanti.
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