mercoledì 11 marzo 2020

Porte aperte


Porte aperte (1990) Regia di Gianni Amelio. Tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia. Sceneggiatura di Gianni Amelio, Vincenzo Cerami, Alessandro Sermoneta. Fotografia di Tonino Nardi. Musica di Franco Piersanti. Interpreti: Gianmaria Volonté, Ennio Fantastichini, Renzo Giovampietro, Renato Carpentieri, Lydia Alfonsi, Paolo Volpicelli, Giacomo Piperno, Tuccio Musumeci, Leopoldo Trieste, Vitalba Andrea, Vittorio Zarfati, Tony Palazzo, Durata 1h48'

Siamo a Palermo nel 1937, e la città viene scossa da un terribile fatto di sangue: un uomo, benestante e apparentemente tranquillo, uccide tre persone; due con una baionetta, la terza (sua moglie) con un colpo di pistola. Lo vediamo all'inizio del film, che inizia proprio con la sequenza di un arrotino che affila la baionetta, con il futuro omicida che lo guarda con calma mentre finisce l'opera. Arrestato e portato a processo, l'assassino non fa proprio niente per provare almeno ad alleggerire la sua situazione; anzi, la peggiora ad ogni momento con dichiarazioni e con atteggiamento strafottente. A questo punto la pena di morte appare inevitabile, il triplice delitto ha avuto una vasta risonanza e tutta l'opinione pubblica vuole che il colpevole, "il mostro di Palermo", sia tolto di mezzo il prima possibile. Ma il giudice a latere, Di Francesco (lo interpreta Gianmaria Volonté) vede qualcosa che non torna, in quella strage, e vuole andare fino in fondo. La vicenda, infatti, non è così chiara come era sembrata all'inizio; e nel corso del film verremo a scoprire tutta la verità.
 


Il film è tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia, che (come poi farà Andrea Camilleri) era solito andare a cercare negli archivi, della sua memoria o dei tribunali, fatti ormai dimenticati: si tratta infatti di una storia vera, sono solo stati cambiati i nomi dei protagonisti. L'argomento vero, il centro di interesse della vicenda, è però la pena di morte.
La pena di morte fu abolita nel 1889 in tutta Italia; il fascismo la ripristinò nel 1926 e fu nuovamente abolita nel 1947; rimase però nel codice penale militare, fino al 1994. Al tempo in cui è ambientato "Porte aperte" la pena di morte era ancora una cosa nuova, esisteva da poco più di dieci anni; era stata reintrodotta nell'ambito delle "leggi fascistissime", e se ne lodava la capacità deterrente. Ancora oggi c'è chi ne parla in questo modo, a dispetto anche dell'evidenza e dei dati di fatto; d'istinto, davanti a fatti di sangue anche più gravi di quelli che vediamo nel film, è più che normale desiderare di togliere di torno per sempre chi si è macchiato di questi crimini; ma credere che la pena di morte sia un deterrente è quantomeno ingenuo. Basterà vedere il comportamento dell'imputato in "Porte aperte" per rendersene conto, ben consapevole fin dall'inizio della sorte a cui andava incontro.
Centrale, nella narrazione, è "L'idiota" di Dostoevskij: il capitolo V della prima parte, verso la fine del capitolo, quando il protagonista principe Myskin racconta di aver assistito a un'esecuzione capitale (una decapitazione, a Lione): è questo il libro che viene fatto recapitare al giudice Di Francesco (Volonté) in una delle sequenze più inquietanti del film.



"Porte aperte" è un thriller, e quindi non è giusto raccontare nel dettaglio cosa vi succede; è uno dei migliori nella sua categoria, un "legal thriller" perfetto, paragonabile ad "Anatomia di un omicidio" di Otto Preminger o a "La parola ai giurati" di Sydney Lumet. La sceneggiatura rasenta la perfezione, gli attori sono formidabili, la regia di Gianni Amelio ha finezze riservate ai più grandi. Le interpretazioni di Volonté e di Ennio Fantastichini parlano da sole; quanto ad Amelio basterà guardare la sequenza in cui Volonté porta sua figlia sul lungomare, che termina con una suspence alla Hitchcock quando si sveglia e non trova più la bambina. E' solo un attimo, ma è da grande cinema tutta la sequenza, i ragazzini in mare, la bambina che lo tocca con un dito vicino all'occhio il polpo già morto che le hanno gettato contro, portano in superficie il clima di tensione che è sottotraccia per tutto il film. I due giudici, e alcuni dei giurati, sono infatti antifascisti: antifascisti, ma sottotraccia; un antifascismo rilevabile quasi soltanto dall'estrema riservatezza - che infatti era considerata sospetta da chi voleva un'adesione totale e spontanea alla dittatura.
 

Altri momenti da evidenziare: il bambino, figlio dell'assassino, portato in un posto che si direbbe un manicomio, in mezzo a persone anziane e abbandonato a se stesso; l'incontro al cimitero dei due vedovi, padre e figlio, e la successiva sequenza "della cassata" in casa Di Francesco; la maestra anziana, e la marchesa; e tanto altro ancora, tutto il film è un modello da mostrare alle scuole di regia. Magistrale è anche il modo in cui viene data la notizia della sentenza a Scalia, sottovoce, al di là di un muro.

Gli attori: Gianmaria Volonté è in una delle sue prove più grandi, Renzo Giovampietro è il giudice Sanna, Paolo Volpicelli è il padre di Volonté, Ennio Fantastichini è Scalia (una prova d'attore che fece grande impressione), Renato Carpentieri è l'agricoltore e giurato Consolo, Giacomo Piperno è il Pubblico Ministero, Tony Palazzo è l'autista di Spadafora (fondamentale al processo, come testimone), Tuccio Musumeci è l'avvocato Spadafora, Silverio Blasi è il procuratore, Vittorio Zarfati il cancelliere, Vitalba Andrea la moglie di Scalia, Lydia Alfonsi è la marchesa. Assomiglia molto a Leopoldo Trieste, soprattutto per la voce, Antonio Speciale (seconda vittima di Scalia), ma non ho trovato il nome dell'attore; mancano anche i nomi dei bambini, la figlia di Volonté e il bambino figlio di Scalia, e di questo mi dispiace molto.
 

Alla mia prima visione del film, nel 1992, mi ero segnato questa breve nota:
Un capolavoro, da Sciascia; un film contro la pena di morte che è di grande attualità, oggi che si torna a sentire "ci vuole l'uomo forte". "I cittadini vogliono poter dormire con le porte aperte", dice il gerarca fascista; "Io la mia la tengo sempre chiusa a chiave" risponde il giudice Di Francesco. C'è un ruolo importante per Dostoevskij o meglio per "L'idiota", il discorso sull'esecuzione capitale. Attori di altissimo livello: il solito grande Volonté, poi Fantastichini, Giovampietro, Carpentieri, Lydia Alfonsi. Molto belle le musiche di Franco Piersanti.



 



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