martedì 3 marzo 2020

La città del sole ( I )


La città del sole (1973) Regia di Gianni Amelio. Tratto dal libro di Tommaso Campanella. Sceneggiatura di Gianni Amelio e Domenico Rafele. Fotografia di Tonino Nardi. Musiche di Remigio Ducros. Interpreti: Giulio Brogi (il monaco), Daniel Sherrill (il ragazzo), Umberto Spadaro (il padre), Bedy Moratti (la donna), Riccardo Mangano (il vescovo), Ernesto Colli e Giancarlo Palermo (gli inquisitori), e altri non menzionati. Durata: 1h20'

1.
"La città del sole" di Gianni Amelio è un film di grande fascino, sia per le immagini che per l'argomento trattato; non è propriamente una biografia di Tommaso Campanella ma un percorso dentro le sue opere e la sua vita. Il protagonista, Giulio Brogi, è infatti indicato nei titoli di coda come "un monaco": in alcune scene è evidentemente Campanella, in altre si parla di Campanella come di una persona che ha conosciuto.
Non è un film facile, anche se si fa seguire fino in fondo per la bellezza delle immagini e per la suggestione dell'argomento; per capire meglio alcune sequenze ho provato a mettere qui qualche mio appunto, tutt'altro che un lavoro compiuto data la difficoltà dell'argomento. Il libro a cui mi sono più appoggiato per queste note è l'edizione Oscar Mondadori del 1991 di "La città del sole", a cura di Franco Mollia, che contiene un'esauriente biografia e altri scritti e lettere.
 

Per cominciare è necessario fissare qualche data: Giordano Bruno nasce nel 1548 e muore nel 1600, sul rogo; Tommaso Campanella nasce nel 1568 e morirà nel 1639, liberato dopo lunghissimi anni in carcere in orribili condizioni, fingendosi pazzo per non abiurare o forse essendolo veramente in alcuni periodi della sua vita, a causa delle condizioni in cui veniva mantenuto. Galileo Galilei nasce nel 1564 e muore nel 1642; fu in contatto sia con Bruno che con Campanella (le lettere di Galileo con Campanella sono datate 1632) e la sorte degli altri due ha certamente influito sulla sua scelta di abiurare teorie e osservazioni più che dimostrate. Tutti e tre conoscevano i testi alchemici ed ermetici, e praticarono l'astrologia: oggi si può anche scherzare su queste cose, ma siamo ancora in epoca prescientifica e studiare testi "oscuri" era necessario per arrivare a intuire qualcosa oltre quello che veniva insegnato all'epoca, e che risaleva ancora ad Aristotele o a Plinio. Aristotele merita grande rispetto come filosofo, ma le sue osservazioni scientifiche erano in gran parte sbagliate, per esempio riguardo all'anatomia umana, e Plinio nei suoi libri inserisce informazioni scientifiche esatte, come per l'eruzione di Pompei, e altre raccolte altrove senza una verifica della loro esattezza. Di fatto, l'osservazione precisa e costante della realtà del mondo e la sua descrizione cominciano con Galileo; se i testi di Bruno e di Campanella sono ancora oscuri e basati soprattutto sull'intuizione, il "Sidereus nuncius" contiene invece osservazioni precise e chiarissime che serviranno di base a tutti gli studiosi delle epoche successive. La vera e propria scienza moderna comincerà solo nel '700, con l'Illuminismo e con l'Encyclopedie; e basterà pensare a cos'era la medicina ancora agli inizi dell'Ottocento, basata su purghe e salassi e cure a base di mercurio e altri composti tossici, per capire di cosa si sta parlando.
 

Tommaso Campanella scrisse "La città del sole" nel 1592, in carcere; si tratta di un'utopia, un mondo ideale descritto nel colloquio fra due personaggi, uno dei quali pone domande e l'altro, un navigatore genovese "nochiero de Colombo" fa il racconto vero e proprio. Campanella era un monaco domenicano, come Giordano Bruno e come molti dei suoi inquisitori; nato in Calabria, a Stilo, con il nome di Giovanni Domenico, scelse poi da frate il nome Tommaso, in omaggio a san Tommaso d'Aquino. "La città del sole" riprende temi da Platone (La Repubblica) e da "L'Utopia" di Tommaso Moro, pubblicata nel 1516.

 
Il film inizia con la descrizione della città e di come ci si arriva; un monaco domenicano (Giulio Brogi) si incammina lungo un percorso abitato, in salita, e trova in una grotta una giovane donna, forse una profetessa, che gli parla in un linguaggio a noi non comprensibile; la donna (interpretata da Bedy Moratti) è lì rinchiusa per un motivo che non è spiegato, forse rinchiusa come era Campanella nelle prigioni, da eretico pericoloso. La donna dà al monaco una pietra con un disegno non decifrabile, come se lo avesse riconosciuto e fosse lì ad aspettarlo. Nella grotta entrano poi altre donne, forse monache che inveiscono contro il monaco in un dialetto meridionale, e lo cacciano via chiamandolo nemico di Dio e satana. Sono riconoscibili i Sassi di Matera, anche se la sequenza iniziale, con il percorso in salita, fa pensare piuttosto alla Grecia e a un posto come il monte Athos. Non ho trovato indicazioni precise sui luoghi del film, ed è un peccato, ma si direbbe che tutte queste scene siano state girate a Matera e nei dintorni: per chi fosse interessato si può provare una ricerca sulle chiese rupestri di quella zona, come la Madonna dell'Idris, San Nicola dei Greci, e tante altre ancora. Sono gli stessi luoghi in cui Pasolini girò il "Vangelo secondo Matteo", non molti anni prima.

"Atma, atma" dice la donna, e io non so capire cosa dice; potrebbe essere il sanscrito atman (essenza vitale, più o meno), all'origine anche del tedesco atem (fiato, respiro) e presente anche nel greco, ma non essendo in grado di capire mi fermo subito. Se fosse sanscrito, troverebbe una giustificazione in un passo di Campanella: «Questa è una gente che arrivò di là dall'Indie, ed erano molti filosofi, che fuggirono la rovina di Mogori e d'altri predoni e tiranni (...)» (Mogori sono i mongoli, il Gran Mogol che invase l'India nel VI secolo).
Fuggendo, il monaco (Giulio Brogi) incontra un giovane che lo aiuta a rialzarsi dopo essere inciampato nella corsa; questo giovane, che è forse un'allucinazione del tempo in cui Campanella è imprigionato, dialogherà con il monaco nel corso delle sequenze successive.
 

Al minuto 10 il monaco arriva in un convento abbandonato, il chiostro è popolato da persone del luogo, invaso da pecore, capre, bambini, fuochi; un saio domenicano viene dato alle fiamme. Il monaco entra poi nella chiesa del convento, dove una ragazza sta pulendo una statua di Cristo morto dentro una teca; la ragazza vede il monaco-Brogi e gli dice "sei tornato" e poi lo accompagna da un monaco anziano, forse l'ex priore, che sta sdraiato su una tavola: "è così da quando sono venuti i soldati" spiega la ragazza. Non mangia, non beve, non dorme, "è come un santo". Nel chiostro arriva anche il giovane che ha soccorso il monaco, prende un flauto e inizia a suonare; tutto intorno vediamo persone accampate nella chiesa, nelle nicchie, nelle teche, donne e bambini, quasi una "pietà" per una donna con un ragazzino accanto.
La sequenza dei monaci scacciati e degli impiccati, il ritorno del monaco in luoghi da cui era stato costretto ad allontanarsi, sono da riferirsi a un fatto storicamente documentato: già più volte condannato e incarcerato per altri motivi, Campanella si unì a una congiura contro gli Spagnoli, che prevedeva anche lo sbarco di truppe turche; la sommossa fu repressa duramente dagli Spagnoli, che nel settembre 1599 portarono a una scena molto simile a quella che vediamo nel film.
 

Al minuto 19, il monaco anziano si è ripreso e viene assistito da Brogi. Vediamo, nel ricordo del vecchio, l'irruzione dei soldati in chiesa, le impiccagioni, i monaci prigionieri e legati. Questa sequenza ricorda quella di Tarkovskij nell'Andrej Rublev (i tartari nella cattedrale) e anche i film di Paradjanov. E' un metodo narrativo usato anche da Ermanno Olmi, per esempio in "Il mestiere delle armi".

Al minuto 22 vediamo il monaco-Brogi mentre legge nei corridoi del palazzo, e qui ritrova il giovane che gli chiede: "da quanto tempo sei qui? hai fame? vuoi un po' di pane?", e vediamo il ricordo di Campanella in prigione. Forse questa scena non è reale, forse è Campanella che pensa nella sua cella.

Il ragazzo continua, dice che al paese ancora si ricordano di quando i monaci furono cacciati dal convento e i banditi appesi, i corpi non sotterrati ma lasciati lì come monito. Molti monaci si tolsero il saio e si unirono ai banditi, il convento rimase vuoto per molto tempo, "era diventato la casa del diavolo". « Perché sei tornato? Hai paura di noi, ma siamo come te e non possiamo rubarti niente». Anche nelle campagne non c'è più nessuno, per paura dei soldati; è meglio morire di fame che morire in galera. "Se tu vieni con noi è come se tornasse fra' Tommaso, l'hai conosciuto?"


 

(continua)

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