L'ussaro sul tetto (Le hussard sur le
toit, 1995) Regia di Jean Paul Rappeneau. Da un romanzo di Jean
Giono. Sceneggiatura di Jean Claude Carrière, Jean Paul Rappeneau,
Nina Companeez. Fotografia di Thierry Arbogast. Scene e costumi: Ezio
Frigerio e Franca Squarciapino. Musiche di Jean Claude Petit.
Interpreti: Juliette Binoche, Olivier Martinez, Pierre Arditi,
Claudio Amendola, François Cluzet Durata: 135 minuti
"L'ussaro sul tetto" è un
romanzo dello scrittore francese Jean Giono, pubblicato nel 1951 e
ispirato alla vera vita di un suo avo piemontese. Il film che ne è
stato tratto è molto bello, ambientato nel 1832 in Provenza: gli
austriaci cercano i patrioti italiani, e il giovane colonnello
Angelo (piemontese) è uno di loro, rifugiato in Francia come i suoi
amici. Angelo (l'attore è Olivier Martinez) dovrà fuggire
attraversando zone colpite dal colera, e nel corso della tragedia
incontrerà una giovane donna, interpretata da Juliette Binoche.
L'epidemia di colera, molto drammatica, finisce per diventare
protagonista al di là della vicenda, e le colonne di profughi e i
campi di raccolta degli ammalati ricordano molto (oltre alle cronache
odierne, purtroppo) scene descritte da Albert Camus (La peste), da René Barjavel (Ravage,
Diluvio di fuoco), da H.G.Wells in "La guerra dei mondi" e,
al cinema, "Di pari passo con l'amore e la morte" di John
Huston. A un certo punto Angelo viene scambiato per un "untore"
che propaga il colera, e per noi il pensiero corre subito a Manzoni e
ai "Promessi Sposi", anche se il contesto è molto
differente. Il film di Rappeneau è bello e ben sceneggiato, e anche
un bel po' impressionante. Alla fine, però, è la storia d'amore che
rimane maggiormente nella memoria; una storia d'amore forte e
profonda, nata da circostanze molto drammatiche.
Per un riassunto più preciso del film
mi appoggio a wikipedia.it: «Nel 1832
molti carbonari italiani si sono rifugiati in Provenza, che viene
devastata da un'epidemia di colera. Agenti austriaci uccidono uno di
loro, e la moglie fa in tempo ad avvertire il loro amico, Angelo
Pardi, perché fugga. Angelo si mette in contatto con Paolo
Maggionari, amico d'infanzia e carbonaro, ma questi è ormai un
traditore e cerca di ucciderlo, ma Angelo riesce ancora a fuggire.
Nel paese di Manosque Angelo incontra un medico che gli mostra come
trattare i malati di colera, strofinandoli vigorosamente su tutto il
corpo con l'alcool. Un gruppo di persone lo accusa di favorire
l'epidemia inquinando i pozzi, e ancora una volta è costretto a
fuggire. Si rifugia in una dimora nobiliare ed è scoperto dalla
proprietaria, la giovane contessa Pauline de Théus, che gli
garantisce ospitalità. La mattina dopo, partita la contessa, Angelo
incontra, sulle colline fuori Manosque, Giuseppe, che gli affida il
denaro raccolto per i carbonari di Milano. »
Siamo ancora in gran
parte in epoca prescientifica, l'origine del colera era pressoché
ignota alla grande maggioranza delle persone, anche nel 1832 e anche
presso le persone colte. Pare che la descrizione del colera che
vediamo nel film non sia quella precisa, e le cure sono ovviamente
molto empiriche, ma comunque sembrano funzionare. Non racconto quello
che segue, perché è giusto lasciare spazio alla visione del film;
nella parte centrale si vede comunque il campo dove vengono raccolti
gli ammalati, o i sospetti che provengono dalle zone infette; la
storia di Angelo e di Pauline è in gran parte la fuga dalla malattia
ma non voglio rivelare altri dettagli.
Jean Giono è uno scrittore che ho
frequentato pochissimo, i suoi libri sono per me ancora parte di una
lunghissima lista d'attesa (riuscirò mai a leggere tutto quello che
mi interessa?). Una breve nota biografica: Giono nasce a Manosque, in
Provenza (1895-1970), la sua esperienza nella Grande Guerra lo portò
al pacifismo; nel '45 fu sospettato di collaborazionismo per aver
pubblicato su riviste vicine al regime di Pétain, ma era sicuramente
antifascista. "L'ussaro sul tetto" ha avuto più di un
seguito, si tratta di un totale di cinque romanzi.
Le musiche del film sono di Jean
Claude Petit, ma c'è un ruolo discreto per le "Danze tedesche"
di Mozart (K600, K605, K586): un clarinettista sopravvissuto al
colera le suona per i disgraziati tenuti in quarantena. Bello il
finale, notevole l'inquadratura che sembra un Vermeer con la Binoche,
e spettacolare la vista sulle Alpi.
(le immagini sono tra le poche che ho trovato in rete:
ringrazio chi le ha rese disponibili)
Nessun commento:
Posta un commento