venerdì 14 febbraio 2020

Il Jekyll di Giorgio Albertazzi


Jekyll (Rai, 1969) Regia di Giorgio Albertazzi. Liberamente tratto dal racconto di Robert Louis Stevenson. Sceneggiatura di Ghigo De Chiara, Paolo Levi, Giorgio Albertazzi. Fotografia: Stelvio Massi. Musiche di Gino Marinuzzi jr. Interpreti: Giorgio Albertazzi (Jekyll), Massimo Girotti (Utterson), Claudio Gora (Lanyon), Bianca Toccafondi (Paula), Marina Berti (signora Utterson), Ugo Cardea (Lévy), Ursula Davis (Ingrid), Bruno Cirino, Orso Maria Guerrini, Nicoletta Rizzi, e molti altri Durata: quattro puntate di un'ora circa ciascuna.

Quando venne messo in onda il Jekyll di Giorgio Albertazzi, nel 1969, io ero ancora un bambino e non avevo mai letto il racconto di Stevenson anche se ne avevo una vaga idea; conoscevo Stevenson solo attraverso "L'isola del tesoro" e "La freccia nera" e l'avrei scoperto come autore importante e profondo solo una decina d'anni dopo, grazie a Jorge Luis Borges (Finzioni, L'Aleph, Altre inquisizioni...). Ricordo però lo stupore e l'impressione che destò, perché fino ad allora Mr.Hyde al cinema era sempre stato una specie di uomo lupo o di scimmione peloso, con tanto di metamorfosi a vista. Gli occhi dall'iride bianca di Albertazzi/Hyde facevano impressione, e sono stati un'idea di notevole intelligenza. Si può far notare che nel racconto originale di Robert Louis Stevenson, datato 1885, non c'è una descrizione precisa dell'aspetto di Hyde: si dice solo che è di bassa statura (Hyde deve rimboccarsi i pantaloni, le giacche gli vanno larghissime) e che tutti lo trovano sgradevole, ripugnante, anche se non sanno dire che cosa ci sia nel suo aspetto per giustificare la ripugnanza. Per esempio:
Era un uomo di bassa statura e di abbigliamento piuttosto ordinario, ma il suo aspetto generale, perfino da quella distanza, era in qualche modo tale da suscitare un'inclinazione tutt'altro che benevola nei suoi riguardi. (...) (capitolo II, il primo incontro di Utterson con Hyde)
(...) i pochi che lo avevano incontrato ne dettero descrizioni contrastanti, come spesso accade in casi simili. Su una sola convennero tutti, e cioè che il fuggiasco lasciava un'impressione di mostruosa ma inspiegabile deformità. (finale del capitolo IV)
La descrizione di Hyde da parte di Lanyon è nel capitolo IX, ma non si discosta molto da queste; la parola "scimmia" è utilizzata dal maggiordomo Poole nel capitolo VIII, ma solo con riferimento all'agilità di Hyde. Nel suo testamento finale (capitolo X ) Jekyll userà due volte la parola "scimmiesco" ma con riferimento ai bestiali dispetti di Hyde. La villosità di Hyde, ma sulle mani, è il segnale con cui Jekyll capisce che si è attuata la trasformazione, anche senza bisogno di specchi; ma si parla solo di mani pelose, del viso si tace.
 

La trasformazione "scimmiesca" dei film hollywoodiani, che coinvolge anche attori importanti come Spencer Tracy e John Barrymore, nasce molto probabilmente da un malinteso e superficialissimo rimando alle teorie di Charles Darwin: l'uomo che ritorna alla sua bestialità, da qui la pelosità "da lupo" e l'aspetto scimmiesco. Il "Jekyll" di Albertazzi ha sicuramente un punto di riferimento in Jean Renoir, "Il testamento del dottor Cordelier" con protagonista Jean Louis Barrault (1959, il dottor Cordelier è sempre Jekyll); però anche Renoir non rinunciava a dare tratti deformi al suo Hyde, sia pure non del tutto scimmieschi. Albertazzi risolve tutto con l'interpretazione, e con il trucco (minimo, ma impressionante) delle lenti a contatto bianche, che trasformano Hyde in un alieno inquietante ma che non gli impediscono di piacere e di avere un aspetto tutto sommato elegante, anche nella sua sgradevolezza. La trasformazione è più morale che fisica, e Albertazzi riesce nell'impresa da grande attore quale era. Nelle movenze e nella corsa, e anche nell'espressione del volto, Albertazzi anticipa di tre anni il Malcolm McDowell di "Arancia Meccanica", soprattutto nella scena del pestaggio di Carew; chissà se Stanley Kubrick conosceva questo sceneggiato.
 

Visto da oggi, nel complesso il Jekyll di Albertazzi regge ancora bene, più che altro per l'interpretazione di Massimo Girotti, di Claudio Gora e dello stesso Albertazzi: magistrale l'Utterson di Girotti, straordinario Gora come Lanyon nella scena della rivelazione, alla fine della seconda puntata. Lo sceneggiato è invece invecchiato invece molto, inesorabilmente, là dove si è voluto "modernizzare" il testo, datato 1885 e trasferito all'oggi, cioè al 1969. Niente invecchia più velocemente dell'attualità, e così gli hippies, l'università sul tipo di quella di Berkeley, la contestazione e perfino il distributore di benzina all'inizio e le minigonne oggi fanno "vecchio". Anche l'insistenza sul DNA e la biologia molecolare della prima puntata viste da oggi fanno sorridere, probabilmente oggi si parlerebbe di neuroscienze; e in fin dei conti, farmaci a parte, la trasformazione di una persona in un'altra (più infantile, e magari più violenta) la si vede purtroppo apparire con la malattia di Alzheimer, oltre che con la schizofrenia. Però l'impianto voluto da Albertazzi è buono, ed è buona soprattutto l'idea di risolvere tutto con la recitazione, limitando al minimo i trucchi e gli effetti speciali, occhi bianchi compresi.
Questa è comunque la descrizione tratta del racconto di Stevenson:
...ero sempre a questo punto quando, come ho detto, le mie ricerche di laboratorio cominciarono a gettare una luce inaspettata sulla questione. Cominciai a percepire, più a fondo di quanto fosse mai stata riconosciuta, la tremula immaterialità, la vaporosa inconsistenza del corpo, così solido in apparenza, di cui andiamo rivestiti. Scoprii che certi agenti chimici avevano il potere di scuotere e soffiare via questo rivestimento di carne, come il vento fa volare le tende di un padiglione (...) (capitolo X, il diario di Henry Jekyll)
Come si vede, si rimane sul generico; e direi che è la cosa migliore da fare in mancanza di reali appigli con la realtà. Accade così anche con il Frankenstein di Mary Shelley (uscito nel 1818), dove il segreto della riuscita è spiegato (vado a memoria, ne chiedo scusa) con un "è così semplice che non potete nemmeno immaginarlo". Jules Verne, invece, dava spiegazioni abbondanti e spesso spericolate, centrando però spesso la questione (l'alimentazione elettrica del Nautilus, per esempio, che deriva da batterie molto simili a quelle al litio che utilizziamo oggi). Tornando al Jekyll di Albertazzi, e a quel 1968, probabilmente la prima idea sarà stata di fare riferimento all'LSD e alle droghe psichedeliche, ma è un'idea che sarebbe stata sicuramente censurata. Il DNA fu scoperto già nel 1869, ma non si sapeva a cosa servisse; la sua decifrazione, e la struttura a elica che si vede nella prima puntata, era nel 1969 ancora recentissima: il Nobel a Crick e Watson è del 1962, la loro scoperta fu pubblicata nel 1953.
 

Nel racconto originale, l'avvocato Utterson è un vecchio scapolo e Jekyll vive in isolamento assoluto nella sua casa, servito solo dal maggiordomo Poole; sono di conseguenza tutti inventati i personaggi femminili che vediamo nello sceneggiato. E' di invenzione degli autori (Paolo Levi, Ghigo De Chiara, lo stesso Albertazzi) anche Lévy, assistente di Jekyll.
Paolo Levi, torinese classe 1935, non va confuso con Primo Levi; è un autore che collaborò molto con la Rai, saggista e critico d'arte oltre che narratore. Ghigo De Chiara (1921-1995) è uno scrittore e critico teatrale, collaboratore abituale di Albertazzi.
Gli attori: Massimo Girotti, Giorgio Albertazzi e Claudio Gora sono tre colonne del teatro e del cinema italiano; Ugo Cardea, che interpreta il professor Lévy, sarà il "Cartesio" di Rossellini, sei anni dopo nel 1975. Marina Berti e Bianca Toccafondi sono due attrici molto brave e con una lunga carriera sia al cinema che in teatro, qui un po' sacrificate nei loro ruoli. In piccoli ruoli due attori poi diventati celebri, Orso Maria Guerrini e Bruno Cirino. Le musiche sono di Gino Marinuzzi jr, figlio del grande direttore d'orchestra Gino Marinuzzi. Curiosa la breve sequenza in stile copertina dei Beatles nella prima puntata, all'università, quando gli studenti guardano in basso e sono inquadrati dal di sotto.

Oltre ai titoli citati sopra, e oltre all'LSD, nello sceneggiato c'è una citazione esplicita del Faust di Goethe, cioè il patto con il diavolo che consente la trasformazione (e il ringiovanimento) dello scienziato; nella terza puntata, per la realizzazione visiva della "nascita" di Hyde, si può pensare anche al mito alchimistico dell'homunculus (sempre dal Faust di Goethe). Il male assoluto fa pensare anche al nazista dottor Mengele e ai suoi orribili esperimenti (ma qui Jekyll sperimenta su se stesso); lo scoprire la propria vera natura, il desiderio più profondo che nemmeno il nostro io cosciente conosce, rimanda a "Stalker" di Andrej Tarkovskij. Un titolo famoso, "Occhi bianchi sul pianeta terra" (tratto da Matheson, ma non è questo il titolo originale) è in un film del 1971.
E' interessante riportare un passo da ciò che Jekyll scrive nel capitolo finale:
... da quelle agonie di morte e resurrezione avrei potuto rinascere angelo, invece che demonio. La droga, infatti, non agiva in un senso piuttosto che in un altro, non era divina né diabolica di per sè; scuoté le porte che incarceravano le mie inclinazioni (...)
Nelle pagine precedenti, Stevenson accenna alla teoria della "confederazione di anime" (formulata da Pierre Janet e Théodule Ribot)  di cui parla anche Tabucchi in "Sostiene Pereira" e che è ben rappresentata anche se in modo umoristico nel film "Being John Malkovich" di Spike Jonze:
... l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due. E dico due perché le mie conoscenze non sono giunte oltre. Altri seguiranno, altri porteranno avanti queste ricerche, e non è da escludere che l'uomo, in ultima analisi, possa rivelarsi una mera associazione di soggetti diversi, incongrui e indipendenti. (...)
(Robert Louis Stevenson, Dr. Jekyll e Mr. Hyde, traduzione di Fruttero e Lucentini, Einaudi 1983)
Infine, sempre sul tema del doppio, si può consigliare a chi non lo conoscesse ancora di leggere "Il signore di Ballantrae", sempre di Stevenson, uscito tre anni dopo, nel 1888: è sempre un Jekyll, anche se qui si tratta di due fratelli. Discende direttamente da Stevenson anche "Il visconte dimezzato" di Italo Calvino; ma questa è cosa ben risaputa.


PS: questo film, come tutti gli sceneggiati Rai, necessita di un restauro serio; la pessima qualità è dovuta ai mezzi di registrazione video, all'epoca non ancora ottimali. Chissà se è stato girato su pellicola, e se esiste un negativo originale; in ogni caso penso che qualcosa si possa fare, volendo.


 

Nessun commento: