Le orme (Footsteps on the moon, 1975).
Regia di Luigi Bazzoni. Scritto da Mario Fanelli e Luigi Bazzoni.
Fotografia di Vittorio Storaro. Scenografia di Pierluigi Pizzi.
Musiche di Nicola Piovani. Interpreti: Florinda Bolkan, Klaus Kinski,
Peter Mc Enery, Nicoletta Elmi, Lila Kedrova, Caterina Boratto,
Esmeralda Ruspoli, Rosita Toros, Myriam Acevedo, John Karlsen.
Durata: 110 minuti
"Le orme" (Footsteps on the
moon) è stato per me una piacevole sorpresa: era uscito nel 1975 ma
io non ne sapevo o non ne ricordavo nulla, di certo lo avevo confuso
con altri film usciti in quel periodo, sempre con la Bolkan. Anche di
Luigi Bazzoni non sapevo niente, è difficile trovare informazioni e
c'è pochissimo anche on line. Ho scoperto che era di Parma, che ha
un fratello (Camillo) anche lui regista e direttore della fotografia,
e che era del giro dei Bertolucci; ha fatto un film con Francesco
Barilli, e qui lavora con Storaro (direttore della fotografia) e
Perpignani (al montaggio).
Il soggetto di "Le orme" è
di quelli che una volta riassunti fanno scappare la voglia di vedere
il film: una schizofrenica e le sue visioni. Ma nel film c'è molto
di più, innanzitutto dal punto di vista visivo, e poi è ben scritto
e molto ben recitato, una vera e propria prova d'autore, ed è un
peccato che dopo questo film Luigi Bazzoni non abbia più girato
altro, a parte un frammento di documentario parecchi anni dopo. La
protagonista, Florinda Bolkan, è un'interprete che lavora ad alti
livelli, ed è di professionalità esemplare; ma a un certo punto
della sua vita si perde, comincia ad avere strani sogni che si
ripetono (un astronauta sulla luna, inseguito da misteriosi alieni);
dopo essersi assentata dal lavoro, senza esserne resa conto, trova in
casa una cartolina spedita da una località lontana a lei ignota
(Garma) e scopre di essere stata effettivamente in quel posto, ma non
ne ha memoria. Il resto del film non va raccontato, o quantomeno io
non ho nessuna intenzione di rovinare la visione del film a chi
ancora non lo conoscesse.
In realtà, il miglior riassunto di "Le
orme" è nelle parole di Vittorio Storaro: «Colours can be
used as a language. Unfortunately, today newer film makers seem to
prefer to tell audience exactly what's going on, and what everything
is about instead of using colour, productional design, music, actor's
body language and camera angles to communicate.» (Vittorio Storaro
per "Le orme" di Luigi Bazzoni, citato da Oliver Cramer sul
blog "The Kirkpatrick Mission" )
(I colori possono essere usati come
una lingua parlata. Purtroppo, i registi di oggi sembrano preferire
il metodo di raccontare cosa succede, in modo piatto, invece di usare
nella comunicazione colori, tecniche, musica, recitazione e fisicità
degli attori, lo studio dell'angolazione delle riprese.)
Storaro ci dice che della storia
raccontata, in "Le orme", ci deve importare poco o niente:
il film è nei colori, nelle immagini, nella musica, nelle
angolazioni dell'inquadratura, nello studio dei volti e dei luoghi,
negli attori... E qui Storaro dà davvero il meglio di sè, la
qualità delle luci e delle immagini ricorda molto "Il
conformista" (quindi, una meraviglia nell'uso e nella scelta di
luce e colori) e chi ha visto i grandi film di Bertolucci non si può
perdere lo spettacolo del film di Bazzoni.
Altri riferimenti possibili: Wim
Wenders, "Lo stato delle cose", per la fantascienza in
bianco e nero virato: "Shining" di Kubrick per l'albergo
vuoto e per la presenza della protagonista in epoche diverse, ma
anche Henry James, "Il giro di vite", per la bambina e per
le presenze inquietanti.
"Le orme" è girato a
Phaselis, in Turchia; nei titoli di coda è citato il villaggio
Valtur di Kemer, lì vicino, che ha ospitato la troupe. La città e
l'albergo, nel film, sono chiamati Garma ma non so dire se sia una
città vera; cercando su internet ho scoperto che esistono molte
Garma: in Iran, Croazia, Iraq, Libia, Nepal, Tibet, Australia.
Le scenografie sono di Pierluigi Pizzi,
uno dei più grandi in questo campo, la musica (molto funzionale) di
Nicola Piovani, il montaggio di Roberto Perpignani, la fotografia di
Vittorio Storaro.
Gli attori: Florinda Bolkan molto bella
e molto brava, un'ottima prova, regge quasi da sola il film. Klaus
Kinski (Mr.Blackmann) appare nella sequenza con gli astronauti; la
bambina è Nicoletta Elmi, ci sono Lila Kedrova e Caterina Boratto,
il giovane attore è Peter Mc Enery.
Luigi Bazzoni ha girato altri film
prima di questo, alcuni con lo pseudonimo Marc Meyer. Non li conosco
e mi segno due titoli a caso: "Giornata nera per l'ariete"
e "La donna del lago" con Virna Lisi. Un suo film del 1968,
girato come un western all'italiana, è in realtà una trasposizione
della "Carmen" di Mérimée (e di Bizet), intitolato
"L'uomo, l'orgoglio, la vendetta". "Le orme" è
l'ultimo film di Bazzoni, e spiace che non abbia più continuato
proprio quando cominciava a vedersi un vero lavoro d'autore; dopo "Le orme" troviamo solo i documentari (peraltro molto belli) della serie "Roma Imago Urbis", datati 1994 e girati con Vittorio Storaro.
Il soggetto è di Mario Fanelli, un
autore che non conoscevo e che curiosamente nei titoli di testa è
indicato (due volte) come Fenelli. Il titolo originale del romanzo di
Fanelli è "Las Huellas". Fanelli ha lavorato molto in
Jugoslavia, ha molti titoli di cinema su www.imdb.com scritti nel
corso di una ventina d'anni, ed è indicato anche come co-regista di
"Le orme".
E infine, pensando a quello che succede
nel film, mi sono detto che se dovessimo davvero ricordare tutte le
nostre vite precedenti saremmo come la Bolkan in questo film, vale a
dire che sarebbe inevitabile stare molto male. Forse il non ricordare
è una difesa:
«...Mnemosine è dunque la memoria
della comunione originaria del celeste e del terrestre. Le era
dedicata una delle due fonti che i morti incontravano nell'Ade; le
anime di coloro che si erano purificati dalle passioni bevevano alla
sua fonte l'acqua fresca di vita, e uscendo dai cicli dolorosi
dell'esistenza si ricongiungevano agli dei. Quelle dei malvagi si
abbeveravano invece alla fonte chiamata Lete, ovvero l'oblio,
perdendo la memoria della loro passata esistenza terrena, e poi
venivano scagliate in un pelago profondo, metafora dell'oscurità e
della dannazione; ma se non erano del tutto malvage rientravano nella
vita con altri corpi (...) »
(Alfredo Cattabiani, da "Erbario",
editore Rusconi, pag.23)
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