domenica 15 dicembre 2019

Le orme


Le orme (Footsteps on the moon, 1975). Regia di Luigi Bazzoni. Scritto da Mario Fanelli e Luigi Bazzoni. Fotografia di Vittorio Storaro. Scenografia di Pierluigi Pizzi. Musiche di Nicola Piovani. Interpreti: Florinda Bolkan, Klaus Kinski, Peter Mc Enery, Nicoletta Elmi, Lila Kedrova, Caterina Boratto, Esmeralda Ruspoli, Rosita Toros, Myriam Acevedo, John Karlsen. Durata: 110 minuti
 
"Le orme" (Footsteps on the moon) è stato per me una piacevole sorpresa: era uscito nel 1975 ma io non ne sapevo o non ne ricordavo nulla, di certo lo avevo confuso con altri film usciti in quel periodo, sempre con la Bolkan. Anche di Luigi Bazzoni non sapevo niente, è difficile trovare informazioni e c'è pochissimo anche on line. Ho scoperto che era di Parma, che ha un fratello (Camillo) anche lui regista e direttore della fotografia, e che era del giro dei Bertolucci; ha fatto un film con Francesco Barilli, e qui lavora con Storaro (direttore della fotografia) e Perpignani (al montaggio).
Il soggetto di "Le orme" è di quelli che una volta riassunti fanno scappare la voglia di vedere il film: una schizofrenica e le sue visioni. Ma nel film c'è molto di più, innanzitutto dal punto di vista visivo, e poi è ben scritto e molto ben recitato, una vera e propria prova d'autore, ed è un peccato che dopo questo film Luigi Bazzoni non abbia più girato altro, a parte un frammento di documentario parecchi anni dopo. La protagonista, Florinda Bolkan, è un'interprete che lavora ad alti livelli, ed è di professionalità esemplare; ma a un certo punto della sua vita si perde, comincia ad avere strani sogni che si ripetono (un astronauta sulla luna, inseguito da misteriosi alieni); dopo essersi assentata dal lavoro, senza esserne resa conto, trova in casa una cartolina spedita da una località lontana a lei ignota (Garma) e scopre di essere stata effettivamente in quel posto, ma non ne ha memoria. Il resto del film non va raccontato, o quantomeno io non ho nessuna intenzione di rovinare la visione del film a chi ancora non lo conoscesse.
 

In realtà, il miglior riassunto di "Le orme" è nelle parole di Vittorio Storaro: «Colours can be used as a language. Unfortunately, today newer film makers seem to prefer to tell audience exactly what's going on, and what everything is about instead of using colour, productional design, music, actor's body language and camera angles to communicate.» (Vittorio Storaro per "Le orme" di Luigi Bazzoni, citato da Oliver Cramer sul blog "The Kirkpatrick Mission" )
(I colori possono essere usati come una lingua parlata. Purtroppo, i registi di oggi sembrano preferire il metodo di raccontare cosa succede, in modo piatto, invece di usare nella comunicazione colori, tecniche, musica, recitazione e fisicità degli attori, lo studio dell'angolazione delle riprese.)
Storaro ci dice che della storia raccontata, in "Le orme", ci deve importare poco o niente: il film è nei colori, nelle immagini, nella musica, nelle angolazioni dell'inquadratura, nello studio dei volti e dei luoghi, negli attori... E qui Storaro dà davvero il meglio di sè, la qualità delle luci e delle immagini ricorda molto "Il conformista" (quindi, una meraviglia nell'uso e nella scelta di luce e colori) e chi ha visto i grandi film di Bertolucci non si può perdere lo spettacolo del film di Bazzoni.
Altri riferimenti possibili: Wim Wenders, "Lo stato delle cose", per la fantascienza in bianco e nero virato: "Shining" di Kubrick per l'albergo vuoto e per la presenza della protagonista in epoche diverse, ma anche Henry James, "Il giro di vite", per la bambina e per le presenze inquietanti.
 

"Le orme" è girato a Phaselis, in Turchia; nei titoli di coda è citato il villaggio Valtur di Kemer, lì vicino, che ha ospitato la troupe. La città e l'albergo, nel film, sono chiamati Garma ma non so dire se sia una città vera; cercando su internet ho scoperto che esistono molte Garma: in Iran, Croazia, Iraq, Libia, Nepal, Tibet, Australia.
Le scenografie sono di Pierluigi Pizzi, uno dei più grandi in questo campo, la musica (molto funzionale) di Nicola Piovani, il montaggio di Roberto Perpignani, la fotografia di Vittorio Storaro.
Gli attori: Florinda Bolkan molto bella e molto brava, un'ottima prova, regge quasi da sola il film. Klaus Kinski (Mr.Blackmann) appare nella sequenza con gli astronauti; la bambina è Nicoletta Elmi, ci sono Lila Kedrova e Caterina Boratto, il giovane attore è Peter Mc Enery.
 

Luigi Bazzoni ha girato altri film prima di questo, alcuni con lo pseudonimo Marc Meyer. Non li conosco e mi segno due titoli a caso: "Giornata nera per l'ariete" e "La donna del lago" con Virna Lisi. Un suo film del 1968, girato come un western all'italiana, è in realtà una trasposizione della "Carmen" di Mérimée (e di Bizet), intitolato "L'uomo, l'orgoglio, la vendetta". "Le orme" è l'ultimo film di Bazzoni, e spiace che non abbia più continuato proprio quando cominciava a vedersi un vero lavoro d'autore; dopo "Le orme" troviamo solo i documentari (peraltro molto belli) della serie "Roma Imago Urbis", datati 1994 e girati con Vittorio Storaro.
Il soggetto è di Mario Fanelli, un autore che non conoscevo e che curiosamente nei titoli di testa è indicato (due volte) come Fenelli. Il titolo originale del romanzo di Fanelli è "Las Huellas". Fanelli ha lavorato molto in Jugoslavia, ha molti titoli di cinema su www.imdb.com scritti nel corso di una ventina d'anni, ed è indicato anche come co-regista di "Le orme".


E infine, pensando a quello che succede nel film, mi sono detto che se dovessimo davvero ricordare tutte le nostre vite precedenti saremmo come la Bolkan in questo film, vale a dire che sarebbe inevitabile stare molto male. Forse il non ricordare è una difesa:
«...Mnemosine è dunque la memoria della comunione originaria del celeste e del terrestre. Le era dedicata una delle due fonti che i morti incontravano nell'Ade; le anime di coloro che si erano purificati dalle passioni bevevano alla sua fonte l'acqua fresca di vita, e uscendo dai cicli dolorosi dell'esistenza si ricongiungevano agli dei. Quelle dei malvagi si abbeveravano invece alla fonte chiamata Lete, ovvero l'oblio, perdendo la memoria della loro passata esistenza terrena, e poi venivano scagliate in un pelago profondo, metafora dell'oscurità e della dannazione; ma se non erano del tutto malvage rientravano nella vita con altri corpi (...) »
(Alfredo Cattabiani, da "Erbario", editore Rusconi, pag.23)



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