Anima persa (1977) Regia di Dino Risi.
Soggetto di Giovanni Arpino. Sceneggiatura di Dino Risi e Bernardino
Zapponi. Fotografia di Tonino Delli Colli. Musiche di Francis Lai.
Interpreti: Vittorio Gassman, Catherine Deneuve, Danilo Mattei,
Anicée Alvina, Ester Carloni, Michele Capnist, Gino Cavalieri.
Durata: 1h40'
"Anima persa", tratto da un
romanzo di Giovanni Arpino, racconta di un ragazzo (Danilo Mattei)
che si trasferisce a Venezia per seguire la scuola d'Arte; è di
famiglia ricca e va ad abitare dallo zio in un grande palazzo pieno
di affreschi e con una enorme biblioteca. Lo zio, un ingegnere
(Vittorio Gassman) ha una moglie giovane e bella (Catherine Deneuve)
e si dimostra molto ospitale e perfino affettuoso, ma nel palazzo c'è
qualcosa che non va. Rumori strani, grida: a un certo punto dicono al
ragazzo che si tratta del fratello dello zio, che ha problemi mentali
e che non si vuol far ricoverare in manicomio. Sarà proprio così?
Raccontato in questo modo, ridotto ai
minimi termini, sembrerebbe la trama perfetta per un film
dell'orrore: ma così non è. Non lo è prima di tutto per la
bellezza delle immagini: siamo a Venezia, ed è una Venezia magica e
splendida, fotografata da un maestro delle luci come Tonino Delli
Colli. Non è un horror perché il soggetto tocca altri temi, più
profondi; ma va anche detto che non è un film ben riuscito e che ha
molti difetti. Ed è un peccato, perché si poteva fare di più e
Dino Risi avrebbe avuto i mezzi per riuscirci.
"Anima persa" è in bilico
tra capolavoro e fetecchia, e i due aspetti sono così ben mescolati
e amalgamati che diventa difficile separarli. Ci sono tutti i difetti
di Risi e anche tutti i difetti di Arpino, soprattutto una certa
superficialità spacciata per profondità o per verità, come le
battute sull'Ulysses di Joyce o i luoghi comuni stucchevoli su chi
studia entomologia, davvero pessimi e degni di Fantozzi o di Pierino.
La confezione è splendida, Venezia meravigliosa e oscura fotografata
da un Tonino Delli Colli in gran forma, interni e palazzi sontuosi e
cadenti, un teatro in disuso, costumi, scale, maschere, tutto
magnifico; ma alla fine qualcosa non torna.
Il soggetto è interessante (il tema
del doppio, Jekyll e Hyde) ma il finale è da filmetto, un Dario
Argento o poco di più, ed è davvero un peccato ("Che fine ha
fatto Baby Jane", e cosette così).
Vittorio Gassman ne è il protagonista
perfetto: anche lui porta qui tutti i suoi difetti e le sue qualità,
è severo e gigione, sembra profondo ma è in realtà molto
superficiale. Anche qui, si poteva fare di meglio e Gassman avrebbe
certamente potuto rendere meglio il personaggio. Stesso discorso per
Catherine Deneuve, che ripete (molto bene, va detto) il suo
personaggio di tanti film. Dietro il loro matrimonio c'è una storia
di pedofilia, la giovinezza e l'innocenza dell'infanzia che non si
possono conservare: il tema è importante, la realizzazione è da
filmetto di terza visione, una moneta falsa. Si evocano dei e demoni,
sullo sfondo c'è il tema della malattia mentale, e sono temi che
colpiscono ma anche qui, a un certo punto, viene da dire un "mah".
Danilo Mattei (il ragazzo protagonista) appare incolore, poco
espressivo; bravina invece Anicée Alvina, sia pur doppiata come
improbabile veneziana (questa del doppiaggio in un veneziano
caricaturale è un'altra palla al piede del film). La Alvina ebbe
momenti di grande successo grazie a un film con Robbe Grillet,
"Spostamenti progressivi del piacere"; nel mio ricordo,
avendo visto "Anima persa" un'unica volta quando era uscito
nei cinema, al loro posto avevo messo Agostina Belli e Alessandro
Momo (la scena della scuola di nudo), che invece sono in altri film
di quel periodo.
Alcune battute del personaggio di
Gassman meritano attenzione; è "un triestino asburgico di madre
lingua tedesca", ma il clima che crea in casa è degno del
peggior stile fantozziano, con letture collettive e obbligate di
Hölderlin, una biblioteca enorme che sgomenta (dovrà mica leggerli
tutti??), i recitativi di Bach "che non si possono interrompere"
(per chi non lo sapesse si tratta del Vangelo: che sia in tedesco mi
pare secondario, le "Passioni" di Bach sono una meraviglia
da conoscere). Qui Dino Risi dà il suo peggio, tanto valeva chiamare
direttamente Paolo Villaggio, che del resto con Gassman lavorava
abitualmente in quel periodo. Pesanti e fastidiosi anche i luoghi
comuni sull'entomologia e sulle scienze naturali, anch'essi parte di
una subcultura caciarona che non si riesce a sradicare: se non ci
fossero stati gli entomologi non sapremmo da dove viene la malaria,
tanto per fare un esempio, e se non ci fossero stati i "pallosi"
scienziati che studiano sui vetrini da laboratorio non avremmo gli
antibiotici e moriremmo ancora di difterite e di tbc, ma vallo a
spiegare a questa gente. Risi, Arpino e Gassman qui propagano e
nutrono la stupidità, spiace dirlo ma è così. Questi grossi
difetti sono di Arpino o di Risi, o magari di Zapponi che firma con
loro la sceneggiatura? Non lo saprò mai, perché ho letto Arpino a
suo tempo (compresi i litigi con Gianni Brera) ma non ho nessuna
voglia di tornarci sopra. Ho ben presente anche Risi e Gassman nel
"Sorpasso": le stesse battute stupide, la stessa
superficialità e grossolanità. La normalità sarebbe dunque andare
in spider suonando il clacson sull'Aurelia, secondo lo psichiatra
Risi...meno male che ha rinunciato a fare lo psichiatra, viene da
dire. Subcultura, grossolanità, superficialità e volgarità da
leghisti ante litteram: è questo il difetto principale di Risi e di
altri registi e attori della "commedia all'italiana" di
quegli anni, e spiace ripeterlo ma bisognerà pur dirlo ogni tanto,
altrimenti le nuove generazioni penseranno che eravamo davvero tutti
così. Ammiro molto Dino Risi e non mi sono mai perso un suo film, ma
l'assecondare i difetti del pubblico è stata la sua tara principale,
per fortuna con molte felici eccezioni ("La marcia su Roma",
"Fantasma d'amore", "Una vita difficile").
Penosa anche la battuta su Joyce "che
non deve stare vicino a Goethe" visto che "Joyce è uno
dei pagliacci della letteratura e della lingua" e andrebbe messo
"con Gadda e Rabelais". E poi "Goethe è apollineo",
ed ecco un altro luogo comune che si aggiunge ai tanti altri del
film, di quelli che fanno dubitare che siano mai andati oltre una
sfogliatura veloce sia di Gadda che di Joyce che di Goethe. Apollinea
la scena del sabba, nel Faust di Goethe? E Gadda, divertente ma anche
tragico, che spiega "barocco è il mondo" alle accuse di
essere barocco, è un pagliaccio? E Joyce, maestro di ogni genere
letterario? Chi sarà qui l'autore di queste fesserie, forse Arpino o
forse Gassman, che sembra davvero credere nelle scemenze che dice (e
che del resto ha ripetuto anche in altre sedi) ?
Belle le scene all'Accademia, con il
maestro della scuola di pittura che partendo da un famoso Vermeer
mostra (con mascherine sulla clavicembalista del quadro) che Vermeer
contiene già tutta la pittura che seguirà, incluso Burri; e prima
ancora dice che il disegno è la pittura, che non si può nascondere
un cattivo disegno con il colore e che il cattivo disegno salta
sempre fuori.
C'è poi il discorso sui rebus (minuto
17) tra surrealismo e poesia; all'ingegner Gassman piacciono ma non
gli interessa risolverli:
- A volte penso che mi piacerebbe
vivere dentro un rebus...
Deneuve: - Perché, non è così? Non
viviamo tutti dentro un rebus?
Restando alla Settimana Enigmistica, il
pazzo davanti alla petroliera arenata grida: "Eufrasio!" e
nel finale si spiega perché: è una parola panvocalica, cioè
contiene tutte le vocali dell'alfabeto. Il recluso pazzo "odia
il ticchettio degli orologi", e dunque il passare del tempo,
l'infanzia e la giovinezza che non si possono fermare. E' il tema
principale del soggetto, ma è difficile rendersene conto. (Si
potrebbe dire con una battuta che negli anni '70 non esistevano
ancora gli orologi digitali: il tempo corre lo stesso, anche senza
ticchettio).
Toccato in maniera superficiale anche
il tema della malattia mentale: "i matti conoscono la verità e
la verità fa paura, per questo li tengono rinchiusi" (i matti e
i bambini conoscono la verità) dice l'ingegnere mentre si passa
davanti al manicomio di Venezia. Si può ricordare che Dino Risi era
laureato in medicina, specializzazione psichiatria.
Poi l'ingegnere dice che le donne sono
come i vegetali, citando Strindberg (Strindberg, o piuttosto uno dei
suoi personaggi? ecco ancora la superficialità...): "le donne
hanno odore di sedano". Si tratta di citazioni fatte a
capocchia, estrapolando una riga da testi complessi e senza citare la
fonte precisa, così si fa dire a un autore quello che è possibile
dire e anche il suo contrario. L'ingegnere di Gassman si spinge più
in là, e dice apertamente che la donna è l'anello di congiunzione
tra vegetale e animale, tirando in ballo l'evoluzione: un discorso
che vorrebbe essere forse misogino, ma che serve solo a fare
confusione. (Detto en passant, il DNA mitocondriale esiste davvero:
ma questo è un discorso molto complesso, da scienziati "pallosi e chini sui vetrini del laboratorio", e che non ha niente a che
vedere con il film).
Altri appunti presi durante la visione:
1) Gassman accompagna il nipote all'Accademia e definisce i
"capelloni" che la frequentano (un termine molto usato da
noi nel dopo' 68) come "residui di un esercito in fuga", "i
figli di Assalonne, ribelli al padre". 2) L'educazione severa,
asburgica (o forse fascista, sottotraccia?), è un altro dei temi
buttati via nel film, e ancora una volta bisogna dire che si poteva
fare di più. 3) Il cognome Stolz fa pensare a Verdi, il soprano
Teresa Stolz; tradotto in italiano, "stolz" significa fiero
o superbo. 4) Le musiche noiose sono di Francis Lai, che fa tanto
"Anonimo Veneziano"; in effetti, la superficialità è la
medesima. 5) Nel corso del film si storpia malamente qualche aria
d'opera (l'Arlesiana?). 6) In definitiva, di questo film mi porto
dietro Anicée Alvina, come modella: la stessa cosa che avevo pensato
nel '77 insomma, quando avevo provato una sincera invidia per il
protagonista che aveva più o meno la mia stessa età.
(le immagini vengono dal sito www.imdb.com )
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