giovedì 16 dicembre 2010

Ran ( III )

RAN (idem, 1985) Regia: Akira Kurosawa; tratto dal “Re Lear” di Shakespeare. Sceneggiatura: Akira Kurosawa, Hideo Oguni, Masato Hara; fotografia: Takao Saitó, Masaharu Ueda; scenografia: Yoshirò Muraki, Shinobu Muraki; costumi: Emi Wada; musica: Toru Takemitsu; montaggio: Akira Kurosawa; interpreti: Tatsuya Nakadai (Hidetora Ichimonji), Masayuki Yui (Tango); Peter Hisashi Igawa (Kyoami, il «fool»), i tre figli: Akira Terao (Taro), Jimpachi Nezu (Jiro), Dainsuke Ryu (Saburo); Mieko Harada (Kaede, moglie di Taro), Yoshiko Miyazaki (Sué, moglie di Jiro), Takeshi Nomura (Tsurumaru, il ragazzo cieco), Jun Tazaki (Ayabe, suocero di Saburo), Hisashi Igawa (Kurogane, ufficiale al servizio di Jiro).
Girato ad Aso, Kumamoto, Japan; Gotemba, Shizuoka, Japan; Himeji Castle, Himeji, Japan; Kokonoe, Oita, Japan ; Kumamoto Castle, Kumamoto, Japan ; Kurosawa Film Studio, Tokyo, Japan (studio); Nagoya Castle, Nagoya, Aichi, Japan; Shonai, Yamagata, Japan ; Toho Studios, Tokyo, Japan (studio).  Durata: 163'.

Ayabe è il suocero di Saburo, il minore dei figli del “Gran Principe”: ha assistito alla scena che ha dato inizio al dramma, ha apprezzato il comportamento del giovane, e decide di dargli in moglie ugualmente sua figlia. In Shakespeare, Cordelia rimasta senza dote e scacciata dal padre viene ripudiata dal duca di Borgogna, suo promesso sposo; ma subito troverà un marito fedele nel re di Francia. Il finale sarà molto simile: nella battaglia che porterà “i buoni” alla vittoria è nascosta la tragedia che la renderà inutile.
La scena del precipizio (in cui l’anziano re mostra inattese doti atletiche) è anche in Shakespeare, (atto quarto scena sesta) ma riguarda Gloucester e il figlio Edgar, da lui scacciato e ora travestito da mendicante, che da cieco non è riuscito a riconoscere
In Shakespeare l’accecamento riguarda il vecchio Gloucester, e avviene in scena; qui si tratta del giovane Tsurumaru, accecato dal Gran Principe quand’era bambino, e l’atto efferato non viene mostrato ma solo ricordato. Tsurumaru, creduto morto, viene invece tenuto nascosto, travestito da donna; nella sua abitazione troveranno riparo il vecchio sovrano e gli unici due rimasti a lui fedeli, Tango-Kent e il buffone di corte.
In Shakespeare la scena della tempesta (atto terzo) è straordinaria per potenza e profondità; in Kurosawa la scena della tempesta è bella ma solo accennata (il vecchio re impazzito che raccoglie fiori di campo), ed è sostituita in maniera sorprendente ed eccezionale dall’uscita del vecchio re dalla fortezza.
Nella baracca, ad accogliere il re con Kent e il buffone, Shakespeare mette il giovane Gloucester (Edgar); qui troviamo il giovane Tsurumaru, che nonostante la cecità riconosce l’uomo che ha ucciso i suoi genitori e gli ha cavato gli occhi.
La scena della testa di volpe non ha paragoni con Shakespeare, almeno mi pare, ed è tutta di origine giapponese: nella mitologia giapponese e nelle credenze popolari la volpe ha un posto particolare come simbolo della perfidia e dell’inaffidabilità. Kaedé ha molti tratti in comune con Lady Macbeth: la differenza principale è che cerca di arrivare al potere non per se stessa ma per vendetta. Kaedé viene da una famiglia nobile che è stata distrutta dalla famiglia del Gran Principe: ha sposato il maggiore dei suoi figli, Taro, ma – al contrario dell’altra giovane donna, Sué – non si è mai rassegnata e la vediamo costruire lentamente la sua vendetta, con grande abilità.
Il rapporto di Kaedé con Jiro, il secondo figlio del Gran Principe, ricorda molto – oltre al Macbeth - la relazione fra Goneril, seconda figlia di Lear, e il giovane Edmund, figlio bastardo di Gloucester.
In questa scena ha un ruolo magnifico Kurògane, braccio destro del secondo figlio del Principe; non mi sembra che questo personaggio abbia un equivalente diretto nel “Re Lear”, ma si direbbe piuttosto la somma di alcuni altri personaggi, come Cornwall oppure Oswald. Nella sequenza della battaglia, è proprio Kurògane a uccidere, con un colpo di archibugio, il primogenito Taro; ma qui dimostra di non essere solo un killer spietato. La sua spada, nel finale, sarà protagonista nella scena forse più cruenta di tutto il cinema di Kurosawa.
Come in Shakespeare, non ci sono buoni e cattivi. Il Lear di Kurosawa confessa apertamente i suoi crimini, è una lotta di potere senza vinti né vincitori, la guerra è una sconfitta per tutti e una tragedia per tutti. Ed è terribile il finale sia in Shakespeare che in Kurosawa: un finale senza speranza, con il Buddha che scivola per terra dalle mani di Tsurumaru. L’uomo cieco in bilico sull’abisso, senza nemmeno l’aiuto di un dio, è probabilmente la perfetta metafora della nostra condizione.
Lear: Is this the promis'd end ?
Edgar: Or image of that horror ?
Albany: Fall and cease.
(Re Lear, atto 5 scena 3 )
(è questa dunque la fine che ci è stata promessa? o un’immagine di quell’orrore? che scenda dunque il sipario...)
Di “Ran” vale veramente la pena di ascoltare la versione originale, anche se non si conosce una sola parola di giapponese: il piacere della recitazione è enorme, soprattutto le donne sono attrici eccezionali (la Kaedé di Mieko Harada è da antologia del cinema) e con il sonoro in presa diretta è una meraviglia anche solo l’ascoltare il fruscio degli abiti di seta o il rumore dei cavalli e dei guerrieri in corsa. Non particolarmente originali, ma funzionali e piacevoli, le musiche di Toru Takemitsu.
Il film vinse l’Oscar per i costumi, un dato di fatto che sembra quasi una presa in giro per un capolavoro simile, che è una lezione di arte cinematografica, perfetto in ogni sua parte. E’ quasi inutile dire che i costumi sono davvero magnifici: segnalo solo il matto con un abito variopinto, quasi un Arlecchino in versione kimono (mi ha incuriosito molto il disegno di libellule sulle maniche nel costume indossato nella seconda parte del film). Inutile anche dire che le scene di battaglia sono così belle da mozzare il fiato: è sempre così, con Kurosawa. Mi è sembrato di vedere una possibile fonte d’ispirazione, per il Gran Principe, nel Don Chisciotte di Pabst interpretato da Fiodor Scialiapin: ed è ben possibile, vista la grande cultura di Akira Kurosawa, che sia proprio questa una possibile chiave di lettura di tutto il film.
Lear: Dost thou call me fool, boy?
Fool: All thy other titles thou hast given away; that thou wast born with.
(atto primo, scena quarta)
(“mi hai forse dato del matto, ragazzo?” “tutti gli altri tuoi titoli li hai dati via, con questo ci sei nato.”)


Fool: A fox, when one has caught her,
and such a daughter,
should sure to the slaughter,
if my cap would buy a halter;
so the Fool follows after.
(King Lear, atto 1 )
(una volpe, quando l’hai presa, e una figlia come questa, andrebbero di certo mandate al macello...)


Fool (prophecy) : When priests are more in world than matter;
when brewers mar their malt with water;
when nobles are their tailor's tutors;
no heretics burned, but wenches' suitors;
when every case in law is right;
no squire in debt, nor no poor knight;
when slanders do not live in tongues;
nor cut-pursers come not to throngs;
when the usurers tell their gold i'th'field;
and bawds and whores do churches build;
then shall the ream of Albion
come to great confusion:
then comes the time, who lives to see it,
that going shall be used with feet.
(King Lear, atto 3 )
(profezia: quando i preti saranno più sostanza che parole, quando i birrai mescoleranno il malto con l’acqua schietta, quando i nobili saranno maestri ai loro sarti e non viceversa, e non saranno bruciati gli eretici ma i violentatori; quando ci sarà giustizia in ogni processo; quando avranno pagato i loro debiti scudiero e cavaliere; quando le calunnie non vivranno sulla lingua; quando gli usurai conteranno l’oro davanti a tutti; quando ruffiani e puttane costruiranno le chiese; allora nel reame d’Albione verrà gran confusione...)


- Eppure è meglio così: sapere, cioè, di essere disprezzato, che non vedersi a un tempo oggetto di disprezzo e di adulazione. Anche chi si trova in balia delle più gravi sciagure, e ad essere la cosa più avvilita e più misera tra quelle abbandonate dalla Fortuna, può sempre attaccarsi alla speranza e non vivere soltanto di paura. Il mutamento più doloroso è quello che muove da uno stato di prosperità. La condizione peggiore, invece, deve di necessità volgersi a ritroso finché non veda spianarsi il volto in un sorriso. E quindi il benvenuto a te, aria impalpabile ch'io abbraccio. Il meschino che tu hai gettato, col tuo soffio, nella peggiore situazione, non è debitore di nulla alle tue raffiche.
Welcome, then,
thou unsubstantial air that I embrace:
the wretch that thou hast blown unto the worst
owes nothing to thy blasts.
(Re Lear, atto 4 scena 1, monologo di Edgar )


Edgar: The weight of this sad time we must obey ;
speak what we feel, not what we ought to say.
The oldest hath born most :
we that are young shall never see so much,
nor live so long.
(Re Lear, atto 5 scena 3 )
(al peso di questi tristi tempi dobbiamo obbedire; e dire quello che sentiamo dentro di noi, non quello che saremmo tenuti a dire. Il più vecchio è colui che ha sopportato più cose; ma noi che siamo giovani non ne vedremo altrettante, né vivremo tanto a lungo.)


Lear: And my poor fool is hanged...
((Re Lear, atto 5 scena 3 )

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