PERSONA (idem, 1965) Scritto e diretto da Ingmar Bergman - Fotografia: Sven Nykvist - Musiche: Lars Johan Werle - Scenografia: Bibi Lindström - Montaggio: Ulla Ryghe - Con: Bibi Andersson (Alma), Liv Ullmann (Elisabet Vogler), Margaretha Krook (il medico), Gunnar Björnstrand (marito di Elisabet), Jörgen Lindström (il ragazzo). Durata: 80 minuti.
«Credo che “Persona” sia profondamente legato alla mia attività di direttore del Dramaten. L'esperienza era una fiamma ossidrica che determinava una specie di rapida maturazione. Essa concretizzava, in modo brutale e ovvio il mio rapporto con la professione. Avevo appena terminato “Il silenzio”, che visse con un proprio vigore e una propria vitalità. Che io poi mi dedicassi con impegno a realizzare “A proposito di tutte queste signore” era una concessione che dipendeva dalla mia lealtà verso la Svensk Filmindustri e una nuova testimonianza della mia scomoda incapacità di tirare i freni. Divenni direttore del Dramaten intorno al Natale del 1962. Avrei dovuto immediatamente avvertire la Svensk Filmindustri che avremmo accantonato per il momento ogni progetto di film. Purtroppo non era possibile e neppure ragionevole interrompere le riprese del film, per il quale si erano fatti laboriosi preparativi. Spinto dal mio audace ottimismo e con la mia incomprensibile voglia di lavorare, annunciai sia al Ministero dello Spettacolo, che mi aveva offerto l'incarico di direttore, sia a me stesso: ce la farò. (...)»
(Ingmar Bergman, da “Immagini”, ed.Garzanti)
Su “Persona” Ingmar Bergman ha scritto molto, molte pagine: in “Immagini” è forse il suo film che ha più spazio. Sono pagine interessanti da leggere, ma che non aiutano molto nella comprensione del film; così come sono di poco aiuto quasi tutti i contributi critici, e penso che ci sia una ragione di fondo che rende quasi impossibile “spiegare” questo film. La spiegazione è molto semplice, bastano due righe: “Persona” è un film da vedere, dove l’immagine (immagine in movimento) è l’unica cosa che conta, e dove la storia raccontata – sia pur interessante e ricca di spunti notevoli – è del tutto secondaria rispetto ai visi, ai corpi, agli ambienti, alla luce. Il non detto, qui, è molto più importante di ciò che viene detto.
Ed è per questo motivo che riporto qui, quasi senza toccarli, i miei vecchi appunti; aggiungerò di sicuro qualcosa, ma con “Persona” siamo davanti a qualcosa di unico, e di fuori dal normale; il rischio di parlarne troppo e di dire stupidaggini è molto alto e spero di essere riuscito ad evitarlo. Si può aggiungere che Bergman spingerà ancora oltre l’esperimento, sempre con esiti notevoli, negli anni successivi: penso soprattutto a “Sussurri e grida” e a “Il ballo delle ingrate”, ma anche molti momenti del “Flauto Magico” vengono direttamente da “Persona”.
Guardo ammirato Bibi Andersson e Liv Ullmann recitare in un film di Ingmar Bergman, uno dei più difficili. Si tratta di "Persona", del 1964: nel corso del film, Bibi Andersson parla molto e Liv Ullmann non parla mai. Liv Ullmann è un'attrice di successo che d'improvviso smette di parlare; Bibi Andersson è l'infermiera che la accudisce; e il titolo del film, che è quello originale, si riferisce alla maschera, al personaggio da interpretare (dramatis personae, nel latino della gente di teatro). Tutto il film è in bilico tra sogno e realtà, come il più famoso "Sussurri e grida"; e, come capita spesso in Bergman, non è tanto importante la storia in sé quanto come viene narrata. Ed è narrata in modo prodigioso, attraverso un inquietante, e meraviglioso, studio di primi piani e di dettagli, come facevano i grandi pittori dei secoli passati, da Caravaggio a Rubens. E, soprattutto, è narrato attraverso la recitazione, con due attrici straordinarie. Così straordinarie che viene da chiedersi come mai non se ne trovino più di equivalenti. E forse la ragione è questa: che Bergman ha smesso ormai da tempo di dirigere, o quasi; e che nessuno ha preso il suo posto, né tantomeno l'industria cinematografica (pardon, della fiction) di oggi permetterebbe a un Bergman di dirigere film come "Persona" o "Il silenzio". Bergman, con tutti i suoi difetti, aveva una sensibilità straordinaria verso gli attori, e soprattutto verso le donne. Oggi le attrici non trovano più un Bergman ad accoglierle. Oggi attrici brave come la Andersson e la Ullmann, al massimo, se sono fortunate, finiscono nei gialli (l'ispettore Derrick e i suoi nipoti), oppure fanno la donna di Mel Gibson o di Steven Seagal, o magari finiscono squartate da un serial killer, o sono serial killer esse stesse. Da noi, in Italia, finiti i tempi di Antonioni, di Germi, di Visconti e di Fellini, rimangono le elisa di rivombrosa (la regista è una donna), qualche dottoressa di incantesimo, qualche commessa, ed improbabili carabiniere o poliziotte... (anno 2003)
Registicamente è stupendo, ci sono alcune delle sequenze più belle di tutto Bergman. I primi piani e il bianco e nero sono unici, c’è un’intensità espressiva nei volti e nei gesti che ritroveremo pari forse solo nel “Ballo delle Ingrate”. Il soggetto è forte e bello, ma lo svolgimento è molto crudo, forse anche sensazionalistico, e anche troppo letterario. Liv Ullmann così dura e seria fa uno strano effetto, anche se recita benissimo viene da pensare che questo ruolo sarebbe stato più adatto a Ingrid Thulin (come appare in “Il volto”). Un film stimolante, da non perdere, ma incompleto. Una grande e importante tappa di passaggio per altri film più riusciti (penso a Il Rito, sempre per il b/n e i primi piani). Del “ricovero per le infermiere pensionate” parla Bergman stesso nelle prime pagine della sua autobiografia. (dicembre 1990)
Tino Ranieri, dal volume su Bergman del "Castoro Cinema":
(...) Nel 1966. Bergman si risolve a dare le dimissioni dal Teatro Reale, ufficio al quale pure aveva aspirato a lungo ma che per le mille cure burocratiche lo tiene troppo lontano dal cinema e dal suo amato ritiro dell'isola di Faro, che ha comprato e che diviene da allora, come ha scritto Callisto Cosulich, la sua Cinecittà personale. Al teatro, nel '66, dà solo “L'istruttoria” di Peter Weiss, il drammaturgo tedesco vivente in Svezia e naturalizzato svedese dopo le persecuzioni naziste. “L'istruttoria”, com'è noto, ricostruisce il processo per il campo di sterminio nazista (...) I grandi riscontri europei lambiscono sempre piú Bergman, mentre altri focolai bellici si accendono nel. Sud Est asiatico. C'è chi pensa alla « terza guerra » mentre in Svezia non si è nemmeno conosciuta la prima. Da questa riflessione forse nasce “Persona” (...) La protagonista stavolta è Liv Ullmann, la donna con cui Bergman vive (e che lascerà cinque anni dopo ) (...) “Persona” è stato creato e va veduto con gli opportuni punti di confronto. Non è affatto inspiegabile e nemmeno pleonastico. Non è neppure un film rinnovatore. Ma attenzione: se un artista riprende e ribadisce il suo argomento non è affatto necessario che sia esaurito. Vuol dire che cerca di approfondirlo ancora per se stesso e gli altri.
Una famosa attrice di teatro e di cinema (Liv Ullmann) ha sofferto uno choc. In piena recita ha troncato la scena e, da quella sera, non ha piú parlato. La mandano in clinica, le assegnano un'infermiera. Piú tardi, per consiglio medica, le due donne si trasferiscono in una casa al mare dove la quiete e la distensione dovrebbero facilitare la ripresa della paziente. Ma intanto uno strano rapporto comincia a stabilirsi fra Elisabeth, l'attrice, e Alma, l'infermiera (Bibi Andersson). L'una parla, e a furia di parlare si confessa, si lascia andare a molte intime ammissioni. L'altra tace e assorbe tutto al punto che gradatamente la personalità di Alma si contunde con la sua, le due identità oscillano, e la ricerca della comunicabilità si altera in forme equivoche e crudeli, fino all'oltraggio, allo sgomento, al bacio vampiresco. Nel contatto con la « donna del silenzio », la linearità psicologica di Alma si sente costretta a riportare a galla episodi ormai rimossi dalla sua memoria e a rinnegare, senza volerlo, la sua normalità precedente. Al grido di « io voglio amare! » Alma diventa Elisabeth. Forse si tratta solo di un'allucinazione, ma essa deve fuggire, allontanarsi dagli agguati di quel silenzio in cui, insieme all'aspirazione della grazia, si rintana una impossibilità d'amore, oppure un amore cosí definitivamente spogliato di umanità da diventare irreparabile fino all'autodistruzione. Il silenzio ha insomma invaso i personaggi di Bergman (le dramatis personae: il titolo va inteso anche in questo senso) come tra poco, in La vergogna, il nemico ne invaderà la terra. Si è esteso ancora. (...)
(Tino Ranieri, dal volume su Bergman del “Castoro Cinema”)
(continua)
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