“Prima della rivoluzione”, minuto 20:
- ... non sei mai scappata di casa?
- Non c’è mica bisogno di scappare di casa. Basta rimanere in casa quando gli altri escono. E se gli altri sono in casa...beh, allora per forza uno scappa
Questa frase, detta nel film da Adriana Asti, me la sono sentita un po’ anche mia; la mia natura è questa e mi ci sono riconosciuto. Non sono mai scappato di casa, e non ne ho mai sentito il bisogno perché a casa mia si stava bene; ma oggi la tentazione di scappare dalla Lombardia, e dall’Emilia, e dal Veneto (le terre dei miei parenti e antenati) è fortissima. L’unica cosa che me ne trattiene è questa: non sono più giovane. Se avessi vent’anni, o anche trenta, con questa gente al governo, fuggirei il più lontano possibile.
Un altro ricordo che è affiorato è nella scena in cui la Asti conta i bottoni della camicia a Morandini, al minuto 53: “monaca sposa vedova zitella”. E’ un gioco che ho visto fare anche qui in casa (dalle bambine, soprattutto) soprattutto nella variante “re regina cavallo pinocchio fatina”. Se i bottoni sono tanti, la bambina può girare finché non trova la parola che più le piace; se sono pochi, meglio lasciar perdere.
Un’altra filastrocca famosa, probabilmente presa da un mazzo di carte piacentine o di tarocchi (ricchisime di figure, a differenza delle carte da scala quaranta) è recitata da una bambina vera al minuto 30:
E’ Lucia che fila il lino, volta la carta e si vede ArlecchinoArlecchino che canta e che balla, volta la carta e si vede una farfalla
è una farfalla che vola sui fiori, volta la carta e si vede i signori
è i signori che van per la strada, volta la carta e si vede la spada
è la spada che porta i soldati, volta la carta e si vede i malati
i malati che hanno il dolore, volta la carta e si vede il dottore
il dottore che fa le ricette, volta la carta e si vede il serpente
il serpente che mangia i gattini, volta la carta e si vede i bambini
i bambini in mezzo alla gente, volta la carta e si vede più niente...
Il fastidio provato dal personaggio di Adriana Asti davanti a questa filastrocca, che al principio le era piaciuta, è dovuto quasi sicuramente al desiderio di essere al posto di quella bambina. Come spiega bene Bertolucci (parlando però di tutto il film, e non solo di questa scena) è il desiderio che il tempo si fermi: la Rivoluzione è la vita che va avanti, non si può sempre giocare ed essere bambini.
Tornando al film, gli spunti interessanti sono molti: una curiosità grande è vedere Morando Morandini (il più intelligente e sensibile dei critici cinematografici) alla prova come attore, e direi che se la cava molto bene. Morandini è doppiato da Gastone Moschin, ma non è l’unico ad essere doppiato; anzi, probabilmente c’è solo Adriana Asti a parlare con la sua vera voce. Le altre voci sono di nomi storici del doppiaggio, abituali da noi in moltissimi film americani, ma non sono riuscito a trovare indicazioni precise.
In “Prima della rivoluzione” vediamo anche Gianni Amico, regista di cinema e tv e amico personale di Bertolucci, che nei titoli di testa appare come coautore della sceneggiatura: è la scena (al bar, vicino al biliardo) in cui si parla di cinema, si cita Godard ed esce la famosa frase “non si può vivere senza Rossellini”.
Francesco Barilli, il protagonista, somiglia molto a Bertolucci ma anche (in alcune inquadrature) a Jean Pierre Leaud, attore preferito di Truffaut. Anche Barilli non era un attore professionista, ma un pittore, e un amico personale di Bertolucci. Barilli ha ripreso a fare l’attore di recente, soprattutto in tv (oggi somiglia molto meno a Bertolucci, rispetto a quando aveva vent’anni).
Nell’intervista a Bertolucci sul dvd ufficiale ci sono rimandi d’obbligo a Pasolini (questo è il secondo film di Bertolucci: il primo, “La commare secca”, è proprio su soggetto di Pasolini), ma anche a Visconti, a Rossellini e ad Antonioni (in quegli anni erano appena usciti “La notte”, “L’avventura”...) .
Guardando le scene di Stagno Lombardo, dal minuto 80 in avanti, io però ho pensato subito a due cose: a “La regola del gioco” di Jean Renoir (il film che Bertolucci dichiara sempre come suo punto di riferimento in assoluto), ma anche alle storie sulla nascita di Milano 2 e sulla vendita della villa di Arcore, che fu dei Casati Stampa. La tenuta di La regola del gioco, Stagno Lombardo, la Brianza di Arcore: era così prima della speculazione edilizia, la tenuta agricola dei marchesi...
Il film fu vietato ai minori di 18 anni, e forse lo è ancora anche se la cosa può far sorridere. Non vi sono scene “scabrose”, però vi si racconta di una relazione tra zia e nipote: ma zia e nipote hanno quasi la stessa età e sono persone adulte e consapevoli. L’incesto che qui è mascherato (si tratta della zia materna, sorella della mamma) verrà alla luce molti anni più tardi in “La Luna”: anche in questo caso, si tratta di un ripiegarsi nell’ambito familiare, sia per la giovane donna che per il giovane uomo, cercando di evitare “la rivoluzione”, cioè il prendersi carico delle responsabilità che spettano ad un adulto, e delle inevitabili ferite e delusioni. Nel film, tutto questo avrà una soluzione normale: una semplice parentesi, un gioco “prima della rivoluzione”. Si può forse dire che abbiamo davanti un film popolato da maschi che si rivela però un film tutto al femminile, se lo si guarda bene: proprio come “La luna”. La visione della vita del protagonista è ancora molto simile a quella di un bambino, come spiega bene Cesare all’amico nel dialogo alla Festa dell’Unità.
Su questi temi è molto interessante l’intervista con Giovanna Grignaffini, sul dvd degli extra.
Restando in tema psicoanalitico, sempre sul dvd degli “extra” c’è una bella intervista con Adriana Asti, che spiega l’origine della scena con la telefonata notturna: era lei che telefonava veramente Cesare Musatti: nel senso che, nella sua vita quotidiana, gli telefonava veramente alle quattro del mattino. La Asti sorride nel ricordare: “io potevo farlo, a me lo permetteva”. Cesare Musatti fu tra i fondatori della psicoanalisi in Italia, e fu per moltissimi anni una figura di riferimento; Bertolucci racconta però che, per lui, la psicoanalisi sarebbe diventata importante solo qualche anno dopo, ai tempi di “Strategia del ragno”.
Sempre a proposito del dvd degli extra, imperdibile il racconto di Bertolucci sul mafioso in Sicilia e sul (giovanissimo) produttore del film: ma non sto qui a raccontarlo per non rovinare il divertimento.
Ho trovato bellissime le scene in teatro, nel finale: camminare nei corridoi vuoti del teatro, mentre arriva la musica dal di dentro, è un’esperienza bellissima che ho fatto anch’io diverse volte. Alla Scala, in loggione, cioè l’ultimo piano, vicino al soffitto, c’era molto spazio e si poteva uscire lentamente e poi rientrare, badando bene di non far rumore. Non so come sia oggi, ma fino a tutti gli anni ’90 era così, ed è un’esperienza quasi magica, estatica. Bertolucci la rende benissimo, sia pure inserita nella narrazione: l’importante è non far rumore, non disturbare, muoversi in silenzio.
Le musiche originali sono di Ennio Morricone, che ha collaborato molto con Bertolucci anche negli anni successivi (“Novecento”, “Partner”...) e comprendono anche il clavicembalo, che nei primi anni ’60 era ancora una rarità (rimando d’obbligo a Wanda Landowska).
Non sono riuscito a risalire all’edizione originale del Macbeth che si ascolta in questa scena: è molto bella, potrebbe essere una registrazione non ufficiale effettuata davvero al Regio di Parma. Nel 1964 le edizioni discografiche del Macbeth disponibili erano molto poche, forse solo quella di Leinsdorf per la RCA che era uscita da poco: ma non mi sembra che sia questa. La sequenza che ascoltiamo non rispetta l’ordine in cui i brani vengono eseguiti in teatro, si salta da una scena all’altra più come una scelta di musiche che come la documentazione di un vero spettacolo: di conseguenza, per chi conosce il Macbeth, l’aspetto di irrealtà, e quindi di sogno e di magia, aumenta. Questa è una sequenza non del tutto realistica, che mischia vere riprese in teatro con sequenze recitate: ma è difficile rendersene conto. E’ una sequenza da antologia: pochissime volte al cinema è stata fotografata in questo modo la magia e la bellezza del teatro, quello che si prova veramente.
Non ho riconosciuto nemmeno il vocalizzo su “ah dolore” che si ascolta a Fontanellato, e devo dire che la cosa mi dispiace molto. Si direbbe per voce di tenore, ma a questo proposito i titoli di coda tacciono. Completano le musiche il jazz di Gato Barbieri (che diventerà famosissimo scrivendo il tema per “Ultimo tango a Parigi”), due canzoni di Paoli, e “Avevo quindici anni” una ballata da cantante di fiera, del tipo che anch’io ho fatto in tempo qualche volta ad incontrare: una specie oggi quasi completamente estinta, ma ben documentata da Roberto Leydi nei suoi filmati degli anni ’50 e ’60.
Nel complesso, “Prima della rivoluzione” è ancora oggi un ottimo film; Bertolucci pare non avere un controllo completo della materia narrativa, ma si dimostra già un autore di tutto rispetto, ed è da regista di grande esperienza la maestria nelle riprese, soprattutto quelle in teatro. Il ventitreenne Bertolucci, al suo secondo film, è già perfettamente padrone dei suoi mezzi tecnici ed espressivi; ma dovrà aspettare ancora qualche anno prima di arrivare ai suoi capolavori, da “Partner” e “Strategia del ragno” in poi.
Nell’intermezzo, andrà in Iran e in giro per l’Europa per conto dell’ENI, girando un magnifico documentario intitolato “La via del petrolio”, ancora oggi molto interessante. Sono cose di cui non si parla mai, ma i tubi dell’oleodotto che parte da Genova viaggiano anche nel lago di Como, nella pianura padana, per tutta l’Europa, in posti impensabili. Confesso di non saperne niente e di aver visto “La via del petrolio” con molto piacere e con molto interesse; è uno dei grandi film italiani per troppo tempo dimenticati, e bisognerà parlarne a parte.
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