Toby Dammit (1968) Regia: Federico Fellini - Libera riduzione dal racconto "Non scommettere la testa col diavolo" di Edgar Allan Poe - Sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi - Fotografia: Giuseppe Rotunno - Scenografia e costumi: Piero Tosi - Arredamento: Carlo Leva . Effetti ottici: Joseph Natanson - Musica: Nino Rota – La canzone "Ruby" è di Parish e Roemheld, cantata da Ray Charles - Produttori: Alberto Grimaldi, Raymond Eger - Durata: 40’.
Interpreti: Terence Stamp (Toby Dammit), Salvo Randone (Padre Spagna), Marina Yaru (la bambina), Milena Vukotic (intervistatrice) Antonia Pietrosi (una attrice), Polidor (un vecchio attore), Anne Tonietti (commentatrice televisiva), Fabrizio Angeli (primo regista), Ernesto Colli (secondo regista), Aleardo Ward (primo intervistatore), Paul Cooper (secondo intervistatore), Marisa Traversi, Rick Boyd, Mimmo Poli (partecipanti alla festa), Brigitte (la ragazza alta due metri).
Terzo episodio dal film “Tre passi nel delirio”; gli altri due episodi sono “Metzengerstein” di Roger Vadim e “William Wilson” di Louis Malle, sempre tratti da racconti di Edgar Allan Poe.
La bambina che ossessiona Toby Dammit è tra le immagini più disturbanti di tutto il cinema, e non solo quello di Fellini. Appare per pochissimi istanti, ma non si dimentica facilmente e si presta a molte osservazioni, per esempio rimanda ai Demoni di Dostoevskij: quindi l’ombra della pedofilia, un fantasma generato dalla colpa. Il palloncino può far pensare che la ragazzina sia rimasta incinta, però un pallone simile c’è anche in Raul Ruiz, “La città dei pirati”, con un significato completamente diverso; in ogni caso mi sembra una lettura un po’ troppo facile, questo simbolo è davvero molto complesso e non lo si risolve facilmente.
Forse il vero significato è proprio nei dialoghi del film, il diavolo come qualcosa di bello, lieve e attraente: «...io non sono cattolico, sono inglese...per me il demonio è qualcosa di agile e di bello» è la risposta di Toby Dammit all’intervistatrice della tv (Milena Vukotic).
La bambina è un demone e spettro bergmaniano, davvero impressionante; ma probabilmente il vero diavolo nel film è la Ferrari. Qui non ci sono complessi di colpa da scontare, la Ferrari è il potere, il possesso, il “faccio quello che mi pare e vado dove voglio”, davvero un’impresa faustiana. E’ alla Ferrari che mira Toby fin dall’inizio, non è il sesso e nemmeno la fama, è la macchina. Solo la macchina lo risveglia dal suo torpore, correndo veloce il mondo viene cancellato, solo a trecento all’ora il mondo vale la pena di essere vissuto: una sindrome molto comune anche nella realtà, oggi ancora più che nel tempo in cui fu girato il film. Anche noi stiamo scommettendo la testa col diavolo, prima o poi la nostra corsa ci porterà a un baratro: una lettura possibile del film?
E’ da sottolineare anche la scelta del brano recitato da Toby Dammit: Toby recita il Macbeth di Shakespeare, lo accenna appena – non credo che sia una scelta casuale, nel Macbeth sono le streghe (il diavolo, la bambina sorridente...) a trarre in inganno il protagonista, qui la storia di Poe è molto simile. Il brano è molto famoso, nel finale del dramma quando Macbeth sta per essere sconfitto, e gli arriva la notizia della morte della Regina, sua moglie, che lo aveva spronato nella corsa al potere e che gli era stato al fianco nei momenti difficili. Ormai gli enigmi delle streghe sono stati svelati, Lady Macbeth non c’è più, Macbeth non ha figli a cui trasmettere il potere, a cosa è servito tutto questo tramare e combattere?
ATTO QUINTO, SCENA QUINTA
(...)Rientra SEYTON.
MACBETH: Perché quelle grida?
SEYTON La regina, mio signore, è morta.
MACBETH Sarebbe pur morta, un giorno o l'altro. Il tempo per quella parola sarebbe pur dovuto venire... domani, e domani e domani. Striscia a piccoli passi, di giorno in giorno, fino all'ultima sillaba del tempo prescritto; e tutti i nostri ieri hanno illuminato a dei pazzi il cammino verso la polverosa morte. Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strèpito e di furore, e senza alcun significato. (...)
(William Shakespeare, Macbeth. Traduzione di Gabriele Baldini, ed.BUR-Rizzoli)
Il nome del protagonista si presta a un facile gioco di parole: Dammit si pronuncia come “damn it”. “dannazione, che sia dannato”. Nel racconto di Poe viene detto esplicitamente, nel film non se ne fa mai cenno.
Terence Stamp sembra più una rockstar che un attore, ricorda un po’ Mick Jagger; e ha la faccia bianca di un trucco molto evidente, come nel teatro Nô giapponese, volutamente evidente. Fellini userà qualcosa di simile nel suo ultimo film, “La voce della luna”: la faccia di Terence Stamp è bianca come quella di Roberto Benigni, ed è un pallore da manichino, da zombie, da Pierrot, qualcosa simile lo vediamo anche con Johnny Depp in “Dead man” di Jim Jarmusch (1995).
Questo pallore e questa continua sonnolenza (si veda proprio Johnny Depp in “Dead man”) è lo stato in cui attraversiamo la vita, in bilico tra veglia e coscienza, come nei sogni. Nella nostra vita reale, anche quando siamo svegli e coscienti, non sappiamo mai bene cosa ci capiterà tra due minuti. Siamo sempre in bilico tra la vita e la morte, o meglio tra la nascita e la morte; è quindi perfetta la citazione dal “Macbeth” ma nel film ci starebbe bene anche quest’altra cosa di Shakespeare, sempre molto famosa:
Jaques: All the world's a stage,
and all men and women merely players.
They have their exits and their entrances,
and one man in his time plays many parts,
his act being seven ages.
(William Shakespeare, “As you like”, atto 2 scena 7 )
Ma poi, a togliere ogni dubbio, ecco arrivare la scena in cui Toby Dammit si addormenta su una sedia: è identico a Pinocchio, un manichino senza vita abbandonato su una sedia.
(l’ultima immagine è dal Casanova di Federico Fellini, la scena con la bambola meccanica; Pinocchio è disegnato da Attilio Mussino, Benigni con Pinocchio è nel finale di La voce della Luna)
(continua)
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