The last wave (1977) Regia di Peter Weir. Scritto da Peter Weir, Tony Morphett, Petru Popescu.Direttore della fotografia: Russell Boyd. Musica: Charles Wain. Interpreti: Richard Chamberlain, David Gulpilil, Nandjiwarra Amagula, Olivia Hamnett, Frederic Parslow, e altri. Durata: 106 minuti
Far recitare i bambini non è facile, spesso nei film li si vede falsi, affettati, impacciati, oppure li si vede recitare come se fossero adulti: che è certamente un’ottima cosa, ma non è detto che sia anche la migliore possibile. Ci sono però registi che hanno un rapporto particolare con i bambini, che con loro recitano a meraviglia: e sono davvero dei veri bambini come li vediamo tutti i giorni, pregi e difetti. Penso soprattutto a Vittorio De Sica e a Luigi Comencini, ma anche a Wim Wenders e (stranissimo ma vero) a Werner Herzog. Uno di questi “maghi” (bisogna nascere così, non è un’arte che si impara) è l’australiano Peter Weir.
Il bambino più famoso di Peter Weir è il protagonista di “Witness – Il testimone” del 1985: il piccolo Amish che viene scortato da Harrison Ford, e che ha una mamma bellissima in Kelly McGillis. Ma di bambini nei film del regista australiano ce ne sono molti, e scorrendo “L’ultima onda” (The last wave, 1977) ne ho trovati tanti soprattutto all’inizio, a scuola, intenti a giocare a cricket o a piccoli giochi di strada; maschi e femmine di tutte le età e di tutti i colori.
Tra i protagonisti del film ci sono queste due bambine bellissime, due sorelline. Che siano bellissime è obbligatorio, perché nel film figurano come figlie di Richard Chamberlain, un attore oggi un po’ dimenticato ma che per quasi trent’anni ha occupato il posto che oggi spetta ai George Clooney e ai Brad Pitt. Chamberlain divenne famoso nei primi anni ’60 con la serie tv del dottor Kildare (il grande fascino dei medici e dei telefilm a loro dedicati non è certo una novità), poi fece molti film importanti, e infine – inizio anni 80 – un’altra botta di successo mondiale come padre Ralph in “Uccelli di rovo”.
Chamberlain è sempre stato un ottimo attore, e non va confuso con i tanti divi tv di bell’aspetto e poca sostanza. Peter Weir racconta che per lui, un regista agli esordi, essere riuscito ad averlo per questo film è stato un vero colpo di fortuna: e guardando il film si capisce che il protagonista poteva essere soltanto lui, Richard Chamberlain.
Nella prima foto, le due sorelline si divertono un mondo: piove, ed è un gran bel gioco. Non la pensano così i loro genitori (oltre a Chamberlain, l’attrice Olivia Hamnett), perché sta piovendo in casa: il bagno è al piano di sopra, i rubinetti della vasca sono rimasti aperti, un giocattolo ha ostruito il foro di scarico... Un incidente domestico molto comune e molto antipatico, che può evolversi in una mezza catastrofe: ma i bambini, si sa, queste cose le trovano divertentissime.
“L’ultima onda”, come ben sanno quelli che lo hanno visto, non è una commedia. E’ un film molto drammatico, che va a toccare il soprannaturale, e che sfiora in molti momenti l’atmosfera dei film di fantasmi. Un ricco avvocato di Sydney, assolutamente anglosassone così come la sua biondissima moglie, si trova d’improvviso immerso nel mondo degli aborigeni australiani, a condividerne i sogni e l’immaginario. E’ una storia impressionante, che Weir svolge con mano da maestro, evitando tutte le trappole e tenendo saldamente il film in mano, dal principio alla fine.
Le bambine sono un elemento positivo, quieto, non vengono toccate da quello che succede; solo una fa degli strani sogni, ma la mamma è lì vicina e lei può addormentarsi tranquilla.
Questa sequenza della bambina che si addormenta è molto bella, e mi ricorda una delle mie immagini preferite, un piccolo disegno di Courbet che ritrae la figlia quasi nella stessa posizione. Chissà se Weir conosceva il disegno di Courbet, o se si è limitato – come il grande pittore francese – a ritrarre una posa naturalissima della bambina.
Ma prima avevamo visto un’immagine che una volta era quasi d’obbligo per le bambine, e oggi chissà: il vestito da fatina, per una festa mascherata. E’ la più piccola a indossarlo, e direi che le sta proprio bene.
10 commenti:
Se vedere un film è come fare tutti lo stesso sogno, questo è particolarmente adatto per questo straordinario Weir che ci introduce
nel magico mondo degli aborigeni facendoci vivere quasi una esperienza diretta di come l'inconscio collettivo si impone e travolge una normale "coscieza egoica" basata su un solido ancoraggio alla realtà quotidiana.
Sono completamente d'accordo con la bella recensione. Il valore delle immagini e la loro superiorità sulle parole è purtroppo qualcosa che nella nostra cultura logorroica stiamo perdendo e che stiamo sostituendo con false immagini,legate ai bisogni del mercato ed del narcisismo. Niente a che vadere con le immagini autentiche delle visioni del "mondo creato dai sogni".
Sì, forse il cinema è davvero parente stretto dei sogni - ed è una dimensione che stiamo perdendo, perché ormai i cinema non sono più quelli che sono stati per tutto il novecento. Tante cose si intuivano soltanto, e forse era meglio così.
Su questi argomenti mi ero molto interessato, anni fa: purtroppo come ci si muove in questi ambiti è facile incontrare persone poco raccomandabili, cretini o magari truffatori. Nei casi migliori, si tratta di persone che ne sanno poco più di te...E anche i libri danno poco aiuto, quasi soltanto Jung si è occupato seriamente di queste cose (forse Oliver Sacks). Comunque non è mai detta l'ultima parola, chissà.
Grazie Marisa!
Naturalmente Jung è il maestro di riferimento per cominciare ad orientarsi nel grande paese dell'anima e dei sogni "archetipici",che sono la materia essenziale di un film come questo,quando è chiamato in causa il destino di tutto un popolo e la sua essenza più profonda.
Ci sono poi i suoi allievi più illuminati:Zimmer,Hillman,Schwartz-Salant...
Siamo in buona compagnia,no?
Tornando al film,sono contenta che esistano registi(ho notato che hai citato il grande Herzog di "Dove sognano le formiche verdi")che riescono senza illusioni nostalgiche o sbavature idealistiche a recuperare lo straordinario mondo degli Aborigeni basato sulla partecipazione interattiva di tutte le forze della natura e le sue creature,uomini compresi.
E' un discorso bellissimo, io non ho le basi per portarlo avanti ma sono contento di poterne parlare.
Purtroppo, come ben sai, tutto questo è da considerarsi perduto o quasi: anche tra gli induisti e gli aborigeni australiani è arrivato il rap, la cocacola, l'hamburger americano... Stiamo rovinando tutto, come diceva Pasolini.
Il mio problema con "Dove sognano le formiche verdi" è che ho pronti o quasi pronti molti film di Herzog, ma quello lo devo ancora mettere in bella! (Il prossimo è il Woyzeck)
Capisco l'amarezza, ma io credo fermamente per esperienza mia ,ma soprattutto per testimonianza di grandi spiriti (Jung di "Ricordi,sogni e riflessioni")che tutto quello che viene perso nella realtà esterna può essere trasformato e acquisito nello spirito.
"Le antenne sentono le antenne,
e la vuota lontananza ci sostenne"
dice Rilke in uno dei suoi sonetti ad Orfeo...
Marisa, io pensavo che fosse dovuto al vivere in provincia, e l'ho pensato per decenni. Adesso invece quel tipo di beata ignoranza è al governo e detta la linea. Si soffre, come lo stalker...
Potrei essere molto più esplicito ma direi che questa non è la sede...(se vuoi continuare la chiacchierata in privato c'è una mia mail qui in giro, ma non so se ti conviene!)
:-)
vedere un quadro è come fare tutti lo stesso sogno ( riscrivo a mio uso e consumo la bella osservazione di Marisa ). :-)
mi sarebbe piaciuto continuare con questi post, sui bambini, sugli animali, sui pittori...però avevano un senso quando il blog era visibile a tutti, adesso molto meno. Qualcosa sta per arrivare lo stesso, però.
:-)
sai cosa sto pensando adesso, a proposito di bambini? Che sei una specie di genio della lampada...
Aspetto, allora! :-)
no, adesso ci sono Eastwood, Huston, Jarmusch: e così si arriva a fine mese...
:-)
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