mercoledì 24 febbraio 2010

Il gabinetto del dottor Caligari

IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI “Das Kabinett des Doktor Caligari”, regia di Robert Wiene (1920) Scritto da Hans Janowitz e Carl Mayer . Fotografia: Willi Hameister. Scenografie di Walter Röhrig, Walter Reimann, Hermann Warm. Costumi: Walter Reimann. Con Werner Krauss, Lil Dagover, Conrad Veidt, Friedrich Feher, Hans H. von Twardowski, Rudolf Lettinger, Rudolf Klein-Rogge Produzione: Erich Pommer per Decla Bioscop-Ufa Durata: 78 minuti

Quando Stanley Kubrick, e con lui molti altri registi importanti, dice che nel passaggio dal cinema muto al sonoro si è perso molto, probabilmente si riferiva non solo ad Eisenstein ma anche al “Caligari”, e sicuramente anche al venerabile (e sempre grandissimo) Georges Méliès, classe 1895 (i film, non Méliès).
La fantasia visiva, unita ad una grande capacità tecnica e di invenzione, era la parte essenziale di questi film. Era come se fosse in atto una gara, una sfida a chi inventava sempre più cose nuove e stupefacenti da far vedere: c’è anche da dire che il cinema del muto era un’arte nuova, nuovissima, e che questa voglia di stupire, di fare e inventare cose nuove, è tipica della giovinezza. Il che non significa che oggi il mondo del cinema e della tv sia vecchio, ma è certo che molte immagini sono state viste così tante volte da sembrare vuote, usurate. E non è certo il caso del Caligari, o di Metropolis di Fritz Lang, che sono film ancora oggi capaci di sbalordire e di incantare; mentre La corazzata Potëmkin (nel suo insieme, al di là della potenza e della grande bellezza delle scene giustamente famose) ha perso molto dell’incanto originale, forse perché in Eisenstein dietro l’innovazione tecnica (copiatissima e ancora oggi alla base di tutta la fiction, tv e videogiochi compresi) non c’era un’invenzione poetica altrettanto grande.
Il “Caligari”, di per sè, non è un film complicato: i film dell’orrore non sono mai complicati. Il soggetto è questo: in un baraccone da fiera, un incantatore mostra i prodigi di un sonnambulo capace di predire il futuro. Nel contempo, in città vengono compiuti efferati omicidi, sempre con la stessa modalità, uno dei quali è stato profetizzato dal sonnambulo. La polizia indaga, e alla fine scoprirà che il colpevole è proprio l’incantatore. Per i suoi colpi, si è ispirato a un antico libro dove è descritta la storia di un suo predecessore italiano, il settecentesco Dottor Caligari; e ha usato il povero sonnambulo come sua arma inconsapevole, nascondendone le assenze tramite un manichino. Ma, forse, non è così: con un altro espediente tipico del genere, nel finale ritroviamo tutti i protagonisti dentro il cortile di un manicomio. Uno dei pazzi è convinto che il direttore del manicomio sia il Dottor Caligari; o forse è tutto vero? Come nelle migliori tradizioni, c’è un capovolgimento finale, una spiegazione razionale che dovrebbe tranquillizzarci, e invece... (“Lui mi crede Caligari...Ora so come guarirlo” dice il Dottore guardando verso di noi, nell’inquietante primissimo piano che precede la parola “fine”).
Devo la visione di questo film ad una ormai antica trasmissione della TSI, la televisione della Svizzera Italiana (www.rtsi.ch); ho avuto l’accortezza di registrare il film a suo tempo (quasi vent’anni fa), e adesso posso raccontarvelo come si deve. Il film è presentato in una versione molto simile a quella originale, che non è in bianco e nero ma nei tipici colori del “viraggio” fotografico. Ad ogni sequenza, ad ogni stato d’animo, corrisponde un colore diverso: rosso, verde, azzurrino...
Il “Caligari” è famosissimo anche per motivi extra cinematografici, e cioè per le sue scenografie molto caratteristiche, sghembe, oniriche, irrazionali, che lo collocano fra i punti fermi dell’Espressionismo. Ed è questo il suo punto di forza, ancora oggi, perché scenografie come quelle del Caligari fanno ancora colpo e sono ancora imitatissime, come quelle di “Metropolis” di Fritz Lang (che però è un film più visionario e più politico, mentre il “Caligari” è puro intrattenimento). A questo punto sarebbe quindi obbligatorio parlare dell’Espressionismo, ma qui davvero il discorso si fa complicato – soprattutto per me, che ne so appena qualche cosa. Sull’espressionismo preferisco fermarmi qui e consigliare di cercare libri e articoli sull’argomento, a partire dal classico “L’espressionismo e il film” scritto da Rudolf Kurtz (1884-1960), che fu testimone diretto di quegli anni: io ne ho una vecchia copia edita da Longanesi, ma non saprei dire se è ancora in catalogo.
Purtroppo, anche la TSI ha smesso da tempo di programmare questi film in tv. E’ un peccato, perché del progetto (un vero e proprio ciclo, molto impegnativo) faceva parte la ricostruzione delle musiche originali. Molti non lo sanno, ma i film muti erano sempre accompagnati dalla musica: di solito un pianoforte, ma spesso più esecutori, con strumenti variabili a seconda dei musicisti disponibili, e addirittura grandi orchestre là dove era possibile, cioè alle prime e nei grandi teatri delle grandi città. Nella mia obsoleta cassetta (non è vero che le VHS invecchiano, la mia registrazione casalinga è ancora in ottimo stato), dopo il film, dialogano Hans Jörg Pauli e Carlo Piccardi della TSI: l’argomento è Giuseppe Becce, musicista veneto attivo in Germania, autore di un’ampia e saccheggiatissima raccolta di musiche “a tema” per il cinema (composizioni musicali divise per argomenti: fughe, inseguimenti, tensione, amore, dolore, rabbia, eccetera). Becce fu anche attore, e interpretò Wagner in un film del 1913; ma la famiglia Wagner negò l’uso delle musiche e Becce iniziò così a comporne di sue per il cinema. Alla prima del “Dottor Caligari”, nel 1920, fu proposto un mix di musiche di varia origine, da Rossini a canzoni dell’epoca, che al pubblico però non piacque; il produttore si rivolse quindi a Becce per le proiezioni successive. La musica originale di Becce per il Caligari è andata perduta, ci sono però molti brani nella sua raccolta ( “Kinotheque”) che sono facilmente riconducibili al film di Wiene. La musica di Becce, eseguita per l’occasione dall’orchestra della RTSI, è ottima, si ascolta volentieri ed è assolutamente adatta al film e alle sue atmosfere; una vera sorpresa. Ma quella di Becce non è l’unica musica per il Caligari; in esecuzioni del 1920 a New York furono impiegate musiche “moderne” , nuovissime per l’epoca (Prokofiev, il Till Eulenspiegel di R. Strauss, Schoenberg...) che furono definite dalle cronache del tempo “molto adatte per un racconto su dei pazzi”. Nel 1919, aggiunge Pauli, l’espressionismo era un movimento quasi finito; e il film di Wiene non è un esperimento d’avanguardia ma una produzione pensata per il grande pubblico.
Un’altra cosa da sottolineare, oltre alle scenografie, è la bellezza delle didascalie originali, piccoli capolavori di grafica e di lettering, ben diverse da quelle che siamo soliti vedere nei film muti. E, nel finale, il delirio dell’incantatore è accompagnato dalle scritte “Du musst Caligari werden!”, che appaiono in animazione in un prodigio di invenzione e di fantasia che dà ancora oggi molti punti ai grafici e agli inventori di sigle e di video musicali.
Guardando le foto che ritraggono il sonnambulo, è quasi inevitabile pensare a Johnny Depp in “Edward mani di forbice” di Tim Burton, e ai cantanti punk. L’interprete del sonnambulo (che si chiama Cesare: italiano, come Caligari) è Conrad Veidt, un attore che sarebbe diventato molto familiare a Hollywood, e che appare anche in “Casablanca” (è l’ufficiale a fianco del capitano Renault). Veidt è giovanissimo, snello ed elegante, sembra Cary Grant in “Caccia al ladro”; non stupisce che Tim Burton ne abbia tratto un film dove le donne finalmente possono innamorarsi del “mostro”.
Nel film viene anche mostrato con dovizia il librone antico dal quale l’incantatore ha tratto la sua ispirazione; per chi fosse interessato a fare ricerche (chissà, magari esiste davvero) ne riporto i dati: stampato a Uppsala nel 1726, è un volume sul sonnambulismo (ovviamente visto con i metri dell’epoca, ben poco scientifici) dove si narra anche di un Dottor Caligari che nell’Italia settentrionale, nel 1703, girava per le fiere e che fu sospettato di aver usato il suo “sonnambulo” per commettere efferati omicidi a scopo di rapina. Ma la fonte prima dell’ispirazione è da ricercarsi piuttosto nei racconti di E.T.A. Hoffmann, (1776-1822), che dava spesso nomi italiani ai suoi “maghi cattivi”: Hoffmann è un grandissimo scrittore, e il consiglio di andarsi a cercare (o rileggere) i suoi racconti è quasi un obbligo, se vi interessa l’argomento.
PS: per chi volesse divertirsi a cercarli, alcuni dipinti di Dino Buzzati somigliano molto ai bozzetti di Reimann.

8 commenti:

Christian ha detto...

Un film disturbante e visivamente affascinante. Mi piace pensare (ma immagino che sia un'interpretazione diffusa) che la "sghembitudine" delle scenografie rispecchi le allucinazioni della mente malata del protagonista: se tutta la vicenda è avvenuta soltanto nella sua paranoica immaginazione, anche gli ambienti - come i personaggi (il direttore del manicomio, ecc.) - devono essere distorti. Dunque è una grafica non solo puramente artistica ma anche funzionale alla narrazione.

Giuliano ha detto...

Sono sicuro che conosci il "Mabuse" di Lang, che è di pochi anni successivo: le anticipazioni di quello che succederà nel decennio successivo sono impressionanti.
Forse davvero gli artisti (quelli veri!) hanno qualcosa che riesce a cogliere i cambiamenti in atto.
A me il "Caligari" fa venire in mente Munch, o - per contrasto - Mondrian...Sarebbe un bel discorso da fare, non è il mio campo ma magari ci provo.

Amfortas ha detto...

Ecco, vedi che Wagner c'entrava in qualche modo con Becce!
A proposito (più o meno) di questa carrellata di film di cui ti stai occupando in questi giorni, mi ricordo una delle critiche più feroci mai fatte ad un attore: Spencer Tracy.
Dopo l'interpretazione in cui faceva la doppia parte di Jekyll e Hide, scrissero che non si capiva quando interpretasse uno o l'altro :-)
Un giorno troverò il modo di rivendermi 'sta cosa parlando di qualche cantante :-)
Ciao!

Giuliano ha detto...

Sì, bisognerebbe ripescare quel film. Però è un film muto del 1913...ho idea che sarebbe tutta da ridere, però non è mai detto.

Spencer Tracy era grandissimo, questa definizione è magnifica e mi ricorda quelle di Sergio Leone su Clint Eastwood, che ci ridacchia sopra ancora oggi nelle sue interviste (Clint come attore ha due espressioni: una col cappello in testa e una senza) (o era il sigaro? "una col sigaro in bocca, l'altra senza" - non mi ricordo mai, ma sono belle tutte e due).
Di Tracy dicono che fosse perennemente ubriaco, e purtroppo (se è vero) non era neanche l'unico

Ermione ha detto...

Questo post mi piace moltissimo. A cominciare dalle immagini, con quei colori d'antan. Ho visto questo film, insieme a diversi altri dell'espressionismo tedesco, quando ero piccola, com nia madre che ci portava nei cinema d'essai. La ringrazio ancora per questo. Poi mi sembra che ci sia stato anche un ciclo alla TV, sempre secoli fa, ai tempi felici in cui c'erano persone colte e intelligenti, tra cui il mitico Vieri Razzini.
Mi impressionò moltissimo la figura di Cesare, lo trovavo bellissimo: ed effettivamente Conrad Veidt lo era, bellissimo, e perfino in Casablanca era ancora decisamente un bell'uomo.

Giuliano ha detto...

Si è copiato a man bassa, e si continua a copiare, dai maestri dei primi decenni del cinema. Soprattutto questo film, il Golem di Wegener, e Metropolis di Fritz Lang... Se si pagassero ancora i diritti d'autore, gli eredi potrebbero ricevere rendite milionarie, anche da "Avatar" e da tutti i videogames.

A differenza di Veidt, Vieri Razzini (che ricorda un po' Vincent Price e un po' Werner Herzog) non è mai stato tanto bello: ma ne sento, enormemente, la mancanza. E' destino di questi anni che le persone competenti vengano tenute fuori dai posti che spetterebbero loro di diritto (hai sentito? questi incompetenti chiudono anche la Melevisione!)

giacy.nta ha detto...

Italiano è anche il venditore di elisir per capelli di "Sweeney Todd", sempre di Burton.:)

Sai che le scenografie mi hanno fatto venire in mente il film di Greco e Morel? Non c'entra molto, ma il mio pensiero è corso lì.

p.s.
bellissimo post

Giuliano ha detto...

è un film che ha influenzato molto l'immaginario di tutto il cinema fino ad oggi, e penso che continuerà a farsi sentire, anche se magari chi fa cinema oggi è così ignorante che non sa nemmeno cosa è venuto prima.
Metropolis di Lang, per esempio, arriva qualche anno dopo...il Caligari è del 1919. Però direi che il punto di partenza è quasi certamente William Blake.