Nosferatu, Phantom der Nacht (1979) Scritto e diretto da Werner Herzog. Tratto dal film omonimo di F.W. Murnau (1922) e dal romanzo “Dracula” di Bram Stoker (1897). Fotografia: Jorg Schmidt-Reitwein. Scenografie e arredi di Henning von Gierke e Ulrich Bergfelder. Costumi di Gisela Storch. Trucco per Klaus Kinski: Reiko Kruk. Effetti speciali: Cornelius Siegel. Musica: Florian Fricke (Popol Vuh), Richard Wagner, Charles Gounod, Vocal Ensemble Godela (Georgia ) . Interpreti: Klaus Kinski (Dracula), Isabelle Adjani (Lucy Harker), Bruno Ganz (Jonathan Harker), Roland Topor (Renfield, il capo di Harker), Walter Ladengast (van Helsing), Jacques Dufilho (il capitano della nave) Martje Grohmann (Mina) Clemens Scheitz (impiegato comunale) e altri. Durata originale 107 minuti
Quando uscì questo film, in anni ormai lontani, a molti fece storcere il naso l’estrema somiglianza (dichiarata fin dall’inizio) con l’omonimo film di F.W. Murnau del 1921, capolavoro del cinema muto e dell’espressionismo tedesco. Ci si chiese che senso avesse un’operazione del genere, ed in effetti era una domanda più che legittima. Il “Nosferatu” di Herzog sembrava un’operazione fine a se stessa, di maniera; oggi si direbbe “roba da intellettuali” (oggi, cioè quando usare l’intelletto in vece di altre parti del corpo è diventato un insulto). Ma il manierismo, ammesso e non concesso che il “Nosferatu” di Herzog faccia parte del genere, non è necessariamente una cosa negativa. Il manierismo, come insegnano i critici più attenti, non è affatto sinonimo di mancanza di idee: è anche e soprattutto un fermarsi a riflettere: su se stessi e su quello che è successo nel passato. “Manieristi”, in passato, furono definiti pittori grandissimi, come il Pontormo.
Manierista, in senso alto, può dunque definirsi anche questo film di Herzog: se nel 1979 questo omaggio a Murnau poteva lasciare perplessi, oggi solo il Signore sa quanto avremmo bisogno di fermarci, e di riflettere, prima di costruire qualcosa o di spendere soldi in opere inutili.
“Nosferatu” di Herzog non è soltanto un film su Dracula e sui vampiri, è un capolavoro di stile e di recitazione, altissimo artigianato. Chiunque si occupi di cinema, davanti a un film come questo, dovrebbe osservare attentamente e prendere nota di ogni inquadratura e di ogni fotogramma: lo studio della luce, gli arredi, i costumi, gli attori, la musica, sono una grandissima lezione di cinema.
Herzog è soprattutto, prima di ogni altra cosa, un documentarista. La seconda parte della sua carriera parla chiaro; i film “normali” sono calati drasticamente di numero, Herzog negli anni recenti ha fatto quasi solo documentari. Non credo che si tratti di un calo d’ispirazione, quanto piuttosto del fatto che avere avuto un grande documentarista come Herzog a girare film a soggetto sia stata una fortuna che capita raramente, e che va vista come una vera benedizione per il cinema e per noi spettatori.
Nosferatu di Herzog è uno spettacolo come capita poche volte di vedere. Ogni singola inquadratura meriterebbe un saggio, per la cura e per la perfezione dell’insieme. La ricostruzione storica è perfetta fin nei minimi particolari, e forse oggi non sarebbe più possibile girare degli esterni così simili a quelli di duecento anni fa, ma allora si poteva fare e la ricerca dei luoghi effettuata da Herzog è, come sempre, stupefacente e minuziosa. Bruno Ganz è vestito come Goethe a Weimar; ma non è questo che conta, conta il fatto che gli abiti sembrano davvero suoi, come se li avesse portati in ogni giorno della sua vita. Anche Isabelle Adjani, dal volto bianchissimo, è elegantissima, e in alcune scene il suo vestito assomiglia ad una corazza, quasi Giovanna d’Arco.
C’è una grande bellezza formale, e sono innumerevoli le citazioni dalla grande pittura e delle stampe d’epoca. C’è molto Füssli, naturalmente, come nel finale con la morte del vampiro abbracciato alla donna che ha ucciso; ed è magistrale il dettaglio del vaso di fiori, a sinistra, in quella scena. Ma è impressionante per bellezza anche la “natura morta” sul tavolo del banchetto che il vampiro prepara per Ganz nel castello.
Ci sono Bosch e Bruegel per la peste nella città (quando i superstiti banchettano in attesa della morte, al centro della piazza). E c’è l’ovale perfetto del volto della Adjani, citazione di secoli di grandi ritratti nella pittura, così come gli interni. Spettacolare ed emozionante, nella scena finale tra il vampiro e Lucy, l’irruzione della luce del sole (con tonalità rosse all’inizio) dopo l’amplesso.
Le scene del vampiro sono assolutamente identiche a quelle del film di Murnau. Sembra quasi che Herzog abbia voluto applicare al film le sue doti di documentarista, girando un film da dentro il film di Murnau. Ma Herzog fa anche un’operazione da regista di teatro: nessuno avrebbe da ridire su una ripresa dell’Amleto fedele al testo Shakespeare, ed è la stessa operazione che Herzog fa con Murnau. Al contrario di molti (troppi) registi di teatro che si spacciano per originali, Herzog è fedelissimo all’originale: sia a Murnau che al romanzo di Bram Stoker.
Anche il trucco di Kinski è identico a quello del vampiro di Murnau, dai denti “da vipera”, cioè da rettile ( e non i canini dei lupi, come nei consueti vampiri del cinema) fino nei più piccoli particolari. L’unica differenza con Max Schreck (il Dracula di Murnau), mi sento di dirlo con sincerità, è che Kinski fa più paura da biondo coi capelli lunghi, cioè nel suo aspetto normale; ma questo è dovuto alla recitazione, il vampiro di Kinski è un essere umano con le sue emozioni e le sue paure, non un insetto, mantide o locusta, intento solo alla sua sopravvivenza.
Ci sono molti momenti che tendono al comico, ed è un’altra delle caratteristiche che rendono questo film davvero curioso, e che lo apparentano un po’ a Kafka (un maestro del comico e del grottesco in molte sue pagine, per chi non se lo ricorda). Il “Nosferatu” di Herzog contiene già in sè la propria caricatura: quando Ganz arriva al castello, Dracula gli offre un sontuoso banchetto; verso la fine l’ospite si ferisce a un dito col coltello, e Kinski si offre di medicarlo succhiando la ferita, “un vecchio rimedio dei tempi andati”. Il giorno dopo, Kinski vede in un cammeo il ritratto della moglie di Ganz, e ne loda il magnifico collo; e quando la nave arriva in città, è Dracula stesso a sfacchinare scaricandosi tutte le casse da morto ad una ad una, rischiando di beccarsi un colpo passando vicino ad un Crocifisso. Ed è decisamente comica la nonchalance finale di Harker quando chiede alla domestica di spazzare via le briciole che lo tengono prigioniero, così come tutta la scena dell’arresto mancato di Van Helsing pochi istanti prima.
Resta da dire degli interpreti: Kinski è perfetto, molto credibile e misurato; ma lo supera Bruno Ganz con un’enorme prova di bravura (basti osservare il suo sguardo nel finale, quando esce dal cerchio che lo costringe prigioniero). C’è una meravigliosa (e pallidissima) Isabelle Adjani, e molti degli attori che hanno accompagnato il regista nei suoi primi film, come Walter Ladengast (van Helsing), e il piccolo e anziano Clemens Scheitz, qui in una breve apparizione nel finale, ma protagonista in “Stroszek” e in “Kaspar Hauser”. In più c’è Roland Topor, il grande disegnatore polacco, che interpreta il capo di Harker, quello che lo manda da Dracula; il suo personaggio (poche sequenze ma ben recitate) fa parte del registro grottesco del film. Nel ruolo del capitano della nave vediamo Jacques Dufilho, attore icona del cinema brillante francese di quegli anni, qui in un ruolo tragico.
Le scenografie e gli arredi che si vedono nel film, davvero impressionanti, non sono oggetti da trovarobato: come spiega bene Werner Herzog nel commento al film disponibile sul dvd, sono opera dei suoi collaboratori, costruiti appositamente: orologi compresi. Su questo aspetto del film conto di tornare quanto prima, perché c’è molto da dire in proposito.
E con questa nota chiudo il mio post sul Nosferatu di Herzog – anche perché, credetemi, c’è molto lavoro ancora da fare, e devo affrettarmi.
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