Il fiume (The river, 1950). Regia: Jean Renoir. Soggetto: dall'omonimo romanzo di Rumer Godden; Sceneggiatura: Rumer Godden e Jean Renoir; Fotografia: Claude Renoir; Scenografia: Eugène Lourié e Bansi Chandra; Musica: musica tradizionale indiana, registrata in India sotto la direzione di M. A. Parata Sarathy; “Invito alla danza” di Carl Maria von Weber. Interpreti: Nora Swimburne (la madre), Esmond Knight (il padre), Arthur Shields (Mr John), Thomas E. Breen (capitano John), Suprova Makerjee (Nan), Patricia Walters (Harriet), Radha (Mélanie), Adrienne Corri (Valérie), Richard Foster (Bogey), Penelope Wilkinson (Elisabeth), Jane Harris (Muffie), Jennifer Harris (Mouse), Cecilia Wood (Victoria), Ram Singh (Sahjn Sing), Nimai Barik (Kanu), Trilak Jetley (Anil); Produzione: Oriental International Film INC con la collaborazione del Theater Guild. Durata: 99 minuti
“Il fiume” , tratto da un romanzo della scrittrice anglo-indiana Rumer Godden (di famiglia inglese, ma nata e cresciuta in India), nasce come progetto di film da girare in America, negli anni ’40; ma ad Hollywood Jean Renoir girerà altri film, non questo.
Un film sul rapporto tra l’uomo e la natura che lo circonda sarà “The southerner”, ma si tratta di tutt’altra cosa; e il tema era del resto già presente nei capolavori girati in Francia negli anni ’30, come “La regola del gioco”.
Nel libro su Renoir di Carlo F. Venegoni, la serie del “Castoro cinema”, si dice che “la maestosa natura del west americano portava già troppo i segni della presenza attiva dell’uomo” e che la concezione americana della Natura è quella di un conflitto in cui l’uomo domina e vince: tutte cose vere, e che rendevano poco credibile un adattamento del romanzo nel Nuovo Mondo.
Invece l’India, alla fine degli anni ’40, era ancora quasi incontaminata; e il rapporto di induisti e buddisti con la natura era ben diverso da quello dei coloni americani. Protagonista diventerà dunque il grande fiume, il Gange: la vita che scorre.
“Il fiume” è uno dei più grandi ed emozionanti film della storia del cinema, ma è anche un film che ha spiazzato tutti, e che continua ad essere troppo grande per poter essere descritto: bisogna proprio cercarlo e vederlo, e non è detto che una sola volta basti per capirne la grandezza. Ancora oggi è raro leggerne una recensione davvero convincente, e quindi sarà ben difficile che proprio io riesca nell’impresa di raccontarlo; perciò ci rinuncio subito, non voglio mettermi a fare riassuntini e del resto la storia che vi si racconta è molto semplice, quasi banale: tre ragazze nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in un mondo quasi tutto al femminile, sulle rive del Gange. Due sono inglesi, la terza è di madre indiana e padre inglese: penso che nel raccontare la storia ci si possa fermare qui.
Rumer Godden, l’autrice del libro, ha al suo attivo molti romanzi oggi quasi introvabili; ma all’epoca era molto famosa. Un altro film tratto da uno dei suoi libri, sempre d’ambiente indiano, è “Black narcissus”, “Narciso nero”, girato nel 1947 da Michael Powell ed Emeric Pressburger: un altro grande risultato, ma più oscuro, completamente diverso dal film di Renoir. Quello che la scrittrice descrive qui, in “The river”, era il mondo in cui era vissuta, e probabilmente si tratta di una storia in gran parte autobiografica. Leggendo un altro libro di quegli anni, “La mia famiglia e altri animali” di Gerald Durrell, mi sono trovato a pensare che si tratta in gran parte dello stesso modo di vedere, anche se Durrell era a Corfù e non in India, il rapporto con la Natura è identico, e anche le storie delle ragazze ai loro primi amori; la differenza è che nel libro del grande naturalista il punto di vista è quello di un bambino, cioè un maschio, un fratellino piccolo. Anche in “The river” c’è un fratellino piccolo, che gioca e scopre la Natura proprio come il piccolo Durrell in Grecia, in compagnia di un altro bambino della sua età, che si chiama Kanu: nel film, i due bambini sono amici inseparabili, dove c’è uno c’è sempre anche l’altro.
Dopo la parentesi americana, ad Hollywood, Jean Renoir decide di prendersi una pausa e di viaggiare. In parte è costretto a fermarsi da motivi personali (noiose questioni di divorzi e di matrimoni), in parte è proprio la necessità di ripensare se stesso e la sua poetica. In mezzo, dopo “La grande avventura” e “La regola del gioco”, non c’è stata solo l’avventura americana, ma una guerra devastante, il nazismo, l’occupazione della Francia, la bomba atomica, Yalta...
A Hollywood, il maestro europeo ha girato film notevoli ma le cose non sono andate benissimo. Così ne parla Renoir stesso in un suo libro: « Il fiasco di “The Woman on the Beach” segnò la fine dalla mia avventura hollywoodiana. Da allora non sono piú tornato in un teatro di posa americano per fare un film. Zanuck, che di registi se ne intendeva, spiegò un giorno il mio caso a un gruppo di cineasti americani. La sua diagnosi è tutto sommato lusinghiera per me e perciò non esito a riportarla: 'Renoir - disse - ha molto talento, ma non è dei nostri' ». (Ma vie et mes films, cit., pag. 230). (da “Renoir” di Carlo F. Venegoni, editore “Castoro Cinema”)
In India, Renoir sembra iniziare una nuova carriera, la terza parte dopo “La regola del gioco” e “La grande illusione”, e dopo l’avventura americana: e lo fa con un film che è poco definire magico. E’ un altro film di quelli di cui si ha quasi paura a parlare, perché va a toccare i temi più importanti della nostra vita. Meglio fermarsi un attimo prima, e citare i grandi pittori che qui come in pochi altri film (potenza del colore, usato meravigliosamente da Renoir per la prima volta) vengono evocati: il padre di Renoir, certamente, ma anche Monet, Courbet, Manet, Matisse... Il film è una festa del colore, e spero che presto ne venga fatto un restauro accurato: la copia su dvd non è delle migliori, ma visto il pessimo clima culturale di questi anni è già un’ottima cosa che il film sia stato reso disponibile.
2 commenti:
Finalmente ho trovato l'ispirazione per inserire il link di questo tuo bellissimo spazio.
Sono rimasto molto colpito dai questi tuoi pezzi dsu Renoir. Io purtroppo ho ancora molte lacune sul cinema francese ma piano piano spero di rimediare.
Martin, io vengo ad aggiornarmi da te, da Christian, da tutti gli altri a cui ho messo il link. Ognuno dà quel che può: ormai siamo ridotti come gli uomini-libro di Fahrenheit 451, solo che siamo uomini-film...
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